Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27248 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 30/11/2020), n.27248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33376/2018 proposto da:

Y.B., elettivamente domiciliato in Isernia via XXIV maggio n.

33, presso lo studio dell’avv. Paolo Sassi, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato,

che lo rappresenta e difende come per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

02/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2019 dal Cons. Dott. LUCA SOLAINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Campobasso ha respinto il ricorso proposto da Y.B., cittadino del (OMISSIS) richiedente asilo, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale, anche nella forma sussidiaria, e di quella umanitaria.

Il ricorrente aveva dichiarato di aver ferito durante un alterco, colpendolo alla testa con un bastone, uno dei suoi fratellastri, e di aver subito dopo lasciato il proprio Paese, per timore di essere perseguitato, senza neppure verificare se la vittima fosse o meno morta e se a suo carico fosse stata sporta una denuncia.

Il tribunale, sottolineate le lacune e le incongruenze del racconto, ha ritenuto Y. inattendibile, rilevando peraltro, che qualora i fatti narrati fossero stati veritieri, eventuali provvedimenti assunti nei suoi confronti per i reati di omicidio (o di tentato omicidio) sarebbero stati del tutto legittimi; il giudice del merito ha poi escluso che il Gambia versi in una situazione di conflitto armato generalizzato ed ha affermato che il richiedente non aveva allegato specifici profili di vulnerabilità, ostativi al suo rimpatrio.

Contro il decreto Y.B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente censura la decisione per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 14 e art. 27, comma 1 bis, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g), artt. 3, 5, 7, 14, art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19 e per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Lamenta che il tribunale abbia ritenuto il suo racconto inattendibile senza neppure disporre la sua audizione e senza confutare le critiche da lui mosse al provvedimento della Commissione Territoriale, in sostanza omettendo qualsivoglia analisi e valutazione dei motivi di ricorso; assume di aver compiutamente esposto le ragioni della sua fuga dal Gambia e di aver il fondato timore di subire persecuzioni, atteso che il tentato omicidio del fratellastro, che si rifiutava di concedergli la quota di eredità paterna a lui spettante, lo esporrebbe sia al pericolo di ritorsioni da parte dei più stretti congiunti della vittima, sia al rischio di essere rinchiuso nelle carceri gambiane, in cui i detenuti sono sottoposti a torture e maltrattamenti; si duole, inoltre, che il tribunale non abbia tenuto conto che egli ha lasciato il Gambia quando ancora il Paese era sottoposto ad un regime dittatoriale, in cui si verificavano arresti arbitrari e sparizioni forzate di cittadini, e che non abbia valutato se i timori da lui espressi potessero ritenersi fondati in relazione alla situazione generale ivi esistente, atteso che la mancanza di prove a sostegno delle istanze di una persona che fugge da persecuzioni costituisce la regola e non l’eccezione.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e omesso esame di un fatto decisivo; ribadisce che il tribunale ha omesso di svolgere adeguata attività istruttoria in ordine alla situazione esistente in Gambia e lamenta il rigetto della domanda di protezione umanitaria, sostenendo che il giudice ha fondato tale pronuncia su una motivazione apparente, senza svolgere il dovuto giudizio di comparazione.

Con il terzo motivo Y. deduce violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, per aver il tribunale ritenuto il ricorso manifestamente infondato e disposto conseguentemente la revoca della sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il primo motivo è inammissibile.

Esso infatti si risolve, per un verso, nella pretesa di ottenere un nuovo giudizio di merito in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente (meramente sintetizzate, ma non riportate nella loro interezza, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), senza che sia specificato se questi abbia chiesto di essere sentito a chiarimenti dal tribunale, senza che siano riprodotti i motivi impugnazione del provvedimento della C.T., nè che sia indicato il fatto decisivo omesso, oggetto di discussione, che avrebbe potuto condurre ad un diverso accertamento sul punto; per altro verso, il motivo svolge invece, senza indicare alcuna fonte, considerazioni astratte, circa il pericolo di persecuzione che correrebbero tutti i cittadini gambiani, ma non investe l’ampia motivazione in base alla quale il tribunale – dopo aver rilevato che il mancato rispetto dei diritti umani in un Paese non è sufficiente all’accoglimento delle domande di protezione ove non si riverberi sulla specifica situazione personale del richiedente – ha pure accertato, sulla scorta delle plurime fonti di informazione internazionale consultate, che, caduto il precedente regime dittatoriale, il Gambia è attualmente in una fase di sviluppo economico e sociale, nonchè di positiva evoluzione nel riconoscimento delle libertà civili, e non versa in una situazione di conflitto armato generalizzato.

Il secondo motivo è anch’esso inammissibile, in quanto censura la pronuncia di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria in via del tutto generica e assertiva: il tribunale ha infatti valutato l’attuale situazione socio-politica del Gambia e, rilevato che il ricorrente non aveva allegato specifici profili di sua vulnerabilità, ha compiuto il giudizio comparativo, escludendo che la sua dimostrata volontà di inserimento nel tessuto lavorativo e sociale italiano integrasse di per sè i presupposti per l’accoglimento di tale domanda. Il terzo motivo è, del pari, inammissibile.

Infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dall’art. 170 dello stesso D.P.R., atteso che l’immediata impugnazione della revoca con ricorso per cassazione è rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del T.U. cit. (Cass. nn. 3028/2018, 10487/2020).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente ala pagamento delle spese processuali, che liquidai in favore del Ministero dell’Interno, in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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