Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27252 del 28/12/2016

Cassazione civile, sez. VI, 28/12/2016, (ud. 18/10/2016, dep.28/12/2016),  n. 27252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11231-2013 proposto da:

S.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELLA MARSICA 19 cesso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE,

rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, pro tempore, CONSIGLIO DI

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI,

36, presso lo studio dell’avvocato CARLO MARTUCCELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI MIGLIAROTTI

giusta delega in calce;

– controricorrente –

e contro

CONSIGLIo PRESIDENZA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, Q.A., +

ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso la sentenza n. 22908/2012 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 13/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2016 dal Presidente Relatore Dott. STITANO SCHIRO’;

udito l’Avvocato S.S. difensore di se stesso (ricorrente)

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e deposita querela di

falso in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione 22908/12

e alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 24/11/2013.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A) Con sentenza n. 22908/12 del 13 dicembre 2012 la Corte di cassazione respingeva il ricorso proposto dall’avv. S.S. avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari in data 19 ottobre 2009, che aveva rigettato (appello proposto dal medesimo avv. S. – nonchè l’appello incidentale avente ad oggetto la domanda di risarcimento danni da responsabilità aggravata, mentre aveva accolto altro appello incidentale dichiarando l’estraneità di alcuni convenuti alla pretesa risarcitoria avanzata – contro la sentenza del Tribunale di Cagliari in data 3 agosto 2006, con la quale era stata respinta la domanda avanzata dall’avv. S. nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa (CPGA) e dei componenti di detto Consiglio, per ottenere il risarcimento dei danni, quantificati in 20 miliardi di Lire, conseguenti all’annullamento. con sentenza del Tar Lazio in data 8 marzo 1998 e per violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa, della Delib. 6 dicembre 1996, con la quale il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa aveva deliberato il trasferimento dello S., per incompatibilità ambientale, dal Tar Sardegna al Tar Sicilia.

Con la menzionata sentenza n. 22908/2012. la Corte di cassazione, dichiarata inammissibile la querela di falso proposta dall’avv. S. con riferimento ad alcune affermazioni contenute nella motivazione della sentenza di appello, motivava come segue il rigetto del ricorso:

– il primo motivo di ricorso, con il quale si lamentava l’erroneità dell’interpretazione dell’art. 28 Cost. data dalla Corte di merito in relazione alle difese dell’appellante, nel senso che il significato di detta norma era opposto a quello rappresentato dallo S.. che avrebbe voluto far discendere dalla responsabilità dell’organo la responsabilità del singolo, era inammissibile in quanto cadeva su mere argomentazioni del giudice di merito circa un contrasto dottrinario e giurisprudenziale, che non si erano riflesse sul risultato decisionale della sentenza impugnata;

– il secondo motivo, con il quale si prospettavano tre profili di censura – e in particolare: 1) l’estraneità del cons. V., che invece aveva partecipato indebitamente alla seduta del CPGA relativa alla vicenda dell’attore; 2) l’estraneità alla vicenda dei componenti del suddetto CPGA nel periodo 1997/1999, che invece si erano limitati a eccepire la genericità della domanda attrice; 3) l’omessa considerazione che il potere discrezionale di annullamento di un atto amministrativo non esime l’amministrazione dal pronunciarsi sull’istanza di annullamento pervenutale – era inammissibile nei primi due profili e infondato nel terzo, in quanto:

– nei primi due profili non era stato osservato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione;

– sempre con riferimento ai primi due profili la censura era inconferente, non assumendo rilevanza, ai tini del decidere, fatti successivi al 6 dicembre 1996. data della delibera di trasferimento;

– con riferimento al terzo profilo, doveva condividersi l’assunto della Corte di appello che la richiesta di annullamento avrebbe dovuto essere indirizzata all’organo e non ai singoli componenti, che non avrebbero potuto provvedere sulla richiesta di riesame, mentre con la censura in esame erano stati reiterati argomenti già svolti nel giudizio di appello senza correlarsi con la motivazione della relativa sentenza;

