Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27233 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27233 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1785/08) proposto da:
CANTARUTTI LUCA, ZAMERO ALESSANDRA, ZANINI MARGHERITA, SACCAVINI
ENRICO, MAIOLINO INES, DE CILLIA RENATO e SANTI LUCIANO, tutti rappresentati e
difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Carlo Monai ed
Ermanno Prastaro ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, via
G. Chinotto, n. 1 (scala C); – ricorrenti contro
VICARI CLAUDIO e BRAIDOTTI SABRINA, rappresentati e difesi, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Rino Battocletti e domiciliati “ex lege” presso
la Cancelleria della Corte di cassazione; – controricorrentie
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z 3 e4/ 4 3

Data pubblicazione: 04/12/2013

CIMOLINO RENZA;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 536/07 della Corte di appello di Trieste, depositata il 10 ottobre
2007 e notificata il 26 novembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 novembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 65 del 2004, l’adito Tribunale di Udine – sez. distaccata di Cividale del
Friuli accoglieva, con correlata condanna dei convenuti alla rifusione delle spese giudiziali,
l’impugnazione proposta, ai sensi dell’art. 1137 c.c., dai sigg. Vicari Claudio e Braidotti
Sabrina, quali proprietari di un appartamento ubicato nel Condominio “Stretta San
Valentino” n. 6 sito nel territorio di Cividale, nei confronti degli altri condomini Cantarutti
Luca, Zamero Alessandra, Zanini Margherita, Saccavini Enrico, Maiolino Ines, Cimolino
Renza, De Cillia Renato e Santi Luciano (quest’ultimo rimasto contumace), in ordine alla
deliberazione condominiale adottata all’assemblea del 10 settembre 2002, dichiarandone la
nullità, per quanto di ragione, sul presupposto della ritenuta sua illegittimità, desumibile
dall’art. 1102 c.c., nelle parti in cui era stato costituito il divieto per i singoli condomini di
aprire, nel muro perimetrale condominiale, nuovi accessi alla corte comune, era stato
previsto che i condomini non avrebbero potuto — se non con la preventiva autorizzazione
condominiale — apportare modifiche architettoniche al complesso o alle singole unità nelle
parti esposte alla vista comune e con riferimento alla suddivisione delle spese di
consulenza tecnica secondo un criterio diverso da quello millesimale (trattandosi di
determinazione integrativa del regolamento condominiale che, in quanto tale, avrebbe
dovuto essere approvata all’unanimità).
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udito l’Avv. Carlo Monai per i ricorrenti;

Interposto appello da parte dei soccombenti convenuti e nella resistenza degli appellati, la
Corte di appello di Trieste, con sentenza n. 536 del 2007 (depositata il 10 ottobre 2007),
rigettava il gravame e condannava gli appellanti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese
del grado.
A sostegno della decisione adottata la Corte territoriale rilevava l’infondatezza della

giudizio a quella di un “supercondominio” (difettandone i presupposti strutturali e funzionali,
essendo rimasto accertato che trattavasi di un unico Condominio costituito da diversi
blocchi di edifico, tutti singolarmente privi di autonoma organizzazione della cosa comune)
e, per l’effetto, considerava corretta la disposta applicazione dell’art. 1102 c.c. (e, quindi,
l’inapplicabilità del diverso disposto dell’art. 1120 c.c.), con la conseguente legittimità della
dichiarata nullità della deliberazione impugnata contenente il generalizzato divieto
preventivo per la collettività dei condomini di aprire qualsiasi varco nel muro perimetrale
comune. Allo stesso modo, il giudice di secondo grado valutava come infondata l’ulteriore
doglianza concernente la nullità della ripartizione “capitaria” delle spese di consulenza
legale anziché in misura proporzionale al valore delle singole proprietà, attesa
l’insussistenza di una concorde deroga convenzionale al regolamento condominiale, con la
conseguente applicabilità del generale disposto di cui all’art. 1123, comma 1, c.c. .
Avverso la suddetta sentenza di appello (notificata il 26 novembre 2007) hanno proposto
rituale ricorso per cassazione i predetti appellanti (ad eccezione di Cimolino Renza, rimasta
intimata nella presente fase di legittimità), articolato in due motivi. Gli intimati Vicari Claudio
e Braidotti Sabrina hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria depositata ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato — ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.
– la violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1102 c.c., nonché il vizio di omessa,
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preliminare prospettazione degli appellanti circa la riconduzione della fattispecie dedotta in

insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto decisivo della controversia
concernente la ritenuta esclusione della configurazione del “supercondominio” e la
correlata applicabilità dell’art. 1102 c.c.
Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile, risultando l’impugnata
sentenza pubblicata in data 10 ottobre 2007), i ricorrenti hanno formulato i seguenti quesiti

presa con la maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., possa o meno inibire la
parziale demolizione al fine di aprire un accesso, per iniziativa individuale del proprietario di
un’unità condominiale, di un bene condominiale quale è il muro di cinta dei giardini e della
corte del complesso condominiale”; – “voglia la S. C. stabilire se lo stesso art. 1102 c. c.
inibisca o meno al singolo condomino la parziale demolizione, al fine di aprire un accesso
per iniziativa individuale dello stesso proprietario di una sola unità condominiale, di un bene
condominiale quale è il muro di cinta dei giardini e della corte del complesso condominiale”;
– “voglia la S. C. stabilire se l’apertura di un accesso sul muro di cinta perimetrale dei
giardini e della corte condominiali, che permetta il passaggio dalla pubblica via alla corte
comune di pertinenza a diverse unità abitative, sia qualificabile come innovazione
disciplinata dall’art .1120 c.c. ovvero sia qualificabile come mero lecito uso individuale della
cosa comune autorizzato dall’art. 1102 c.c.”.
1.1. La complessiva censura è da ritenersi fondata nei limiti di cui in appresso e per le
ragioni che seguono.
In primo luogo deve affermarsi l’infondatezza della doglianza nella parte in cui si contesta
la mancata rilevazione, nella fattispecie, della configurazione di un supercondominio,
poiché il giudice di secondo grado — in base ad un accertamento di fatto adeguatamente
motivato — ha escluso che ne ricorressero i requisiti strutturali e funzionali, avendo
appurato che, in effetti, risultava costituito un unico Condominio formati da distinti blocchi di
edificio che erano privi di una propria organizzazione della cosa comune e, quindi, di
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di diritto: – “Voglia la S. C. stabilire se l’assemblea dei condomini, con propria deliberazione

un’autonoma gestione condominiale.

Ai fini della sussistenza di un supercondominio

è, infatti, necessario che singoli edifici siano costituiti in altrettanti condominii ed
abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di
accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, “pro quota”,
ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (cfr.

E’, invece, meritevole di pregio l’altra censura specificamente dedotta con il motivo in
esame relativa alla parte della sentenza con la quale, sul presupposto della sussistenza di
un ordinario Condominio, la Corte territoriale, ritenendo la corretta riconduzione della
fattispecie — rispetto al contenuto della delibera assembleare impugnata riguardante il muro
di cinta — alla previsione dell’art. 1102 c.c. (e non già a quella del’art. 1120 c.c.), ha ritenuto
legittima la statuizione del giudice di primo grado con la quale era stata dichiarata la nullità
dell’impugnata delibera autorizzativa del generalizzato divieto preventivo per la totalità dei
condomini di aprire qualsiasi varco nel muro perimetrale comune.
In altri termini, la Corte territoriale — sul rilievo che il contenuto della delibera autorizzativa
impugnata riguardasse l’applicabilità del citato art. 1102 c.c. (che attiene all’uso della cosa
comune in ambito condominiale) — ha ritenuto di applicare le conseguenze logico-giuridiche
che derivavano dal riferimento della portata della decisione assembleare alla disciplina di
tale norma, pervenendo alla conferma dell’illegittimità della delibera assembleare (perciò,
annullata), con la quale era stato previsto il divieto generalizzato per i condomini di poter
aprire nuovi accessi sul muro comune.
Così statuendo, però, la Corte triestina ha disatteso il principio in base al quale le
deliberazioni assembleari condominiali (con le necessarie maggioranze di legge) o lo
stesso regolamento condominiale possono limitare l’uso delle parti comuni, per cui, in caso
di diversa disciplina condominiale, non trova applicazione l’art. 1102 c.c., il quale svolge
una funzione sussidiaria (ovvero opera nella sola eventualità in cui non sia intervenuta una
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Cass. n. 2305 del 2008; Cass. n. 17332 del 2011 e, da ultimo, Cass. n. 19939 del 2012).

