Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27256 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 30/11/2020), n.27256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7310/2019 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Luigi

Pirandello, 67/A presso lo studio dell’avvocato Sabrina Belmonte, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Bruno Fedeli, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege presso l’Avvocatura dello Stato in Roma, Via dei Portoghesi,

12;

– intimato –

avverso il decreto n. 1309/2019 del Tribunale di Milano, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea del

08/02/2019; udita la relazione della causa svolta dal Cons. Laura

Scalia nella camera di consiglio del 03/03/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato il ricorso proposto ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis da O.E., cittadino (OMISSIS) dell'(OMISSIS), avverso il provvedimento cui la competente Commissione territoriale ne aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

Il racconto reso dal dichiarante dinanzi alla commissione territoriale non era credibile; andava esclusa la protezione internazionale e quella sussidiaria anche per il profilo della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno ed internazionale e la protezione umanitaria anche perchè non erano stati dedotti elementi sufficienti a far ritenere integrato “uno stato di particolare vulnerabilità”.

2. O.E. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, nato a (OMISSIS) nell'(OMISSIS) ((OMISSIS)) e poi trasferitosi a (OMISSIS) nel medesimo Stato, di etnia “(OMISSIS)” e di religione (OMISSIS), aveva dichiarato dinanzi alla competente Commissione territoriale di essere fuggito dal proprio Paese di origine in ragione delle minacce di morte ricevute da una setta -presso la quale egli era rimasto per due anni dopo essere stato picchiato, sottoposto ad un rito di iniziazione e costretto a commettere reati – allontanandosi con un autobus per il Niger.

2. In ricorso vengono articolati tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), artt. 3 e 14 sulla protezione sussidiaria anche in relazione all’art. 4, par. 3 d) della direttiva 2004/83/CE e dell’art. 13, par. 3, lett. a) della direttiva 2005/85/CE.

Il tribunale aveva ritenuto inattendibile, per genericità e contraddittorietà, il racconto del richiedente sull’esistenza dei presupposti di persecuzione o di danni gravi in caso di rientro nel proprio Paese sia con riferimento a quanto dichiarato alla competente Commissione territoriale che con riguardo a quanto dedotto solo in sede di ricorso, ovverosia sulla sua condizione di omosessualità, considerata reato in (OMISSIS) e rispetto alla quale il ricorrente non avrebbe riferito particolari relativi, anche, al momento della scoperta del proprio orientamento sessuale ed al vissuto emotivo.

La situazione dell’ordine pubblico e della sicurezza in (OMISSIS) in una zona vasta come l'(OMISSIS) pur nella difficoltà di gestione dell’emergenza da parte dell’apparato statale non avrebbe integrato gli estremi del conflitto armato interno e non avrebbe raggiunto la soglia della violenza diffusa ed indiscriminata che consente il riconoscimento della tutela sussidiaria.

I giudici di merito avevano errato nel valutare le dichiarazioni rese dal ricorrente in merito alla vicenda personale con riferimento anche alla propria condizione di omosessualità e nel ritenere insussistenti gli estremi per il riconoscimento della persecuzione, pure in ragione della mancata trasposizione della zonizzazione di cui all’art. 8 della direttiva 2004/83/CE nel D.Lgs. n. 251 del 2007 e della successiva direttiva 2011/95/UE, e della protezione sussidiaria e tanto per le sanzioni previste dallo Stato per l’indicata condizione e, ancora, quanto alla insussistenza di conflitti armati in (OMISSIS).

2.2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c); il tribunale non aveva proceduto all’audizione personale del ricorrente principalmente sul suo orientamento sessuale e non aveva motivato sulle ragioni dell’omessa audizione.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Il tribunale aveva in modo sbrigativo e semplicistico escluso la sussistenza in capo al richiedente di condizioni di vulnerabilità meritevoli di protezione umanitaria non cogliendo il carattere atipico residuale della misura, da valere anche ove il rimpatrio dello straniero si ponga in contrasto con disposizioni di rango costituzionale (art. 10 Cost., comma 3) o internazionale (art. 33 Convenzione di Ginevra del 1951).

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento assorbe gli altri motivi di ricorso.

Si censura l’impugnato decreto là dove il tribunale aveva rilevato che soltanto nel ricorso introduttivo del procedimento il ricorrente aveva “posto a fondamento della propria richiesta di riconoscimento della protezione sussidiaria anche il fondato timore, in caso di rimpatrio, di subire un grave danno derivante dall’ingiusta reclusione per ragioni di orientamento sessuale (p. 4 ricorso), evidenza che ha determinato il Tribunale a scrutinare la plausibilità, negativamente apprezzata per la genericità e sinteticità, sul punto, del narrato.