– il terzo motivo – con il quale, sotto il profilo dell’omessa pronuncia e del vizio di motivazione, si deduceva che la Corte di appello non si era pronunciata sulle questioni sollevate dall”appellante e relative alla inescusabilità della violazione del principio del contraddittorio, alla violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione e alla conseguente responsabilità della CPGA – e il quarto motivo, esaminato congiuntamente al terzo, – con il quale si denunciava che la Corte territoriale si era occupata arbitrariamente dell’operato del CPGA con riguardo alle questioni di merito del disposto trasferimento, anzichè ai profili di violazione del principio del contraddittorio e del diritto alla difesa erano inammissibili, per difetto di correlazione con le ragioni della decisione e con lo stesso tema decisionale del processo di appello, fondato sulla censura alla sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda risarcitoria in quanto l’attore non aveva provato e neppure fornito allegazioni circa l’imputabilità del pregiudizio a dolo o colpa della P.A., non ricorrendo neppure il prospettato vizio di motivazione;

– il quinto motivo – con il quale si deduceva che la sentenza della Corte di appello era errata nel merito, avendo i giudici di appello valutato erroneamente le risultanze processuali, senza rilevare che il CPGA aveva mutato le regole in corso d’opera, utilizzando nuove acquisizioni illegittime e quindi agendo con dolo o colpa grave – era inammissibile, mirando a ottenere dalla Corte di cassazione una nuova valutazione delle risultanze di fatto;

il sesto motivo – con il quale si denunciava l’ingiustizia e la eccessività della liquidazione delle spese del giudizio di appello – era infondato, in quanto non era stata violato il divieto di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa e tenuto conto che il valore della causa era determinato in base al principio della domanda, non trovando applicazione il correttivo del decisum stante il rigetto della domanda.

B) Avverso tale sentenza l’avv. S. propone ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, affidato a varie e articolate doglianze e illustrato con memoria. Resistono con controricorso il Presidente del Consiglio dei Ministri, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa e altri controricorrenti, nonchè l’avv. P.A..

Il relatore designato, cons. A.A., in data 4 marzo 2014 ha depositato relazione scritta a norma degli artt. 380 bis e 391 bis c.p.c., concludendo che “il ricorso appare destinato alla declaratoria di inammissibilità”.

Il giudizio rimaneva quindi sospeso, a norma dell’art. 52 c.p.c., u.c.. in seguito alla presentazione, da parte dell’avv. S. di due ricorsi per ricusazione. uno depositato in data 5 maggio 2014 in vista dell’adunanza in camera di consiglio fissata per il giorno 7 maggio 2014 per la trattazione del presente giudizio di revocazione, e l’altro depositato in data 1 luglio 2014 in vista dell’adunanza fissata per il giorno 3 luglio 2014 per la trattazione del precedente ricorso per ricusazione.

Con ordinanza n. 18976/15 depositata il 24 settembre 2015. questa Corte rigettava il ricorso per ricusazione proposto dall’avv. S. in data 5 maggio 2014 nei confronti della dott.ssa A.A., dichiarando altresì inammissibile il ricorso nei confronti del dott. F.M. ed estinto per rinuncia quello nei confronti dei dottori A.A., D.S.F. e B.G.L., dopo che con ordinanza n. 22501/14. depositata il 22 ottobre 2014, era stato rigettato il ricorso per ricusazione proposto in data 1 luglio 2014 nei confronti della dott.ssa V.R. e del dott. F.R., rispettivamente presidente e componente del collegio chiamato a pronunciarsi sul ricorso per ricusazione precedentemente proposto il 5 maggio 2014 nei confronti della dott.ssa A. e altri.

In vista dell’adunanza camerale fissata per il giorno 18 ottobre 2016 per la trattazione del presente ricorso per revocazione, la dott.ssa A. veniva autorizzata ad astenersi dalla trattazione del ricorso medesimo, per gravi ragioni di convenienza ai sensi dell’art. 51 c.p.c., u.c., con provvedimento in data 13 ottobre 2016 del Presidente titolare della Sesta sezione civile, che con provvedimento in pari data disponeva la sostituzione della dott.ssa A. con sè stesso, quale presidente del collegio.

All’odierna adunanza camerale, il ricorrente depositava separata dichiarazione di querela di falso, che veniva unita al verbale di udienza, in relazione alla sentenza di questa Corte n. 22908/12 del 13 dicembre 2012, qui impugnata per revocazione, e alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. depositata il 4 marzo 2014.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- In via preliminare, va esaminata la querela di falso proposta dall’avv. S. all’odierna adunanza camerale con riferimento alla sentenza n. 22908/12 e alla relazione ex art. 380 bis depositata il 4 marzo 2014.

