Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27224 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 27224 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA
a

sul ricorso 25919-2007 proposto da:
BARDELLI ITALO BRDTLI41E14C774P, SEVERI FRANCESCA
SVRFNC40D60A390E, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio dell’avvocato
MACRI’ TERESINA TITINA, rappresentati e difesi
dall’avvocato AMATUCCI ARNALDO;
– ricorrenti –

2013
1783

contro

FINOCCHI GABRIELLA FNCGRL41T45B693Z, CROCCHIONE DANILO
CRCDNL68E13H901Z, CROCCHIONE MARCO CRCMRC66E06H901S,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PO 25/B, presso

Data pubblicazione: 04/12/2013

lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentati e
difesi dall’avvocato SARTI ENRICO;
– controri correnti avverso la sentenza n. 1407/2006 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 14/07/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito l’Avvocato FABRIZIO SILVANO con delega dell’Avv.
ENRICO SARTI, difensore della ricorrente, che si è
riportato agli atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

4

,
.

Svolgimento del processo
Finocchi Gabriella, Crocchione Danilo e Crocchione Marco convenivano in
giudizio Bardelli Italo e Severi Francesca davanti al Tribunale di Arezzo per
ivi sentire dichiarare che i convenuti transitavano illegittimamente con i propri

mezzi nel tratto di proprietà comune fiancheggiante l’edificio condominiale
costituto al piano terra dal loro appartamento e al primo piano da quello di
Bardelli Severi. Ritenevano gli attori che il transito di cui si dice fosse
esercizio di un diritto di servitù senza titolo aggravamento della stessa e
indebito utilizzo della cosa comune.
A questa domanda si opponevano i coniugi Bardelli, epcependo l’infondatezza
in diritto.
,

Oltre a queste istanze processuali va detto che gli attori in primo grado
avevano introdotte altre domande, a) gli attori avevano chiesto: che venisse
ordinato ai convenuti il ripristino della veranda al loro piano che era stata
costruita senza il consenso degli attori e con aumento di volume e variazione
prospettica di fabbricato. b) i convenuti chiedevano che venisse ripristinata la
finestra porta realizzata da controparte nella struttura perimetrale dell’edificio;
che si provvedesse all’eliminazione della canna fumaria da loro installata in
detta struttura , che il locale caldaia di loro proprietà venisse liberato da
quanto ivi immesso dagli attori.
,

Il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda attrice in ordine all’inibizione ai

convenuti del transito sulla parte del cortile comune, perché si trattava di una
limitazione illegittima dell’uso della cosa comune, e condannava i convenuti

a titolo di risarcimento danni a corrispondere agli attori la somma di £.
2.500,00. Respingeva, invece, la domanda dei convenuti.
_
i

4

_
_

Avverso questa sentenza proponeva appello Italo Bardelli e Francesca Severi.
E la Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 1407 accoglieva l’appello
principale e l’appello incidentale spiegato da Finocchi e Crocchione, e in

riforma della sentenza di primo grado dichiarava il diritto di Italo Bardelli e

Francesca Severi di transitare, anche, con veicoli sul predetto cortile.
Condannava Bardelli e Severi a ridurre in pristino la terrazza da loro
trasformata in veranda sul fabbricato condominiale, confermava nel resto la
sentenza impugnata. Compensava le spese. Secondo la Corte fiorentina il
transito con veicoli da parte degli appellanti sul cortile comune era legittimo
perché conforme sia all’uso consentito naturaliter, sia perché il bene comune
consentiva tale tipo di transito data l’ampiezza della striscia del terreno e,
ancora, sia perché il transito dei veicoli non creava alcuna situazione di
pericolo, posto che il fabbricato era circondato da un ampio marciapiede. La

_
_

terrazza trasformata dai Bardelli e Severi in veranda era illegittima perché,
non solo non era stata costruita con il consenso degli altri condomini
(Finocchi, Crocchione), ma aveva determinato una variazione prospettica per
l’intero edificio.
La Cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Italo Bardelli e Severi
Francesca per un motivo, illustrato con memoria. Gabriella Finocchi e
Crocchione Danilo e Marco hanno resistito con controricorso, illustrato con
memoria.
Motivi della decisione
1.= Con l’unico motivo di ricorso Italo Bardelli e Francesca Severi lamentano

_

la violazione dell’art. 360, conuna primo, n. 3 e 5 cpc. art. 115 cpc., art. 116
..
cpc., art. 111 cost., art. 1120 cc-, art. 1362 cc. e segg., art. 2697 cc. e segg.
2

4

.

