Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27236 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11692/2019 proposto da:

W.M., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

CANCELLERIA Civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, e

rappresentato e difeso dall’avvocato Giacinto Corace, in forza di

procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/10/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, con decreto n. cronol. 2573/2019, depositato in data 15/3/2019, ha respinto la richiesta di W.M., cittadino del (OMISSIS), a seguito di diniego della competente Commissione Territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria e per ragioni umanitarie.

In particolare, il Tribunale, all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, ritenuto non necessario disporre nuova audizione del richiedente, in difetto di allegazione di fatti nuovi o di segnalazione di specifiche carenze nell’audizione svoltasi durante la fase amministrativa, ha osservato che la vicenda personale narrata dal medesimo (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per sfuggire alle minacce di un appartenente alla propria religione, sunnita, peraltro maggioritaria nel Paese, e facente parte del gruppo (OMISSIS) e (OMISSIS), a causa della frequentazione con amici sciiti), pur credibile, non integrava un pericolo attuale, risalendo i fatti al (OMISSIS), e considerato che il ricorrente avrebbe potuto trovare tutela nell’autorità locale (essendo, peraltro, il di lui fratello un militare), anche perchè il gruppo, cui apparteneva il vicino aggressore, era stato messo al bando dal governo pakistano; quanto alla protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (il Punjab) non era interessata da conflitti armati interni (secondo i report consultati di Refworld.org del 2019 ed EASO 2017); non ricorrevano neanche i presupposti della protezione umanitaria, dovendosi escludere condizioni di vulnerabilità, oggettive o soggettive, non avendo il richiedente problemi di salute nè essendo stato dimostrato un effettivo radicamento in Italia (essendo stato prodotto un contratto a tempo determinato) ed, anzi, avendo il richiedente in Pakistan fratelli e sorelle.

Avverso il suddetto decreto, W.M. propone ricorso per cassazione, notificato via PEC il 10/04/2019, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che deposita controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo il Tribunale, in ordine alla credibilità delle dichiarazioni, compiuto un esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione in Pakistan delle minoranze etniche indicate; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 17 e art. 14, lett. c), avendo il Tribunale escluso il rischio di persecuzione, ai fini della richiesta di protezione sussidiaria, pur avendo rilevato che nel Paese vi sono trattamenti inumani e degradanti; c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8, 9, 10 e 11, come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017 conv. con modificazioni in L. n. 46 del 2017, per mancata fissazione “dell’udienza”, in quanto l’indisponibilità della videoregistrazione avrebbe reso necessaria l’udienza e l’audizione del richiedente; d) con il quarto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 comma 2, nonchè art. 10, comma 3, sia l’omesso esame di fatto decisivo e la motivazione apparente in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Le prime due censure sono inammissibili, in quanto non si confrontano con il decisum, avendo il Tribunale compiuto un corretto vaglio della credibilità del richiedente ed un accertamento officioso sulla situazione generale del Paese di provenienza, anche con riguardo alle minoranze etniche indicate dal richiedente.

2.1. Quanto alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri di procedimentalizzazione legale della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicchè anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

Sempre in tema (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente.

Nel caso di specie, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati, ha ritenuto credibile il racconto carattere ma non integrante i presupposti sia per il riconoscimento dello status di rifugiato sia per la concessione della protezione sussidiaria.

2.2. In riferimento al diniego di protezione sussidiaria, se è vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534), deve tuttavia rilevarsi che il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato, consultando fonti internazionali.

Inoltre, come già rilevato da questa Corte (Cass. 19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale” (in termini anche Cass. 27503/2018 e Cass. 29358/2018).

Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il Tribunale attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso. Neppure, nel ricorso, si specifica quali siano stati i contenuti di allegazione curati in appello e diretti a sollecitare l’esercizio ufficioso, in materia di prova, dei poteri integrativi nel giudizio di impugnazione (si indicano essenzialmente precedenti di giurisprudenza di merito di segno contrario).

Ora, questa Corte (Cass. 14282/2019, in motivazione) ha di recente chiarito che “in materia di protezione internazionale, quando se ne invochi l’applicazione nella forma sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – là dove riferita all’esistenza di uno stato di diffusa ed indiscriminata violenza, di grado tale da attingere colui che richieda protezione per il solo fatto che egli faccia rientro nel suo paese di origine senza necessità di deduzione di un rischio individualizzato – gli oneri di allegazione gravanti sul richiedente che impugni in appello devono, in quella fase, conformarsi a natura e struttura del giudizio, destinato a veicolare attraverso i motivi la censura alla decisione di primo grado”, il tutto in correlazione alla specificità della critica difensiva in appello, imposta dall’art. 342 c.p.c., non essendo consentito al ricorrente, che della decisione di secondo grado censuri l’illegittimità, di far valere per la prima volta nel giudizio di cassazione deduzioni ed allegazioni mancate nella fase impugnatoria di merito.

La doglianza è altresì inammissibile perchè mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

3. In merito poi alla censura relativa alla mancata audizione personale della richiedente di fronte ai giudici (così dovendosi intendere il motivo, considerato che l’udienza si è tenuta), la stessa è infondata.

Questa Corte, nella pronuncia n. 17717/2018, dopo avere affermato che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve ineluttabilmente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del già richiamato principio del contraddittorio, ha chiarito che ciò non implica “automaticamente.. che si debba anche necessariamente dar corso all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49)”, a fronte di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”.

Il che comporta che l’audizione personale del richiedente non sia necessaria quando la Commissione territoriale (la procedura di primo grado, secondo la Corte di Giustizia UE) abbia respinto la richiesta di protezione per manifesta infondatezza ed il giudice abbia ritenuto non necessario richiedere chiarimenti al cittadino straniero.

Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che ” nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

Questa Corte, ancora da ultimo (Cass. 21584/20), ha ulteriormente precisato che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.

Nella specie, il Tribunale ha rilevato che non erano stati allegati fatti nuovi in ricorso, con conseguente non necessità di nuova audizione.

4. In relazione al diniego di protezione umanitaria, quanto al vizio motivazionale, la doglianza è infondata, in quanto il fatto rappresentato nel motivo (la minaccia da parte del Governo pakistano a causa della militanza politica) è stato preso in esame dal Tribunale, che ha ritenuto non attuale il pericolo dedotto, sia perchè i fatti risalgono nel tempo ((OMISSIS)) sia per le diverse condizioni ad oggi del Paese, anche in punto di tutela e protezione dei cittadini.

Quanto a vizio di violazione di legge, è stato e chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Nella specie, il Tribunale ha compiuto una esaustiva valutazione della situazione del richiedente, rilevando la mancanza di situazioni di vulnerabilità, sia oggettiva sia soggettiva, del richiedente, nè vengono dedotte situazioni di vulnerabilità, già allegate, e non prese in esame dal giudice di merito. La censura risulta pertanto inammissibile.

Non vi è questione di operatività nel presente giudizio di legittimità del D.L. n. 130 del 2020, entrato in vigore il 22/20/2020, atteso il tenore della disposizione transitoria di cui dell’art. 15, comma 1.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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