Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27213 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/12/2011, (ud. 24/11/2011, dep. 16/12/2011), n.27213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato SIGILLO’ VINCENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO ENRICO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1689/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/12/2006 r.g.n. 2145/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega VINCENZO SIGILLO’;

udito l’Avvocato LUBERTO ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

IN FATTO E DIRITTO

Premesso che il Collegio ha disposto, all’esito dell’odierna udienza, la redazione della motivazione della presente sentenza in forma semplificata;

rilevato che:

il giudice di appello di Firenze, confermando la sentenza di prime cure, ha dichiarato la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato – in data 2 maggio 2002 – fra il lavoratore in epigrafe da una parte, e Poste Italiane s.p.a.

dall’altra;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società Poste Italiane affidato a cinque motivi, specificati da memoria;

il lavoratore ha resistito con controricorso, illustrato da memoria;

la Corte territoriale, con riferimento al contratto a termine stipulato per il periodo dal 2 maggio 2002 al 29 giugno 2002, “per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione … anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”,ha, sulla premessa dell’applicabilità del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, confermato, ritenendo generica l’indicazione in contratto delle esigenze e non provata la effettiva sussistenza dei presupposti del contratto a termine nel caso concreto, la sentenza di primo grado in punto di declaratoria della nullità del termine apposto a detto contratto e di condanna della società a pagare le retribuzioni omesse dalla data del 5 maggio 2012;

la suddetta impostazione è stata censurata dalla società che: con il primo motivo, deducendo violazione di norme di diritto e nullità del procedimento, formula il seguente quesito “se il giudice ordinario quando non trovi la regola iuris del caso concreto in una norma di diritto comunitario direttamente applicabile possa disapplicare una legge nazionale semplicemente perchè questa gli appare in contrasto con un principio generale del diritto comunitario”; con la seconda critica, denunciando violazione di norme di diritto e di accordi collettivi nazionali nonchè nullità del procedimento, pone i seguenti quesiti “se il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato debba, alla luce della normativa nazionale ed europea, essere governato dal principio regola ed eccezione e se le parti sociali possano ancora, con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, intervenire nella individuazione di fattispecie autorizzatorie dell’apposizione del termine con efficacia per tutti i dipendenti” -” se la norma contrattuale debba necessariamente prevedere una specificazione della causale collettiva in una causale individuale”; con la terza censura, sostenendo nullità del procedimento e violazione di norme di diritti, allega il seguente quesito “se il Giudice ove ritenga la prova da acquisire abbia una rilevanza decisiva per la definizione della controversia, abbia il potere dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, senza che a ciò sia di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti”; con il quarto motivo, prospettando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, formula i seguenti quesiti “se in caso di domanda di risarcimento danni proposta dal lavoratore a seguito dell’intervenuto scioglimento del rapporto di lavoro determinatosi per iniziativa del datore di lavoro fondata su clausola risolutiva contrattuale nulla, rimane a carico del lavoratore in qualità di attore l’onere di allegare e di provare il danno da scioglimento del rapporto di lavoro fondato su clausola risolutiva nulla e tale danno può equivalere alle retribuzioni perdute- detratto l’aliunde perceptum a causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, e se presuppone che queste siano state offerte dal lavoratore e che il datore di lavoro le abbia illegittimamente rifiutate” -“se il risarcimento è da escludersi ove si accerti che il danno del lavoratore ( derivante dalla perdita della retribuzione) si è ridotto in misura corrispondente ad altri compensi percepiti (c.d. aliunde perceptum) per prestazioni lavorative svolte nel periodo considerato presso altri datori di lavoro”; con il quinto motivo (contrassegnato erroneamente nel ricorso come sesto motivo), denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, formula in seguente quesito “se nel caso di oggettiva difficoltà della parte di acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondate la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni -segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati da richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”;

detti motivi sono inammissibili per genericità dei relativi quesiti;

invero tali quesiti prescindono del tutto dalla ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata e si risolvono nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia e come tale non sono idonei ad assolvere alla loro funzione;

questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759);

il ricorso in conclusione va rigettato per inammissibilità dei motivi;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi oltre Euro 2.500,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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