Nonché l’omessa motivazione di fatto controverso e decisivo per il giudizio.
In via preliminare i ricorrenti specificano che con il presente ricorso intendono
impugnare dinnanzi a questa Corte Suprema solo la decisione che riguarda la

chiusura della veranda, essendo questa più che altra parte della decisione

giuridicamente inaccettabile e non corretta sul piano della motivazione e
contrastante con l’art. 1120 cod. civ.
a) Intanto, secondo i ricorrenti, l’affermazione contenuta nella sentenza
impugnata secondo la quale gli attuali ricorrenti (appellanti) avevano
contestato la scarsa concisione, ma non anche la fondatezza del giudizio
tecnico espresso dal CTU, laddove aveva affermato che la chiusura della
veranda sul suo lato esterno aveva determinato un aumento di volume e
variazione prospettica per l’intero edificio, sarebbe inaccettabile perché il
giudizio del CTU era stato puntualmente contestato e specificamente con la
memoria di replica alla conclusionale di controparte, atto utile per tale
incombenza.
b) La sentenza impugnata, sempre secondo i ricorrenti, avrebbe affermato ma
non anche

dimostrato, come avrebbe dovuto fare, che la chiusura della

veranda integrasse gli estremi di una lesione del decoro architettonico
dell’immobile, senza tener conto che il pregiudizio al decoro architettonico
non poteva essere presunto, né tanto meno desunto dall’aumento di volume.
Piuttosto l’accertamento della lesione va effettuato caso per caso

tenendo

conto delle caratteristiche dell’edificio, dell’entità della lesione, del
pregiudi7io ad essa derivante, degli eventuali effetti compensativi. Pertanto,

ritengono i ricorrenti, mancando nel caso specifico la predetta disamina
,
essendosi desunta la lesione al decoro architettonico in via automatica per
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derivazione diretta dalla variazione prospettica, per altro a sua volta né
argomentata né identificata, si deve ritenere che il percorso logico della
sentenza è giuridicamente scorretto e contrastante con il dettato di cui all’art.
1120 cc. .

a) se la sentenza impugnata abbia illegittimamente desunto la certezza
dell’aumento del volume indotto dalla chiusura della veranda e il pregiudizio
estetico per l’intero edificio, avendo tratto detto convincimento da errata
interpretazione del comportamento degli appellanti e dalle risultanze della
CTU, nonostante che queste ultime fossero prive di ogni motivazione, con la
conseguenza di esprimere un convincimento a sua volta assolutamente
immotivato; se inoltre l’affermazione della variazione prospettiva non possa
essere desunta da un semplice aumento di volume senza specificare la

.

consistenza e la configurazione di quest’ultimo, avverso se in questa disamina

_.

il Giudice di merito debba attingere alla situazione concreta e spiegare il nesso
fra le predette situazioni in modo particolareggiato:
b )se, inoltre, l’affermazione della variazione prospettica non possa
essere desunta da un semplice aumento di volume senza specificare la
consistenza e la configurazione di quest’ultimo, ovvero, se in questa disamina
il Giudice di merito debba attingere alla situazione concreta e spiegare il nesso
fra le predette situazioni in modo particolareggiato.
c) se infine, per il rispetto dell’art. 1120 cc. la lesione del decoro
architettonico debba essere accertata ed apprezzata attraverso l’esame della

situazione particolare, non potendosi presumere che la stessa derivi

automaticamente ed immediatamente dalla variazione prospettica e se, quindi,
4

Ciò posto, concludono i ricorrenti formulando i seguenti quesiti:

.

nel caso specifico la sentenza impugnata, avendo assunto detta nozione per
sola presunzione, abbia ancora una volta violato l’art. 1120 cc. anche tenuto
conto che, e particolarmente dagli atti di causa e, particolarmente dalle foto in

essi depositate, risultava evidente che, allineandosi la chiusura in vetro della

protuberanza e, quindi, né l’aumento del volume, né a maggior ragione
l’alterazione prospettiva dell’edificio e tanto più la lesione del decoro
architettonico
1.1.= Il motivo è infondato.
Va qui osservato che il motivo in esame ripropone una questione già
affrontata e delibata da questa Corte Suprema ed è quella di stabilire il senso

da attribuire all’espressione “decoro architettonico” di un fabbricato e quali le

.

caratteristiche che devono presentare le “innovazioni” di cui all’art. 1120 cc.
per essere ritenute lesive del decoro architettonico.
Come è stato già affermato da questa Corte Suprema (con sentenza n. 8731
del 1998) che qui si intende ribadire e riattualizzare, per decoro architettonico
del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall’alt. 1120 cod. civ., deve
intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che
connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica,
fisionomia.
L’alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che
immutino l’originario aspetto anche, soltanto, di singoli elementi o punti del
fabbricato tutte le volte che la i/mutazione sia suscettibile di riflettersi

sull’insieme dell’aspetto dello stabile.

Va anche osservato che l’indagine volta a stabilire se, in concreto,
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veranda al muro perimetrale dell’edificio, non si era determinata alcuna

un’innovazione determini o meno l’alterazione del decoro di un determinato
fabbricato è demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al
sindacato di legittimità, se congruamente motivato.
1.2.= Ora nel caso in esame, il CTU, come afferma la sentenza impugnata, ha

struttura metallica che trasformava quella terrazza in veranda, aveva
determinato non solo un aumento di volume, ma anche una “variazione
prospettica dell’intero edificio”. Questa rilevazione tecnica proprio perché
effettuata da un tecnico, cioè dal CTU nominato dal Giudice, non integrava
gli estremi di una semplice notazione teorica e non era neppure
un’affermazione apodittica od equivoca, ma rappresentava e non poteva che

rappresentare la conclusione di una valutazione delle linee e delle strutture che

connotavano il fabbricato prima della reali7787ione della veranda rapportate al
nuovo aspetto che l’immobile aveva assunto dopo la realizzazione di quella
veranda. D’altra parte, è patrimonio culturale dell’uomo comune ritenere che
la trasformazione di un balcone in veranda eseguita mediante chiusura in
alluminio e vetri comporti, comunque, un’alterazione dell’armonia cromatica
della facciata dell’intero fabbricato, tanto da poter pensare che per escludere la
naturale alterazione del decoro architettonico del fabbricato sarebbe stato
necessario dimostrare che quell’innovazione

non avesse comportato una

alterazione o modificazione del decoro del fabbricato.
1.3.= Pertanto, la decisione assunta dalla Corte fiorentina di disporre la
riduzione in pristino dell’opera sopra indicata, appare condivisibile perché

coerente con la normativa condominiale (in particolare con la normativa di cui

agli artt. 1120 e 1122 cod. civ.), e, ad un tempo, sufficientemente motivata
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accertato che la chiusura della terrazza oggetto di controversia, con vetro e

_

dato che è fondata su un accertamento riferito al caso concreto effettuato ed
esplicitato dal CTU. D’altra parte è giusto il caso di evidenziare che il Giudice
del merito, quando aderisce alle conclusioni del Consulente Tecnico di
Ufficio, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del

delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione
adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido al
pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno
liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.

.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle

spese del presente giudizio di cassazione che liquida in e. 2.200,00 di cui £.
200,00 per esborsi.
Cosi deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della
Corte Suprema di Cassazione il 27 giugno 2013.

Il Consigliere relatore
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suo convincimento, dato che l’accettazione del parere del consulente,

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