La statuizione di merito non risponde a diritto.

3.1. La condizione sull’orientamento sessuale del ricorrente dedotta in ricorso è un “fatto nuovo” la cui sussistenza non poteva essere esclusa, a priori in forza di un diretto giudizio sulla non credibilità del dichiarante, senza che questi venisse riascoltato nel corso del giudizio dal tribunale.

Come questa Corte di legittimità ha già avuto occasione di affermare, in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis deve essere letto in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3 direttiva 2013/32/UE nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE. Pertanto, ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Cass., 23/10/2019 n. 27073).

3.2. L’indicato principio è esito di una disamina condotta sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, disamina che – significativamente muovendo dalla sentenza C-348/16 del 26 luglio 2017, Moussa Sacko, per poi sviluppare attraverso le successive sentenze C-565/16 del 25 luglio 2018, Alheto e C-652/16 del 04/10/2018, Nigyar Rauf Raza Ahmecibekova – ha individuato l’esistenza, nel sistema, dell’obbligo del giudice competente di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto della domanda di protezione internazionale.

3.2.1. Detto obbligo è imposto dall’art. 46, par. 3 Direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo – recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – che deve essere interpretato nel contesto dell’intera procedura d’esame delle domande di protezione internazionale disciplinata da tale direttiva, nella stretta connessione esistente tra la procedura d’impugnazione dinanzi al giudice e quella che la precede, nel corso della quale dev’essere data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale.

3.2.2. Con l’ulteriore rilievo che per le indicate fonti il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, può respingere detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente, qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione però che, in occasione della procedura di primo grado, sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale (art. 14 direttiva), e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo (art. 17, par. 2 direttiva) e, d’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione, ove lo ritenga necessario.

3.2.3. Depone all’indicato fine il richiamo ad un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato dall’art. 46, par. 3 di tale direttiva là dove, segnatamente, la locuzione ex nunc segnala l’obbligo del giudice di procedere ad una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto del ricorso, nell’ulteriore rilievo che l’aggettivo “completo” conferma che il giudice è tenuto ad esaminare sia gli elementi che l’autorità accertante ha considerato sia quelli intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte dell’autorità medesima (sentenza C-585/16 del 25 luglio 2018, Alheto).

3.2.4. La cornice resta integrata dal richiamo al potere del richiedente protezione di modificare la causa della sua domanda e le circostanze del caso di specie, invocando, durante il procedimento, un motivo di protezione che, relativo ad eventi o minacce verificatisi prima dell’adozione della decisione dell’autorità o addirittura prima della presentazione della domanda, è stato taciuto dinanzi a detta autorità.

In tal caso il nuovo motivo o i nuovi elementi di fatto devono essere qualificati come “ulteriore dichiarazione” ai sensi dell’art. 40, par. 1 Direttiva 2013/32, con la conseguenza che il giudice investito del ricorso e in linea di principio tenuto ad esaminare tale motivo o tali nuovi elementi di fatto nell’ambito dell’esame della decisione oggetto del ricorso, dopo aver richiesto un esame di tali elementi da parte dell’autorità accertante.

3.2.5. Tanto è destinato valere con il limite della “tardività” della deduzione del motivo o dei nuovi elementi o della loro presentazione non sufficientemente concreta per poter essere debitamente esaminati o ancora con quello della constatata, dal giudice, non significatività degli elementi di fatto o della loro non sufficiente distinzione dagli elementi di cui l’autorità accertante ha già potuto tenere conto (Corte di giustizia sentenza C-652/16 del 04/10/2018, Nigyar Rauf Kaza Ahmedbekova).

3.3. Il tribunale ha mancato di procedere all’audizione del dichiarante ed ha illegittimamente valutato, in violazione dei richiamati principi, l’implausibilità della nuova dedotta circostanza di fatto (condizione di omosessualità del richiedente) pur nel rilievo dalla stessa assunto e nella sufficiente distinzione dei nuovi fatti narrati rispetto alle precedenti deduzioni.

4. Assorbiti i restanti motivi, in accoglimento del secondo motivo di ricorso il decreto impugnato va annullato ed il giudizio rinviato al Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso ed assorbiti i restanti, cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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