In particolare, il querelante deduce che la menzionata sentenza è “falsa in fatto”, in quanto nella sua pag. 3 si afferma che il Procuratore generale, all’udienza del 6 novembre 2012, avrebbe concluso “per il rigetto del motivo AA. manifesta infondatezza del motivo BB, assorbimento del terzo motivo, mentre in realtà aveva testualmente concluso “per il rigetto del motivo AA. manifesta fondatezza del motivo BB, assorbimento del 3^ motivo”. Indica come mezzo di prova il verbale di udienza, allegato alla querela di falso. Deduce che la falsità in questione è rilevante ai fini della decisione. pur non essendo la richiesta del Procuratore generale vincolante per il collegio decidente, in quanto ha comportato la “mancata pronuncia del Collegio sulla parte decisiva del ricorso 5183/10”, nel senso che, se le conclusioni del P.G. fossero state correttamente riportate, il collegio, per poterle disattendere, avrebbe dovuto dar conto del perchè, anzichè rigettare il motivo senza spiegare le ragioni del dissenso dalle conclusioni del pubblico ministero.

Con riferimento alla relazione ex art. 380 bis depositata il 4 marzo 2014, il ricorrente deduce che la relatrice, alle pagine da 2 a 4, nell’affermare che nel ricorso per revocazione il ricorrente non ha evidenziato, nella sentenza n. 22908/12, errori in fatto o di percezione da parte del collegio giudicante, ma soltanto errori di valutazione sollecitando un nuovo giudizio, ha fornito una non veritiera e falsa in fatto rappresentazione del reale contenuto del ricorso per revocazione, con il quale si era denunciato che nella sentenza suddetta il collegio non si era pronunciato “sui motivi BB/1 e BB/2 e BB/3” del ricorso per cassazione, decidendo invece su questione estranea al giudizio e cioè sul fatto che l’avv. S. avesse meritato l’illegittimo trasferimento. Indica come mezzi di prova il ricorso per revocazione n. 11231/13 da pagg. 28-30 a pag. 53. la sentenza n. 22908/12 e il ricorso per cassazione in data 16 febbraio 2010.

1-1 La querela di falso proposta dall’avv. S. è inammissibile.

Osserva il collegio che il giudice davanti al quale sia proposta querela di falso in via incidentale è tenuto a compiere un indagine preliminare al fine di accertare se ricorrano i presupposti del giudizio di falso (iudicium rescindens), in particolare se la querela sia stata ritualmente proposta, e solo a seguito di esito positivo di detta indagine preliminare, deve procedere al giudizio di accertamento della falsità (iudicium rescissorium) (Cass. 1974/2116).

Ciò premesso, deve rilevarsi che la querela di falso è stata proposta in via incidentale soltanto in sede di discussione nell’adunanza camerale davanti al collegio giudicante, fase nella quale le parti possono illustrare e chiarire i motivi di impugnazione oppure confutare le tesi avversarie, ma non possono proporre nuovi motivi di censura nè sollevare nuove questioni, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato. integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (Cass. 2000/4592; nello stesso senso, con riferimento alle memorie di cui all’art. 378 c.p.c.. Cass. 2005/28855 e, in relazione alla comparsa conclusionale nel giudizio di merito, Cass. 2013/18069). Ne consegue che deve ritenersi inammissibile, in quanto irritualmente sollevata, la querela di falso proposta in sede di discussione orale (v. Cass. 2005/28855, con riferimento alla querela di falso proposta con la memoria ex art. 378 c.p.c.).

2- Passando a esaminare le censure volte alla revocazione della sentenza qui gravata, va premesso che questa Corte, anche di recente (Cass. 2015/15286), ha chiarito che, secondo consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto che può dar luogo a revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, consiste nell’erronea percezione degli atti di causa, che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa. oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato: tale genere di errore presuppone, quindi, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto. emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio, e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti. Il suddetto errore, inoltre, non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve avere i caratteri di assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.

Si è ulteriormente precisato che l’errore deve risolversi esclusivamente in un vizio di sussunzione del fatto e non in errori di criterio nella valutazione ed interpretazione del fatto. che attengano cioè alla valutazione degli atti sottoposti al controllo del giudice, i quali siano stati correttamente percepiti, configurandosi in tali casi l’errore in un vizio di ragionamento sui fatti assunti o in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali qualificabile come errore di giudizio, quando i fatti segnalati abbiano formato oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (Cass. S.u. 1997/5303; 2008/26022; 2013/13181; Cass. 1999/4708; 2006/2478; 2008/17443; 2009/16136; 2012/22868; 2013/22569; 2015/4456).

