Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27238 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 18/09/2019, dep. 23/10/2019), n.27238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5059/2018 r.g. proposto da:

A.H.R., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Aldo Egidi, presso il cui studio elettivamente domicilia in Milano,

alla via Carlo Pisacane n. 10.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di MILANO depositata in

data 04/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza del 26 ottobre/4 dicembre 2017, la Corte di Appello di Milano, accogliendo il corrispondente gravame del Ministero dell’Interno, ed in totale riforma dell’ordinanza del Tribunale di quella stessa città del 20 dicembre 2016, confermò il provvedimento del Questore di Milano n. 29374/2015 di diniego del permesso di soggiorno per motivi familiari ad A.H.R., sposato e convivente con W.H., cittadina italiana.

1.1. Quella corte, premettendo che l’appellato risultava essere stato condannato, giusta la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1094 del 2009, per i reati di ricettazione in concorso, riciclaggio aggravato e continuato in concorso, occultamento, soppressione, distruzione di targhe false, acquisto e ricezione di targhe contraffatte, alterazione e contraffazione di impronte di pubblica autenticazione, contraffazione di segni distintivi, ritenne che l’ordinanza impugnata non desse conto dei criteri e degli apprezzamenti in base ai quali aveva ritenuto la prevalenza delle esigenze di unità familiare. Richiamati, pertanto, i principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità quanto alle modalità di valutazione della pericolosità sociale del richiedente il permesso di soggiorno, opinò che: i) nella specie, era incontroverso che A.H.R., in Italia dal 1980, nel 2009 era stato coinvolto in un rilevante traffico internazionale di automobili rubate, e questa sola circostanza valeva ad escludere che lo stesso si fosse integrato nel tessuto sociale nazionale “legale”; ii) il fatto che questi avesse espiato la pena, in regime per lo più non carcerario, non era sufficiente a dimostrarne un effettivo allontanamento dagli ambienti criminali, nei quali aveva un ruolo di spicco; iii) l’appellato aveva prodotto buste paga rilasciate dalla società SAMARA CLUB SRL (attiva nel settore di gestione delle discoteche e sale da ballo), ma non aveva allegato, nè provato, che tipo di attività svolgesse in concreto, così da dimostrare il reinserimento in un tessuto sociale sano ed idoneo a garantirgli autosufficienza economica ed un definitivo allontanamento da ambienti criminali.

2. Avverso questa sentenza A.H.R. ricorre per cassazione, affidandosi ad un unico, articolato motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, nonchè carenza/insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Il Ministero dell’Interno – Questura di Milano (così l’evocazione in giudizio) non ha spiegato difese in questa sede.

2.1. In particolare, la formulata censura ascrive alla corte distrettuale: i) una motivazione “carente/insufficiente” per non aver “adeguatamente ponderato il problema della pericolosità sociale, concludendo in maniera diametralmente opposta a quanto stabilito dal Giudice di primo grado”. Le argomentazioni da essa addotte non evidenziavano, ad avviso del ricorrente, elementi idonei a giustificare l’attualità della pericolosità sociale del medesimo, nemmeno essendoci stata contestazione in ordine alla sua attività lavorativa ed alla conseguente disponibilità di un reddito derivante da fonte lecita; ii) una “errata applicazione delle norme di diritto”, avendo sviluppato “un ragionamento in punto di diritto non condivisibile” laddove non aveva tenuto conto degli elementi nuovi sopravvenuti che consentono il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5.

3. Il descritto motivo è complessivamente inammissibile, al pari della documentazione (Delib. Assembleare della Samara Club s.r.l.; buste paga e “certificazione unica 2017”) allegata al ricorso e di quella depositata il 18 settembre 2019, evidentemente non rientrante tra quella il cui deposito è consentito dall’art. 372 c.p.c..