differente regolamentazione in sede condominiale). Infatti, a tal scopo, deve affermarsi che
— secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 2369 del 1971;
Cass. n. 1600 del 1975; Cass. n. 2727 del 1975 e Cass. n. 3169 del 1978) — l’art. 1102
c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché
non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne lo stesso

limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale o dalle
apposite delibere assembleari adottate con i “quorum” prescritti dalla legge.
L’unico limite della legittima “autodisciplina condominiale” è rappresentato dalla
previsione del divieto sostanziale di utilizzazione generalizzata delle parti comuni;
nel caso in cui, invece, l’assemblea condominiale (con le prescritte maggioranze)
adotti una delibera che vieti soltanto un uso specifico (come quello, dedotto nella
fattispecie oggetto della controversia, attinente alla sola apertura di nuovi accessi
nel muro comune), la stessa deliberazione deve ritenersi legittima (v., per un esempio

analogo, Cass. n. 2904 del 1976) e, pertanto, la Corte di appello non avrebbe potuto
ritenerla invalida.
Non essendosi, dunque, la Corte territoriale conformata a tale principio, la formulata
doglianza merita di essere accolta sul punto, con la conseguente cassazione, per quanto di
ragione, della sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto — ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. —
l’omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa il punto decisivo della
controversia relativo alla distribuzione capitaria delle spese dell’assemblea, indicando
(ancorché risulti prospettato un vizio di motivazione) il seguente quesito di diritto in
ossequio all’art. 366 bis c.p.c.: “voglia la S. C. stabilire se l’assemblea condominiale con la
maggioranza di cui all’art. 1136, comma 2, c.c., possa adottare quale criterio di ripartizione
delle spese condominiali sostenute per la convocazione e lo svolgimento assistito da un
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uso secondo il loro diritto, non pone una norma inderogabile, ragion per cui i suoi

consulente scelto dall’assemblea stessa di un’assemblea straordinaria del Condominio, la
ripartizione “capitaria” rispetto al criterio millesimale, e ciò ove questo non sia stato ancora
mai adottato, in assenza di tabella millesimale”.
2.1. Questo motivo non è meritevole di pregio, poiché — alla stregua della univoca
giurisprudenza di questa Corte — il giudice di appello ha correttamente ritenuto di

della delibera assembleare impugnata con riferimento all’adottata ripartizione “capitaria”
delle predette spese di consulenza, dovendo, invece, le stesse essere suddivise in misura
proporzionale al valore delle singole proprietà, attesa l’insussistenza di una concorde
deroga convenzionale al regolamento condominiale, con la conseguente applicazione, nel
caso di specie, della generale previsione trasparente dall’art. 1123, comma primo, c.c. (cfr.
Cass. n. 2301 del 2001; Cass. n. 17101 del 2006 e Cass. n. 6714 del 2010).
In altri termini, le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione
delle spese comuni, con le quali si deroga “una tantum” ai criteri legali di ripartizione delle
spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, sono nulle.
Deve, quindi, riaffermarsi il principio di diritto alla stregua del quale, in mancanza di
diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione dell’autonomia
contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente
avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123, comma primo, c.c.,
e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a
maggioranza, di ripartire con criterio “capitano” le spese necessarie per la
prestazione di servizi nell’interesse comune.

3. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, deve essere accolto il primo
motivo in ordine al profilo della ravvisata illegittimità della delibera condominiale impugnata
(rigettato nel resto), mentre deve essere totalmente respinto il secondo motivo.

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confermare la sentenza di prime cure anche nella parte in cui aveva dichiarato la nullità

A tale pronuncia consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla
censura accolta, con il correlato rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello
di Trieste che, nel conformarsi al principio di diritto enunciato con riferimento al primo
motivo (nella parte ritenuta fondata), provvederà anche sulle spese della presente fase di
legittimità.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese
del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Trieste.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 13 novembre 2013.

P.Q.M.

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