Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27235 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 30/11/2020), n.27235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9581/2016 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giunio Bazzoni

n. 3, presso lo studio dell’avvocato Bini Andrea, che lo rappresenta

e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M.C., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

Monte Gennaro n. 24, presso lo studio dell’avvocato Rossi Pompilia,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 838/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

pubblicata il 09/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/10/2020 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 838/2016, depositata in data 9/2/2016, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi P.E. e R.M.C., con addebito al marito, assegnazione della casa coniugale alla moglie, affidamento della figlia minore, nata nel (OMISSIS), in via esclusiva alla madre, con regolamentazione delle modalità di frequentazione da parte del padre, da intensificarsi previo consulto con la terapeuta che aveva in cura la ragazza, e fissazione di un assegno mensile di Euro 1.050,00 a carico del P. (di cui Euro 400,00 per il mantenimento della moglie, ed Euro 650,00 per il contributo al mantenimento della figlia, oltre il 5% delle spese straordinarie nell’interesse di quest’ultima), da rivalutarsi secondo indici Istat.

In particolare, i giudici d’appello, in punto di addebito, hanno sostenuto che andava confermata la valutazione del Tribunale di Viterbo, risultando, dall’istruttoria espletata, con assunzione di prove testimoniali, che il P., in costanza della convivenza famigliare, si era totalmente disinteressato della grave patologia di cui era affetta la figlia (autismo), abbandonando il tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore; ad avviso dei giudici della Corte di merito, doveva confermarsi l’affidamento in via esclusiva alla madre, non avendo il padre dimostrato un coinvolgimento personale in merito alle delicate condizioni di vita della minore, necessitante invece di cura ed assistenza continue, senza necessità di disporre una consulenza tecnica, valutate le relazioni in atti dei medici che avevano in cura la minore. La Corte distrettuale confermava anche l’entità dell’assegno di mantenimento in favore della moglie e della figlia, valutando le rispettive condizioni reddituali e patrimoniali dei coniugi e le necessità della figlia minore (anche in punto di regime alimentare, estremamente costoso, ed essendo l’indennità di accompagnamento di Euro 460,00 destinata alle sue cure mediche).

Avverso la suddetta pronuncia, P.E. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti di R.M.C. (che resiste con controricorso). Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 151 c.p.c., comma 2, in punto di addebitabilità della separazione; 2) con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo circa l’addebitabilità della separazione, avuto riguardo al contenuto delle diverse deposizioni testimoniali, dalle quali sarebbe, in realtà, emerso che la frattura coniugale era da ricollegare alla eccessiva ingerenza dei genitori della moglie, non sufficientemente contrastata da quest’ultima; 3) con il terzo motivo, la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 316, 337 ter e 337 quater cc., in ordine all’affidamento in via esclusiva della minore alla madre, in deroga alla regola generale dell’affidamento condiviso; 4) con il quarto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione all’affidamento esclusivo della minore disposto solo a fronte di un asserito disinteresse del padre, non essendosi ritenuto necessario un accurato accertamento peritale; 5) con il quinto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivo circa gli aspetti patrimoniali delle parti e le conseguenti statuizioni economiche.

2. La prima censura è inammissibile.

La statuizione del giudice d’appello è conforme ai principi di diritto più volte enunciati da questo giudice di legittimità (Cass. 2373/2005; Cass. 17056/2007: “l’abbandono della casa familiare, di per sè costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto”; conf. Cass. 10719/2013; Cass. 25663/2014).

Nella specie, la Corte distrettuale ha dato rilievo al comportamento reiterato del marito, di totale disinteresse, in costanza della convivenza famigliare, verso la grave patologia di cui era affetta la figlia (autismo), avendo questi proposto il ricovero in una struttura esterna per disabili, rifiutandosi di seguire le terapie cliniche e le condizioni di vita della bambina, non “affiancando” la moglie “nel complicato percorso di vita e crescita della figlia”, preferendo estraniarsi e delegare alla moglie ogni aspetto, con abbandono del tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore.

Inoltre, in difetto di violazione di legge, la valutazione delle risultanze delle prove, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (Cass. 11511/2014). Le censure poste a fondamento del ricorso si risolvono nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 7972/2007; Cass. 25332/2014).

Anche in questa sede, il ricorrente si limita del tutto genericamente ad attribuire all’ingerenza dei suoceri la causa della crisi coniugale, non confrontandosi con la complessiva valutazione espressa dalla Corte di merito.

3. La seconda censura è inammissibile, in quanto non articolata nel rispetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. 8053/2014; Cass. 23940/2017).

Ora, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017; Cass. 29404/2017).

Nella specie, non vi è stato omesso esame di un fatto storico, avendo la Corte d’appello proceduto ad una propria valutazione delle risultanze istruttorie, ed in primis alla valutazione dell’addebitabilità della frattura dell’unione coniugale al comportamento del marito; con i motivi, si vuole sollecitare un nuovo esame delle risultanze fattuali accertate dal giudice di merito. Inoltre il vizio di insufficiente motivazione non può essere più sindacato dal giudice di legittimità.

4. Il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente, attenendo alla questione dell’affidamento esclusivo della minore alla madre, in luogo della scelta dell’affidamento condiviso, sono inammissibili.

La Corte d’appello ha confermato il provvedimento del Tribunale, che, all’esito di prove testimoniali e delle relazioni dei servizi sociali, aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore (affetta da forma di autismo) alla madre, con regolamentazione temporale degli incontri con il padre.

Ora, le richieste concernenti le statuizioni relative all’affidamento della figlia sono divenute inammissibili per carenza di interesse (v. Cass. 10719/2013: “quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l’affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all’impugnazione”; Cass. 5383/2006). L’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (Cass. 15623/2005).

5. Il quinto motivo è inammissibile, in quanto con esso si tende a sollecitare un riesame della documentazione già vagliata dal giudice di merito, in ordine alle condizioni economiche dei coniugi, lamentandosene una errata valutazione.

La situazione patrimoniale del P. è stata valutata nel complesso, tenuti in considerazione i redditi da lavoro e da locazione nonchè l’importo percepito per via ereditaria, alla morte del padre, assieme al fratello (e dunque necessariamente pro-quota) e le entrate finanziarie risultanti dagli estratti-conto.

La moglie non svolge attività lavorativa, percepisce un reddito da locazione di circa Euro 450,00 mensili (l’indennità di accompagnamento della minore essendo destinata alle cure mediche della stessa) e dispone solo dell’aiuto, anche economico, della famiglia di origine.

Il ricorrente, nella sostanza, lamenta la asserita lacunosità delle informazioni bancarie e patrimoniali della moglie, ma non allega fatti specifici documentali e provati il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello.

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

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