Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27225 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. I, 30/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 30/11/2020), n.27225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7577/2019 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in Rovigo, alla via Badaloni

19, presso lo studio dall’Avv. Elena Petracca, che lo rappresenta e

difende per mandato in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di VENEZIA n. cronol. 1038/2019 del

4 febbraio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto del 4 febbraio 2019, ha respinto le domande di S.D., cittadino della (OMISSIS) richiedente asilo, di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o, in subordine, di quella umanitaria.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il proprio Paese per paura di essere imprigionato, dopo essere stato denunciato dal padre con cui aveva avuto un violento litigio – nel corso del quale era stato anche ferito – nel tentativo di contrastare la sua volontà di dare in moglie la sorella, di tredici anni, ad un cugino, e farla sottoporre per tale motivo alla mutilazione genitale.

3. Il Tribunale ha ritenuto il racconto contraddittorio, incoerente e poco credibile; ha escluso che la Guinea Conakry versi in una situazione di violenza armata indiscriminata e non ha ravvisato la sussistenza di specifici profili di vulnerabilità del richiedente, idonei alla concessione della protezione umanitaria; in particolare, quanto a quest’ultima, ha rilevato che il ricorrente, che in patria faceva il pastore, era in contatto con i familiari e non aveva documentato problemi di salute e che non poteva ritenersi sufficiente, ai fini dell’accoglimento, il percorso di integrazione sociale appena intrapreso dal richiedente, attraverso la partecipazione a corsi di italiano e di volontariato e allo svolgimento di una breve attività lavorativa.

4. S.D. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RILEVATO

che:

1. Con il primo motivo S.D. lamenta la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e L. n. 241 del 1990, art. 3, per aver il tribunale omesso di attivare i propri poteri istruttori officiosi al fine di accertare le attuali condizioni socio-politiche del Paese di sua provenienza (in particolare, di verificare l’efficienza delle autorità governative locali nel difendere i propri cittadini da violenze e soprusi provenienti da privati) e per aver effettuato una valutazione sommaria delle sue dichiarazioni, senza richiedergli chiarimenti sulle questioni ritenute controverse e poco credibili.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) e L. n. 241 del 1990, art. 3. Si duole che il tribunale abbia respinto la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria appiattendosi sul giudizio di non credibilità delle sue dichiarazioni reso dalla Commissione territoriale, e senza assumere d’ufficio informazioni precise ed aggiornate sulla situazione del suo Paese d’origine, ancorchè il presupposto di cui alla lett. c) dell’art. 14 cit. prescinda dalla prova che il richiedente sia soggetto ad una minaccia individuale.

2.1 I motivi che,in quanto connessi, possono essere trattati unitariamente, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una critica oltremodo generica delle ragioni poste dal tribunale a fondamento della decisione di rigetto e, nella sostanza, nella richiesta di una nuova valutazione delle dichiarazioni del ricorrente, di cui il tribunale ha analiticamente evidenziato gli aspetti di inverosimiglianza, le contraddizioni e l’incoerenza, concludendo per la loro inattendibilità (con conseguente superfluità di un’indagine volta ad accertare se le autorità della Guinea siano in grado di assicurare protezione ai cittadini minacciati da privati) in base ad un giudizio di fatto non più censurabile in questa sede se non attraverso la denuncia di un vizio di motivazione, ovvero, ai sensi dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mediante l’allegazione del fatto decisivo omesso che, ove considerato dal giudice, avrebbe condotto ad un diverso esito del giudizio.

Ciò vale anche con riferimento alla censura che lamenta il rigetto della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), essendo totalmente assenti, nelle difese del ricorrente, riferimenti a rapporti redatti da organizzazioni la cui affidabilità è riconosciuta a livello internazionale, diversi e ulteriori rispetto a quelli, puntualmente citati e riportati nel loro contenuto rilevante nel decreto, dai quali risulti che, contrariamente a quanto accertato dal tribunale, la Guinea Conakry versa in una situazione di violenza indiscriminata.

3. Con il terzo motivo S.D. lamenta la violazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè il vizio di motivazione del decreto impugnato nel capo in cui ha respinto la domanda di protezione umanitaria; sostiene che il tribunale si sarebbe arroccato su un’interpretazione restrittiva del concetto di vulnerabilità, la cui sussistenza andava accertata indipendentemente dall’attendibilità della vicenda narrata, e che non avrebbe operato una comparazione tra la situazione che lo aveva spinto a lasciare il proprio Paese e la sua attuale situazione soggettiva e oggettiva, nè tenuto conto del percorso di integrazione da lui intrapreso in Italia.

3.1 Il motivo è inammissibile, al pari di quelli che lo precedono, in quanto il tribunale, prescindendo dalla valutazione di scarsa credibilità del racconto, ha affermato che il ricorrente non aveva allegato fatti in base ai quali ritenere che si fosse allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva, tanto più che manteneva contatti con i familiari, compreso il padre, ed ha anche operato il giudizio comparativo, ritenendo insufficiente all’accoglimento della domanda l’intrapreso percorso di integrazione sociale del richiedente.

Anche la censura in esame, pertanto, si risolve nella richiesta di un nuovo giudizio di fatto – precluso a questa Corte di legittimità – in ordine alla ricorrenza dei presupposti per la concessione della misura di protezione minore.

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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