Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2723 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. I, 04/02/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 04/02/2021), n.2723

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4187/19 proposto da:

-) S.K., elettivamente domiciliato a Torino, via Groscavallo n.

3, difeso dall’avvocato Alessandro Praticò in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino 28.12.2018 n. 6877;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3

dicembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Rossetti Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.K., cittadino senegalese, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per sfuggire al rischio di essere arrestato per avere tagliato abusivamente della legna in una foresta.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento S.K. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Torino, che la rigettò con decreto 28.12.2018.

Il Tribunale ritenne che:

-) nessuna forma di protezione “maggiore” potesse essere concessa, perchè il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato l’esistenza di specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.K. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il suo racconto.

Deduce che il Tribunale, reputandolo inattendibile, avrebbe violato i criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto investe un tipico apprezzamento di fatto.

Questa Corte infatti ha già ripetutamente affermato che la circostanza che il Tribunale abbia ritenuto inattendibile il richiedente non può mai costituire una violazione di legge, ma può essere censurata in sede di legittimità solo prospettando l’omesso esame di fatti decisivi: “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01).

Nel caso di specie, per contro, il ricorrente lungi dall’indicare quali fatti concreti e oggettivi il Tribunale avrebbe trascurato, quando erano stati dedotti, come erano stati provati, perchè erano decisivi, si limita a sostanza a censurare il giudizio formulato dal Tribunale.

Una censura, dunque, non consentita in sede di legittimità.

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella illustrazione del motivo sostiene che:

a) ha errato il Tribunale nel ritenere che non avesse dedotto alcuna situazione di vulnerabilità a fondamento della domanda; egli aveva, invece, a fondamento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dedotto che, in caso di rimpatrio, sarebbe stato “reintrodotto in un paese in cui viene di fatto tollerato un sistema, quale quello delle “daara”, improntato al diffuso sfruttamento dei minori anche mediante l’uso della violenza”;

b) il Tribunale non ha tenuto conto della “nota diffusione” in Senegal del sistema delle “daara”;

c) dal racconto del richiedente “non potevano non emergere con chiarezza (…) le inevitabili conseguenze sulla psiche, e dunque sulla salute, che anni di sfruttamento e violenze sin dalla minore età hanno determinato nel ricorrente”.

2.1. Il motivo è inammissibile o infondato in tutte le censure in cui si articola.

Nella parte in cui sostiene che il Tribunale non avrebbe tenuto conto “dello sfruttamento dei minori” in Senegal il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

Il ricorrente ha infatti oggi 22 anni, sicchè in caso di rimpatrio non potrebbe dirsi esposto al rischio di “sfruttamento dei minori”.

2.2. Nella parte in cui sostiene che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle “inevitabili conseguenze psichiche” provocate dai traumi subiti nella fanciullezza, il motivo è infondato.

Il Tribunale, infatti, con adeguata motivazione ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente, e alla luce di tale giudizio di inattendibilità (che come si è visto resiste alle censure proposte col primo motivo di ricorso) correttamente il Tribunale ha trascurato di prendere in esame le suddette “violenze psichiche”.

3. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01), salvo che la suddetta ammissione non sia stata ancora, o venisse in seguito, revocata dal giudice a ciò competente.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono in astratto i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se risultasse dovuto nel caso specifico.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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