Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27212 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 16/12/2011), n.27212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati MARESCA ARTURO, MORRICO ENZO, BOCCIA

FRANCO RAIMONDO, che la rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

S.M.;

– intimato –

Nonchè da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 2, presso lo studio dell’avvocato DI GIROLAMO ALFREDO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SACCARDI

STEFANIA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio degli avvocati MARESCA ARTURO, MORRICO ENZO, BOCCIA

FRANCO RAIMONDO, che la rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1109/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/07/2008 R.G.N. 1776/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato DI GIROLAMO ALFREDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15.7.2008, la Corte di Appello di Firenze rigettava l’appello proposto dalla Telecom Italia s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato il diritto di S.M. ad essere inquadrato nel livello F del c.c.n.l. 1996 e nel livello 6 del c.c.n.l. del 2000, a decorrere dal 1.11.1998, e condannato la società a pagare al lavoratore le conseguenti differenze retributive. Rilevava la Corte territoriale che dall’istruttoria testimoniale era emerso che il S. aveva, nell’anno 1998, assunto il compito di organizzare gli interventi programmati sulla rete, subentrando in tale attività al collega di 6 livello M., ma che le declaratorie della contrattazione di settore e le ridondanti definizioni della relativa classificazione non permettevano di cogliere la precisa visualizzazione delle differenze contenutistiche dei compiti di ciascun livello, mentre era più agevole individuare come contenuto comune – ma crescente al crescere del livello di inquadramento – la specifica e articolata competenza professionale dei distinti lavoratori (per il livello D possesso di conoscenze specialistiche, per il livello E apporto professionale autonomo ed elevata tecnicalità, per il livello F funzioni specialistiche di elevato profilo). Anche il secondo contratto collettivo, nella definizione dei livelli 5 e 6, non consentiva di avere riguardo solo alle espressioni utilizzate e la posizione del S. era tale da porsi a cavallo tra le due definizioni classificatorie, per cui, in presenza di testimonianze idonee ad indicare una posizione del predetto distinta da quella degli altri semplici assistenti, ma non a consentire la collocazione adeguata della peculiare figura lavorativa rivestita, poteva la questione trovare concreta e corretta soluzione sulla scorta della circostanza dell’essere stato S. scelto esplicitamente da funzionari di 7 livello, responsabili del gruppo, per sostituire altro lavoratore, M., inquadrato nell’allora livello F. Precisava la Corte che non si intendeva applicare in via obliqua un principio di parità di trattamento in tema di inquadramento professionale, ma che intendeva rilevarsi che, essendo stato il S. ritenuto il più idoneo ad assumere le mansioni del dipendente cessato dal lavoro, ossia per la pianificazione e risoluzione dei problemi e disservizi, era ragionevole e plausibile che la mansione peculiare affidatagli fosse espressione di una professionalità rientrante nell’allora livello F. La Telecom Italia spa, per la cassazione di questa pronunzia, propone ricorso fondato su tre motivi.

Resiste, con controricorso, il S., che propone anche ricorso incidentale per la disposta compensazione delle spese di lite.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo, la Telecom Italia s.p.a. deduce il vizio di contraddittoria motivazione della pronunzia impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che, se pure indirettamente, il principio della parità di trattamento sembra rappresentare la vera ratio decidendi della sentenza impugnata, e che due dei termini del sillogismo operante in tema di inquadramento superiore non sono conoscibili, stante la ritenuta impossibilità di precisa visualizzazione delle differenze tra le declaratorie contrattuali tra i due livelli. La ricorrente assume, in particolare, la contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte territoriale ricava da un determinato fatto, ossia dall’assegnazione alle mansioni già svolte dal M., una serie di notizie in ordine alle caratteristiche della figura dello specialista descritta dalla declaratoria contrattuale che prima aveva ritenuto non idonea a consentire la distinzione della figura professionale ivi descritta con quella delineata nel precedente livello contrattuale.

Con il secondo motivo, la società denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto alla circostanza dell’essere stato il S. riconosciuto come il più idoneo a ricoprire il ruolo del M. era stata affiancata quella della mancata dimostrazione, da parte della Telecom, che l’inquadramento del M. era dovuto a ragioni diverse dallo svolgimento di determinate mansioni, Sostiene che la dimostrazione del diritto all’inquadramento superiore non poggia, dunque, sulle caratteristiche delle mansioni svolte e sul loro raffronto con le declaratorie contrattuali, ma su un dato diverso, ossia sulla sostituzione di collega di lavoro inquadrato nel livello F e sulla mancata prova, da parte di Telecom, che l’inquadramento di quest’ultimo non era avvenuto per motivi diversi dallo svolgimento di determinate mansioni. Con il quesito, formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., domanda se l’onere della prova possa essere assolto attraverso il richiamo a tale sola circostanza (l’essere stato assegnato alla stessa posizione professionale di altro lavoratore in possesso del livello di inquadramento rivendicato).

