Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27224 del 16/11/2017


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Civile Sent. Sez. L Num. 27224 Anno 2017
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: CALAFIORE DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 11472-2012 proposto da:
CASSA NAZIONALE PREVIDENZA ASSISTENZA FORENSE, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
ulettivàmgflttg,_domicilioto
rAmmuLT 59,
SALAFIA,
2017

lu

in ROMA, VIALE

útudio

rappresentata

e

DT VILLA

dellrocato ANTONIO
difesa

dall’avvocato

LEONARDO CARBONE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

3050
contro

BITTONI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LERO 14, presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO DI

Data pubblicazione: 16/11/2017

NEO, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCIANO
í SPIGLIANTINI, giusta procura per notaio all’atto di
costituzione;
– resistente –

avverso la sentenza n. 605/2011 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/07/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA
CALAFIORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato SALAFIA MARIA per delega Avvocato
CARBONE LEONARDO;
udito l’Avvocato SPIGLIANTINI LUCIANO.

di FIRENZE, depositata il 20/05/2011 R.G.N. 87/2010;

N. r.g. 11472/2012
Cassa Nazionale Previdenza ed Assistenza Forense/ Bittoni Maria

FATTI DI CAUSA
L’avvocata Maria Bittoni, iscritta all’Albo degli avvocati ed anche insegnante
scolastico di ruolo part-time, lamentava avanti il Giudice del lavoro di
Arezzo il rigetto della domanda di corresponsione da parte della Cassa
forense dell’indennità di maternità, a seguito del parto avvenuto il 15
settembre 2004, motivato dalla circostanza che tale indennità era già stata

Il Tribunale accoglieva integralmente la domanda e la Corte d’appello di
Firenze, con sentenza del 5.5.2011, accoglieva l’appello proposto dalla
Cassa limitatamente alla condanna al pagamento degli accessori sul credito
mediante il cumulo di interessi e rivalutazione.
La Corte territoriale rilevava che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 71 nel
richiedere all’iscritta alla Cassa di dichiarare l’inesistenza di altro
trattamento per maternità non intendeva di certo escludere la possibilità di
un cumulo delle prestazioni o che la prestazione non dovesse essere
concessa alla lavoratrice che avesse percepito il trattamento da parte di
altro Ente in virtù dì altro rapporto di lavoro autonomo o dipendente; la
Corte aggiungeva che questa era l’unica interpretazione ammissibile sul
piano costituzionale giacché la Corte costituzionale aveva posto in evidenza
la necessità di garantire alla gestante la massima sicurezza economica e
tale fine, in caso di impiego part- time, legittimava una doppia erogazione.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Cassa con unico
motivo illustrato da memoria. Maria Bittoni ha depositato procura speciale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con unico ed articolato motivo si deduce la violazione e falsa
applicazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 71 giacché tali
disposizioni, ad avviso della Cassa ricorrente, implicano necessariamente il
divieto di cumulo tra prestazioni, come dimostrano sia l’obbligo di
autocertificare il non godimento di altro trattamento per lo stesso titolo, che
la peculiare modalità di calcolo dell’indennità prevista per le libere
professioniste con la previsione di una soglia minima e massima non
compatibile con la contemporanea erogazione di ulteriori prestazioni di
maternità e l’insussistenza di una garanzia costituzionale spinta sino al

erogata dall’INPDAP in virtù del rapporto di lavoro con il M.I.U.R.

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Cassa Nazionale Previdenza ed Assistenza Forense/ Bittoni Maria

mantenimento dell’intero reddito durante il periodo di astensione
obbligatoria; dunque, l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale delle
norme prima ricordate si manifesta non coerente con le indicazioni della
Corte di cassazione e della Corte delle leggi. L’interpretazione offerta dalla
Corte territoriale della normativa in materia, ad avviso della ricorrente, è
pure in contrasto con la formulazione letterale del citato D.Lgs. del 2001,

allorché la lavoratrice abbia già goduto per lo stesso titolo di un trattamento
a carico di altro ente previdenziale come nel caso di specie, avendo l’Avv.to
Bittoni già ottenuto la provvidenza in parola dall’INPDAP in virtù di un
rapporto di lavoro part-time nel comparto scuola.
2. Il motivo, come già affermato da questa Corte con le sentenze nn.
15072 e 15731/2013, appare fondato e pertanto va accolto. Il thema
decidendum è la retta interpretazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 71
che così recita al comma 14 l’indennità di cui all’art. 70 è corrisposta,
indipendentemente dall’effettiva astensione dell’attività dalla competente
cassa [dall’interessata) la partire dal compimento del sesto mese di
gravidanza ed entro il termine perentorio di 180 gg. dal parto. Al comma 2
si aggiunge “la domanda, in carta libera, deve essere corredata da
certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella
presunta del parto, nonché dalla dichiarazione redatta ai sensi del D.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445 attestante l’inesistenza del diritto alle indennità di
maternità di cui al Capo 2 ed al Capo 11”. Ora, alla luce delle due norme, il
diritto in parola può essere richiesto a condizione che la lavoratrice ne faccia
domanda, documenti idoneamente lo stato di gravidanza e la data presunta
del parto ed attesti con dichiarazione ad hoc l’inesistenza di altro
trattamento di maternità come lavoratrice pubblica o autonoma. Si tratta,
sotto quest’ultimo profilo, di un requisito essenziale per l’erogazione della
prestazione posto che l’art. 71 dispone che la domanda “deve essere
corredata”: la finalità della norma è in piena evidenza quella di evitare il
cumulo di prestazioni da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento
e cioè la situazione di maternità, come peraltro previsto anche per altre
prestazioni di natura assistenziale o previdenziale.