3- Ritenuto quanto precede, si osserva che, con riferimento alla pronuncia di inammissibilità della querela di falso proposta con il ricorso n. 5183/2010, contenuta nella sentenza di questa Corte n. 22908/2012 qui impugnata, il ricorrente, pur precisando di non condividere tale decisione, dichiara di non impugnare la relativa statuizione e comunque non prospetta vizi di natura revocatoria.

4- Con censura preliminare di carattere generale, il ricorrente deduce che la sentenza riecheggia i contenuti della sentenza di appello e quelle delle difese dei controricorrenti, prescindendo dai contenuti del ricorso per cassazione e delle successive memorie illustrative, nonchè dalle conclusioni del Procuratore Generale, a cui ha attribuito un contenuto diverso da quello reale.

Detto profilo di censura è inammissibile, in quanto privo di specificità e genericamente e apoditticamente formulato e comunque non attinente alla prospettazione di un errore di fatto revocatorio, risolvendosi esplicitamente la censura nella doglianza che la Corte di legittimità ha deciso aderendo alle argomentazioni della Corte di appello e alle deduzioni difensive degli appellati e quindi nell’esercizio del suo potere di valutazione degli atti processuali. Del tutto irrilevante, sotto il profilo revocatorio, è il riferimento all’erronea trascrizione delle conclusioni del Procuratore Generale, mancando qualsiasi prospettazione in ordine alla decisività dell’errore, nel senso che senza detto errore la pronuncia sarebbe stata diversa, tenuto conto che le conclusioni del P.M. non sono vincolanti per il collegio.

5- Procedendo nell’esame delle censure poste a base del ricorso per revocazione, osserva il collegio che, con un primo gruppo di doglianze (pagg. 25 e segg.), il ricorrente deduce che:

a- nel ricorso per cassazione egli, in ordine all’interpretazione dell’art. 28 Cost., non si era limitato, come invece ritenuto nella sentenza qui gravata, a una mera contrapposizione con quanto ritenuto dalla Corte di appello di Cagliari, ma aveva precisato che sin dall’inizio del giudizio di merito aveva proposto la domanda anche direttamente nei confronti dei componenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, ritenuti primi responsabili dell’operato di detto organo collegiale, la cui inescusabilità era conseguenza proprio dell’operato dei suoi componenti;

b- non è vero che nel ricorso per cassazione, con riferimento alla censura attinente alla posizione del cons. V.. non sia stato rispettato il principio di autosufficienza, come invece ritenuto dal collegio giudicante nella sentenza in questa sede gravata;

c- non è attinente alla censura svolta nell’atto di appello, l’affermazione della Corte di legittimità di inconferenza della doglianza di cui al precedente punto b-;

d- non è attinente al merito della censura svolta nell’atto di appello, in ordine alla circostanza che l’Amministrazione non aveva mai risposto alla istanza del ricorrente di annullamento in autotutela della Delib. di trasferimento 6 dicembre 1996, ed è frutto di errore di fatto, anche la decisione della Corte di legittimità, secondo la quale l’annullamento d’ufficio costituisce atti tipicamente discrezionale, che presuppone non soltanto l’illegittimità dell’atto che si intende rimuovere. ma anche l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale che giustifichi l’esercizio del potere di autotutela, atteso che con la censura sollevata nel giudizio di cassazione non era stato posto in discussione il profilo della discrezionalità dell’Amministrazione, ma la circostanza che l’Amministrazione non avesse mai risposto all’istanza dell’interessato.

e- la Corte si è limitata a riportare dati della sentenza impugnata e delle avverse difese, ignorando le censure contenute nel ricorso e nelle difese.

5-1 Il complesso delle censure fin qui illustrato è inammissibile.

Quanto alla doglianza che precede sub 5 a), non viene dedotto un errore di fatto revocatorio, ma viene prospettata una censura sulla valutazione e interpretazione delle risultanze processuali (nella specie del contenuto della domanda promossa dall’avv. S. nel giudizio di merito), compiute dal giudice di legittimità; inoltre la censura non cade su punto decisivo, in quanto la Corte di cassazione ha deciso sul punto sulla base di una diversa ratio, affermando (pag. 11) che il motivo era inammissibile in quanto si relazionava a considerazioni che non si erano comunque riflesse, nel caso di specie, sul risultato decisionale.