Infine, la ricorrente lamenta l’insufficienza della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed, a sostegno della doglianza, riporta brani di deposizioni testimoniali per dimostrare che non vi è corrispondenza tra quanto dichiarato dai testi e quanto affermato in sentenza.

Rileva il Collegio che i primi due motivi, per la sostanziale identità delle questioni trattate, sia pure sotto profili diversi – di vizio della motivazione il primo e di violazione di legge il secondo – possono trattarsi congiuntamente. Al riguardo si osserva che, al di là del pure assorbente rilevo dell’inammissibilità del quesito formulato all’esito della parte argomentativa del secondo motivo – che non enuncia la regula iuris violata e quella ritenuta, al contrario, applicabile alla fattispecie, con ciò rivelandosi inidoneo ad integrare i requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c. – la sentenza, sia pure attraverso un percorso argomentativo non lineare, recupera i termini del sillogismo che in via generale aveva ritenuto di non potere agevolmente applicare, per le ridondanti e poco chiare definizioni qualificazione delle declaratorie contrattuali dei livelli da confrontare, e cioè del livello di appartenenza e di quello rivendicato giudizialmente. Nella sostanza risulta evidenziato, sia pure attraverso un percorso motivazionale alquanto articolato, – nel quale si da atto preliminarmente della mancanza di ogni richiamo al principio di parità di trattamento, inapplicabile in tema di valutazione del diritto all’inquadramento superiore – che le mansioni del M., espressione certa della professionalità propria del profilo dello specialista, inquadrato nell’allora livello F, e, successivamente, nel livello 6, erano state assunte in toto dal S. e che in definitiva le mansioni peculiari affidate a quest’ultimo erano proprie di tale figura professionale ossia dello “specialista”, cui il ccnl del 1996 dedicava una estesa e complessa individuazione definitoria riferita all’esplicazione di funzioni specialistiche che richiedono un contributo professionale autonomo ed innovativo, sicuramente più elevato dell’apporto professionale richiesto ai dipendenti di livello immediatamente inferiore. La motivazione, pertanto, nella complessiva articolazione dei vari passaggi argomentativi, non presenta i profili di contraddittorietà evidenziati, posto che i termini del sillogismo risultano esplicitati, ad onta delle premesse sulla difficoltà di interpretazione delle classificazioni definitorie delle declaratorie esaminate.

Il procedimento logico – giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non è stato dunque disatteso per mancata individuazione, come dedotto, di alcuni dei termini dello stesso, posto che nella pronunzia si da congruamente atto delle fasi successive di tale procedimento, e cioè, dell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte dal S., dell’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e del raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. Una volta verificata la corretta applicazione dei criteri che regolano il detto procedimento valutativo, nessuna ulteriore censura trova spazio, atteso che, per consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, l’accertamento della natura delle mansioni concretamente svolte dal dipendente, ai fini dell’inquadramento del medesimo in una determinata categoria di lavoratori, costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito ed è insindacabile, in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione (cfr., tra le altre, Cass. 30.10.2008 n. 26234).

Il terzo motivo di impugnazione è inammissibile, atteso che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, “qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci motivazione del giudizio sulle prove testimoniali, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica” (cfr, tra le altre, Cass. 19 marzo 2007 n. 6640; Cass. 7 dicembre 2005 n. 26990). Ed ancora è stato affermato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello operato da giudice e conforme a quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito a quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. 23.12.2009 n. 27162).

Nella specie, non ravvisandosi nell’iter argomentativo del Giudice d’appello violazioni di legge ed incongruenze o deficienze motivazionali, anche tale motivo deve essere disatteso.

Infine, il ricorso incidentale deve essere respinto, non essendo con lo stesso individuato in termini di specificità e con riguardo ai vizi contemplati dall’art. 360 c.p.c. l’errore denunziato, che, qualora non rientrante nel n. 5, implicherebbe, ratione temporis, la formulazione di un quesito, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nella specie insussistente. Peraltro, deve ribadirsi il principio già affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa e che esula, pertanto, da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr. , da ultimo, Cass. 11.1.2008 n. 406, che richiama Cass. 14.11.2002, n. 16012; Cass. 1.10.2002, n. 14095; Cass. 11.11. 1996, 9840).

Per concludere, entrambi i ricorsi vanno respinti e la reciproca soccombenza giustifica la compensazione per intero tra le parti delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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