2

art. 71 che non consente alla Cassa di erogare il trattamento di maternità

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3.

La formulazione della norma appare del tutto chiara ed univoca e non

consente una interpretazione diversa dall’impossibilità di godere del
trattamento previsto dall’art. 70 nel caso in cui la richiedente goda già di
una prestazione di altro ente in quanto, diversamente opinando, la
disposizione sarebbe inutiliter data e non avrebbe alcuna utilità;
l’argomento per cui l’art. 70 non implicherebbe alcun divieto di cumulo tra

quanto l’art. 70 definisce i termini della prestazione, mentre l’art. 71 regola
in dettaglio le condizioni di erogazione tra le quali / in particolare i che si
documenti – attraverso una autocertificazione – l’insussistenza di prestazioni
per la maternità già concessi in virtù di diversi rapporti assicurativi.
4.

Infine non possono condividersi i dubbi di legittimità costituzionale

della norma in discorso, una volta interpretata alla luce del suo univoco
significato letterale e sistematico, in relazione all’art. 3 Cost. e art. 31 Cost.,
comma 2, (ed anche in riferimento agli artt. 32 e 37 Cost.) i posto che la
giurisprudenza costituzionale ha precisato che l’indennità di maternità
“serve ad assicurare alla madre lavoratrice la possibilità di vivere questa
fase della sua esistenza senza una radicale riduzione del tenore di vita che il
suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternità si
ricolleghi una stato di bisogno economico” (Corte cost. nn. 1/1987, n.
276/88, n. 332/88, n. 61/91, n. 132/91, n, 423/95; n. 3/98), ma che
l’orientamento della Corte delle leggi così come ricostruito nello stesso
provvedimento impugnato parla di una “radicale” riduzione del tenore dello
vita, nonché di uno stato di bisogno, situazioni che quindi certamente non
coincidono automaticamente con una determinazione dell’indennità in una
misura ridotta rispetto alla precedente retribuzione goduta prima dello stato
di gravidanza. Lo stesso concetto di “tenore di vita” (cfr. sentenza n.
3/1998) non è sovrapponibile a quello di livello retributivo goduto in senso
stretto, essendo valutabile nel suo complesso e tenuto conto di plurimi
elementi di giudizio.
5.

Peraltro, non è neppure automaticamente estensibile al caso in esame

la giurisprudenza formatasi in gran parte in ordine alle prestazioni di
maternità godute in relazione ad una singola professione o ad un singolo

3

prestazioni erogate da più enti per lo stesso titolo è privo di pregio in

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-il-apporto di lavoro autonomo o subordinato, poiché, nel presente giudizio, si
discute del vantato cumulo tra prestazioni per maternità provenienti da enti
diversi per tipologie di lavoro diverso (professionale e di dipendenza
pubblica).
6.

Si deve anche ricordare che questa Corte, in relazione proprio

all’indennità di maternità dovuta alle libere professioniste, ha osservato che

legislatore che è libero di modulare diversamente nel tempo e a seconda
delle categorie di lavoratrici madri, il livello di tutela della maternità con
misure di sostegno legate a fattori di variabilità incidenti ora sulla
salvaguardia del livello di reddito delle fruitrici dell’indennità ora ad esigenze
di bilancio, tenuto conto dell’incidenza quantitativa delle erogazioni che, per
quanto riguarda la professione legale, è mutata rispetto ai primi anni di
applicazione della legge” (Cass. n. 22023/2010).
7.

L’evoluzione della medesima normativa in esame per effetto della legge

n. 289/2003 mostra peraltro, essendo stata introdotta una misura massima
per le l’indennità di maternità in favore delle libere professioniste, la
mancanza di correlazione stretta tra livelli retributivi goduti (e contributi
erogati) e la misura della prestazione di maternità. Infine, la considerazione
per cui la lavoratrice in concreto abbia subito una riduzione molto sensibile
del tenore di vita precedentemente goduto in quanto ha ottenuto la sola
prestazione a carico dell’INPDAP in relazione ad un rapporto part-time l non
appare risolutiva per decidere la presente controversia in quanto ciò è
avvenuto per scelta della stessa ricorrente che non ha optato per il
trattamento offerto dalla Cassa, ma per quello dell’ente di previdenza
pubblico, senza quindi usufruire degli ingenti (secondo la difesa della
lavoratrice) contributi professionali versati. Ma questa conseguenza è stato
il frutto di una decisione della stessa lavoratrice che – secondo la decisione
impugnata – ha presentato domanda alla Cassa dopo aver già ottenuto il
trattamento INPDAP e quindi senza una preventiva informazione sulla
normativa del settore che avrebbe, con ogni probabilità, evitato questa
penalizzante soluzione.

4

la determinazione del sistema indennitario “rientra nella discrezionalità del

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8.

Si deve quindi cassare la sentenza impugnata e, non necessitando la

controversia ulteriori approfondimenti istruttori, può decidersi la causa nel
merito con il rigetto della domanda.
9.

Stante l’assenza di precedenti di legittimità all’epoca di proposizione del

ricorso, sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti
dell’intero processo.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, rigetta la domanda. Dichiara compensate le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2017.
Il Consigliere est.

Il Presidente

[Miel~re

Giovanni Mammone
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LLIERE

P.Q.M.

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