Anche la doglianza sub 5 b) non prospetta un errore di fatto revocatorio. in quanto si sostanzia in una critica all’interpretazione del contenuto del ricorso per cassazione operata nella sentenza qui impugnata, sotto il profilo della conformità del ricorso stesso al principio di autosufficienza, in particolare (pag. 12) per quanto riguarda l’onere, da parte del ricorrente, “di specificare nel ricorso puntualmente il contenuto degli atti richiamati e di provvedere alla loro integrale trascrizione, oppure di riportarne i passi essenziali. non essendo sufficiente a riguardo la mera deduzione e non essendo possibile sopperire a tali lacune con indagini integrative, mediante l’accesso a fonti esterne-. E’ appena il caso di rilevare che non coglie nel segno la censura del ricorrente, secondo cui, al sottocapo a) del ricorso per cassazione. “si era dato conto dei dati del contenuto degli atti ivi richiamati e prodotti”. in quanto dal ricorso per cassazione, riportato all’interno del ricorso per revocazione (pag. 23) si evince che i documenti a cui si era fatto riferimento erano stati soltanto indicati, ma non trascritti integralmente o nelle loro parti essenziali. come richiesto nella sentenza qui gravata.

La censura sub 5 e) è a sua volta inammissibile perchè non prospetta un errore di fatto revocatorio, ma cade sulla valutazione delle risultanze processuali da parte della corte di legittimità. che ha congruamente motivato sulla irrilevanza di questioni sollevate dal ricorrente, ma relative a fatti verificatesi in epoca successiva a quella di adozione del provvedimento di trasferimento del 6 dicembre 1996; di fronte a tale motivazione. l’avv. S. muove in questa sede una tipica censura attinente ad asserito errore di giudizio, del tutto estranea all’ambito dei presupposti del ricorso per revocazione per errore di fatto.

Parimenti inammissibile è la censura sub 5 d). con la quale non si deduce un errore di fatto revocatorio, ma si prospetta ancora una volta una doglianza sulla interpretazione e valutazione da parte del collegio giudicante di legittimità di uno dei motivi di impugnazione sollevati dall’appellante. Inoltre il ricorrente in questa sede non censura le ulteriori, autonome rationes ciecidendi su cui si fonda la sentenza di cassazione sul punto ed in particolare (pag. 13) il riferimento all’affermazione della Corte di appello, secondo cui “la richiesta dell’avv. S. doveva essere indirizzata all’organo. unico competente a deliberare sull’istanza di annullamento dell’atto. dato che il singolo funzionario/magistrato non avrebbe potuto provvedere sulla richiesta di riesame – e la ulteriore argomentazione che il ricorrente in sede di ricorso per cassazione si era “limitato a ripetere i suoi argomenti senza relazionarsi minimamente alla considerazione, posta dai giudici di merito a base della decisione – (pag. 14).

Inammissibile è infine la censura svolta sub 5 e), che sostanzialmente reitera la doglianza già illustrata al precedente par. 4 di questa sentenza, e per la quale vale la motivazione già svolta in detto paragrafo.

6- In un secondo gruppo di doglianze, il ricorrente, con un primo profilo. deduce che non risponde a realtà che egli – come invece ritenuto da questa Corte nella sentenza qui impugnata sulla base di “pura illazione-, di travisante “invenzione” “di mancata/errata lettura-percezione della realtà degli atti di causa e della stessa realtà di fatto” – non avesse dedotto in appello la erroneità della pronuncia di primo grado del Tribunale di Cagliari. che aveva interpretato la domanda risarcitoria come fondata solo sulla responsabilità in re ipso della P.A., avendo egli invece “sempre sostenuto che vi era dolo o quantomeno colpa grave”; con un secondo profilo censura che il vizio di motivazione da lui dedotto avverso la sentenza di appello sia stato interpretato come diversa valutazione delle risultanze di causa e come istanza volta al riesame del merito, laddove egli aveva eccepito nel ricorso per cassazione che la Corte di appello aveva preso in considerazione fatti inconferenti, estranei all’oggetto della causa.

