Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27219 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 16/12/2011), n.27219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

T.L.;

– intimata –

sul ricorso 2924-2008 proposto da:

T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GLORIOSO 13, presso lo studio dell’avvocato BUSSA LIVIO, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati VITALE ALIDA, BIRGA

PAOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2014/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/12/2006 R.G.N. 796/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PAROLETTI CAMILLO;

udito l’Avvocato LIVIO BUSSA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 2014 del 2006, in accoglimento dell’appello proposto da T.L. nei confronti di Poste Italiane spa, avverso la sentenza del Tribunale di Verbania n. 34/06, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti a decorrere dal 10 marzo 2000, e, per l’effetto, che da tale data si era instaurato tra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con la condanna della suddetta società a ripristinare il rapporto di lavoro in questione, nonchè a corrispondere alla T. le retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso introduttivo oltre rivalutazione monetaria ed interressi.

1.1. La Corte Torinese, premesso che in tutto il periodo considerato – 10 marzo/30 giugno 2000 – la T. prestava attività lavorativa presso l’ufficio di (OMISSIS) svolgendo mansioni dell’Area Operativa, rilevava che non emergeva dagli atti alcun dato in ordine alla connessione tra la posizione della lavoratrice e le eventuali esigenze eccezionali connesse con la fase di ristrutturazione in corso. Perveniva, quindi, alla declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine per carenza di allegazione e di prova in ordine alla sussistenza in concreto e nello specifico ufficio o unità produttiva delle esigenze eccezionali legittimanti l’assunzione a tempo determinato.

2. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre la società Poste Italiane con un articolato motivo di ricorso.

3. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, assistito da tre motivi d’impugnazione, la T., che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

4. Poste Italiane resiste con controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Motivazione semplificata.

1. In via preliminare deve essere disposta la riunione dei giudizi, in quanto le relative impugnazioni vertono in ordine alla medesima sentenza della Corte d’Appello di Torino.

2. Con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente ha dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1997, art. 23 dell’art. 1362 c.c. e segg., in relazione all’accordo del 25 settembre 1997 e ai successivi accordi integrativi (art. 360 c.p.c., n. 3).

La società ricorrente in sostanza lamenta che la sentenza impugnata si fonda sull’erroneo pregiudizio secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni (oggettive o soggettive) tipicamente aziendali e che non siano direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro.

La ricorrente deduce, infatti, che l’art. 8 del CCNL del 1994, così come integrato dall’accordo 25-9-97, subordinava la sua applicazione unicamente all’esistenza di un processo di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali dell’azienda, per cui l’interpretazione di tale accordo compiuta dalla Corte torinese “risulta viziata, oltre che dall’erronea lettura della L. n. 56 del 1987, art. 23, che ha condizionato, viziandola irrimediabilmente, anche la successiva esegesi della disciplina contrattuale, anche dall’autonoma e concorrente violazione delle regole ermeneutiche legali di cui all’art. 1362 c.c. e segg..

2.1. Il quesito di diritto ha il seguente tenore:

se costituisce violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, nonchè dell’art. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, così come integrato dall’accordo sindacale del 25 settembre 1997 e successivi accordi integrativi, aver subordinato la legittimità del contratto a termine in oggetto alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di appartenenza;

se, in relazione alla delega in bianco, rilasciata dall’autonomia collettiva dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed a fronte dell’interpretazione letterale dell’accordo del 25 settembre 1997 e di quelli successivi nonchè del comportamento complessivo tenuto dalle parti sociali, il termine apposto al contratto per “le esigenze eccezionali” di cui al citato accordo sia legittimo anche in assenza della prova del nesso causale tra le esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, la T. ha dedotto omessa o insufficiente motivazione della sentenza in ordine a punti decisivi della controversia con riguardo alla mancata disamina della questione relativa alla efficacia temporale della causale di assunzione a termine introdotta con l’accordo del 25 settembre 1997 (art. 360 c.p.c., n. 5).

3.1. Con il secondo motivo del suddetto ricorso incidentale, la lavoratrice ha prospettato il vizio di violazione di legge con riguardo alla L. n. 230 del 1962, art. 1 della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 e 1367 c.c., in relazione alle disposizioni degli accordi collettivi di settore, in tema di contratti a termine (art. 360 c.p.c., n. 3).

3.2. Con l’ultimo motivo del ricorso incidentale, è stata dedotta la omessa analisi nella sentenza di ogni valutazione e determinazione circa i contratti a termine stipulati successivamente a quello esaminato in sentenza e annullato (art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Il motivo del ricorso principale non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7-1-2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11- 2008 n. 27470).

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass, S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo (tale considerazione, del resto, pur richiamata nella sentenza impugnata, è stata considerata assorbita dalla Corte di Torino in ragione della ritenuta necessità della prova del collegamento concreto della assunzione de qua con la ristrutturazione in atto).

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso principale, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza, mentre resta assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemilacinquecento/00 per onorario, Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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