3.1. Nella parte in cui denuncia un vizio motivazionale, l’inammissibilità della doglianza deriva dal fatto che si fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione (motivazione carente/insufficiente) non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile in quello contemplato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 4 dicembre 2017), atteso che tale mezzo di impugnazione esclude, oggi, diversamente da quanto auspicato dal ricorrente – la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Ne consegue, altresì, che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053, nonchè, più recentemente, ex multis, Cass. n. 7472 del 2017; Cass. n. 21304 del 2016).

3.1.1. Nulla di tutto ciò risulta, invece, specificamente argomentato nella censura motivazionale oggi prospettata da A.H.R..

3.2. Altrettanto inammissibile si rivela la sua doglianza di violazione o falsa applicazione di legge.

3.2.1. La corte territoriale, invero, dopo aver ricordato che l’appellato risultava essere stato condannato, giusta la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1094 del 2009, per i reati di ricettazione in concorso, riciclaggio aggravato e continuato in concorso, occultamento, soppressione, distruzione di targhe false, acquisto e ricezione di targhe contraffatte, alterazione e contraffazione di impronte di pubblica autenticazione, contraffazione di segni distintivi, ha totalmente riformato l’ordinanza innanzi ad essa impugnata, così confermando il provvedimento del Questore di Milano n. 29374/2015 di diniego del permesso di soggiorno per motivi familiari ad A.H.R., assumendo, come si è già detto, che: i) era incontroverso che A.H.R., in Italia dal 1980, nel 2009 era stato coinvolto in un rilevante traffico internazionale di automobili rubate, e questa sola circostanza valeva ad escludere che lo stesso si fosse integrato nel tessuto sociale nazionale “legale”; il fatto che questi avesse espiato la pena, in regime per lo più non carcerario, non era sufficiente a dimostrarne un effettivo allontanamento dagli ambienti criminali, nei

quali aveva un ruolo di spicco; l’appellato aveva prodotto buste paga

rilasciate dalla società SAMARA CLUB SRL (attiva nel settore di gestione delle discoteche e sale da ballo), ma non aveva allegato, nè provato, che tipo di attività svolgesse in concreto, così da dimostrare il reinserimento in un tessuto sociale sano ed idoneo a garantirgli autosufficienza economica ed un definitivo.

3.2.2. Un siffatto iter argomentativo appare assolutamente rispettoso dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, per effetto delle modifiche introdotte, con il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 5 (cui è stato anche aggiunto il comma 5-bis), del T.U. Immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998), in caso di richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare non è più prevista l’applicabilità del meccanismo di automatismo espulsivo, in precedenza vigente, che scattava in virtù della sola condanna del richiedente per i reati identificati dalla norma, sulla base di una valutazione di pericolosità sociale effettuata ex ante in via legislativa, occorrendo, invece, per il diniego, la formulazione di un giudizio di pericolosità sociale effettuato in concreto, il quale induca a concludere che lo straniero rappresenti una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza, tale da rendere recessiva la valutazione degli ulteriori elementi contenuti nel novellato del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 (la natura e la durata dei vincoli familiari, l’esistenza di legami familiari e sociali con il Paese d’origine e, per lo straniero già presente nel territorio nazionale, la durata del soggiorno pregresso). Ne consegue che è onere dell’autorità amministrativa e, successivamente, dell’autorità giurisdizionale, al fine di non incorrere nel vizio di motivazione, di esplicitare le ragioni della pericolosità sociale, alla luce dei parametri normativi sopra evidenziati (cfr., ex multis, Cass. n. 17070 del 2018; Cass. n. 19957 del 2011; Cass. n. 8795 del 2011).

3.3. Appare, allora, evidente che A.H.R., con il motivo in esame, per come concretamente argomentato (ivi non rinvenendosi alcuna indicazione di specifici fatti sopravvenuti, e diversi da quelli valutati dalla corte distrettuale), tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronunciarsi sulle spese di questo giudizio di legittimità essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, altresì rivelandosi che, dagli atti, il processo risulta esente dal contributo unificato, sicchè non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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