Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27220 del 30/11/2020

Cassazione civile sez. II, 30/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 30/11/2020), n.27220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23706/2019 proposto da:

M.R.A., rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLETTA

MARIA MAURO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto cron. N. 2793/18 del TRIBUNALE di LECCE,

depositate il 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Lecce disattese l’opposizione proposta da M.R.A., in contraddittorio con il Ministero dell’Interno e la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, avverso il provvedimento di diniego in sede amministrativa della domanda di protezione internazionale dal predetto avanzata;

ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione e che il Ministero resiste con controricorso;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente prospetta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, assumendo che il Tribunale aveva disatteso il riconoscimento della protezione chiesta senza avere acquisito le necessarie COI sulla situazione del Paese di provenienza (Pakistan), è inammissibile, dovendosi osservare che:

– in primo luogo il Tribunale ha escluso, con motivazione in questa sede non censurabile, la verosimiglianza del narrato (si veda, in specie pag. 6) e un tal giudizio non viene attinto dalla doglianza;

– il Tribunale ha, di poi, escluso la sussistenza di una situazione di violenza diffusa e incontrollata, sulla base delle acquisite fonti di conoscenza, in conformità all’orientamento di questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

– la censura, sommamente aspecifica, non individua alcum2. evidenza che contrasti gli accertamenti effettuati dal Tribunale, limitandosi a predicarne l’ingiustizia della decisione, nè a ciò ovvia facendo mero riferimento a ulteriori fonti d’informazione, senza neppure enunciare il contenuto di tali informazioni e, tantomeno, ipotizzare la sussistenza di contrasti fra varie fonti d’informazione;

– l’interessato non ha evocato alcun pericolo per la propria persona derivante dalla situazione generale del proprio Paese, ma solo il timore, giudicato inverosimile dal Giudice del merito, che tornato in patria potrebbe restare oggetto di vendette da parte di gruppi terroristici, che avrebbe contribuito a perseguire, avendo svolto il lavoro di poliziotto, poi abbandonato, e il giudizio d’inverosimiglianza non concerne il generale contesto del Paese, ma l’intrinseca inattendibilità del racconto per le plurime ragioni evidenziate nella decisione;

considerato che il secondo motivo, con il quale viene denunziata l’erronea o falsa applicazione dell’art. 16 della direttiva 32/2013/UE, assumendosi essere stato violato il diritto dell’istante a una valutazione serena e imparziale e il diritto “a presentare gli elementi necessari a motivare la sua domanda di protezione nel modo più completo possibile”, avendo tenuto le “autorità” un atteggiamento “poliziesco”, non è in alcun modo scrutinabile a cagione della sua irriducibile aspecificità, non essendo dato cogliere in cosa siano consistite le pretese violazioni addotte;

considerato che il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, stante che il rigetto della domanda di protezione sussidiaria non era stato preceduto da un acconcio giudizio di bilanciamento, è del pari inammissibile, in quanto a dispetto dell’assunto, un tal giudizio consta essere stato effettuato dal Tribunale (si veda, in specie, pag. 8 e 9);

considerato che il soccombente ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) è applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2020

 

 

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