6-1 Entrambi i descritti profili di doglianza sono inammissibili, in quanto si risolvono, non nella prospettazione di errori di fatto idonei a configurare i dedotti vizi revocatori della sentenza impugnata. ma in censure volte a criticare l’interpretazione, da parte della Corte di legittimità. dei motivi di appello proposti dall’avv. S.. Le doglianze non sono neppure attinenti al decisum della sentenza qui impugnata per revocazione (pag. 16), in forza del quale “lo stesso tema decisionale del giudizio di appello, quale era stato determinato dalle ragioni dell’impugnazione” era fondato sull’erroneità della pronuncia con cui il giudice di primo grado. pur riconoscendo l’illegittimità dell’operato della P.A., aveva respinto la domanda di risarcimento danni avanzata dallsavv. S. “nella considerazione per la quale l’attore non avrebbe provato e neppure fornito allegazioni circa l’imputabilità del pregiudizio a dolo o colpa della P.A.”, laddove il ricorrente. a sostegno della domanda di revocazione. ha erroneamente dedotto (pag. 39) che “il collegio 6/11/12, infatti, ha supposto-considerato che oggetto della domanda originaria dello S., per la quale poi è stato proposto il ricorso 16/2/10. fosse la questione di merito relativa al trasferimento per incompatibilità ambientale (IA), e cioè che la domanda ed il ricorso fossero diretti ad eccepire la illegittimità del trasferimento nel merito”.

Che poi il dedotto vizio di motivazione si sia tradotto nella mera prospettazione di una diversa interpretazione delle risultanze di causa trova conferma.. dalla stessa affermazione del ricorrente (pag. 42 del ricorso per revocazione), secondo la quale la “Corte intestata” “ha avuto attenzione solo per le illegittime, improprie e aberranti asserzioni della impugnata sentenza della CTAPP CA”, ossia operando sulla base di una propria valutazione autonoma. anche se non condivisa dal ricorrente, delle risultanze di causa, con conseguente esclusione della sussistenza nella specie di errore di fatto revocatorio, atteso che comunque, alla luce delle stesse deduzioni difensive del ricorrente, gli errori dal medesimo prospettati non hanno il carattere dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o i documenti di causa, ma necessitano di argomentazioni induttive e di particolari indagini interpretative, e non hanno il carattere di decisività, non ravvisandosi un nesso causale tra gli errori prospettati e il sicuro, diverso esito della decisione.

7- Con un terzo gruppo di doglianze si censura la decisione sul quinto motivo del ricorso per cassazione, con la quale la Corte di legittimità ha affermato che “il ricorrente, pur denunciando, formalmente, una violazione di legge ed una motivazione insufficiente e/o contraddittoria della sentenza di secondo grado, mira in realtà ad ottenere da questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello-non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative-. L’avv. S. deduce che il descritto punto di decisione è frutto di errata lettura-percezione delle risultanze di riferimento, se non anche di quasi totale mancata lettura. e che la sentenza non indica quali sarebbero le risultanze cristallizzate quanto ad effetti e quindi non suscettibili di ulteriore giudizio in sede di legittimità. La doglianza si sostanzia in una chiara censura sulla interpretazione delle risultanze processuali e cade su punto controverso su cui la Corte di legittimità si è pronunciata con ampia ed esaustiva motivazione.

Anche tale doglianza, pertanto. non prospetta vizi integranti gli estremi dell’errore di fatto revocatorio.

8- Con l’ultima censura il ricorrente critica la liquidazione delle spese di secondo grado. reiterando le doglianze mosse nel giudizio di cassazione e deducendo come errore di fatto la erronea trascrizione, nell’epigrafe della sentenza di cassazione, delle conclusioni del Procuratore Generale.

Anche tale motivo non integra gli estremi dell’errore di fatto revocatorio, in quanto, da un lato, prospetta, del tutto in ammissibilmente in questa sede, vizio di violazione di norme di diritto e in particolare della Tariffa professionale, dall’altro cade su un mero errore materiale di trascrizione nell’epigrafe della sentenza delle conclusioni in udienza del Procuratore generale. comunque non decisivo in quanto le conclusioni del Procuratore generale non sono vincolanti per il collegio decidente e non vi è prova, ma neppure deduzione difensiva di parte ricorrente. che senza detto errore di trascrizione la decisione qui impugnata sarebbe stata diversa.

9- Le considerazioni che precedono conducono univocamente alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso per revocazione e le spese processuali, da liquidarsi come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 15.200.00, di cui Euro 200.00 per esborsi, oltre a spese forfetarie e accessori di legge, in favore del controricorrente P.A. e in Euro 15.000,00, oltre a spese prenotate a debito, per gli altri controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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