Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27208 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 23/10/2019), n.27208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28759/2014 proposto da:

S.M., e R.A., elettivamente domiciliate in

Roma, Via Tacito n. 10, presso lo studio dell’avvocato Dante Enrico,

che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bertaggia

Lorenzo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Vespolate, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Piemonte n. 39, presso lo

studio dell’avvocato Grieco Antonio, che lo rappresenta e difende,

giusta procura speciale per Notaio Dott. G.N., in Novara

– Rep. n. (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 879/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/06/2019, a seguito di riconvocazione, dal Cons. Dott. PARISE

CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 879/2014 pubblicata il 12-5-2014 la Corte d’Appello di Torino, pronunciando in unico grado, dichiarata la carenza di legittimazione passiva del Comune di Novara, ha accolto per quanto di ragione l’opposizione alla stima proposta da S.M. e R.A., ha determinato in Euro 9.500 l’indennità per l’esproprio del suolo descritto in motivazione dovuta dal Comune di Vespolate ed ha rigettato la domanda avente al oggetto l’indennità di occupazione legittima relativa al medesimo fondo espropriato, ordinando al Comune di Vespolate il deposito della differenza tra il predetto ammontare e l’indennità già depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti a disposizione delle attrici, oltre interessi al tasso legale calcolati in base a quanto precisato nella motivazione della sentenza impugnata. La Corte d’appello, dato atto dello stato dei luoghi in conformità alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato la destinazione urbanistica alla data anteriore a quella del vincolo preordinato all’espropriazione, ossia prima del 23-2-2006, ed ha precisato che si trattava di fondi non edificabili e non edificati, utilizzabili solo dalla pubblica amministrazione in forza di espropriazione e destinati ad usi agricoli. I quattro mappali erano in parte in zona di rispetto degli impianti cimiteriali, in parte in area per servizi e attrezzature pubbliche di progetto ed in parte in area di rispetto dei corsi d’acqua – rete di connessione ecologica. Quanto al valore di stima, la Corte d’appello ha ritenuto congruo quello di Euro 3,20 al mq. che era stato indicato dal CTU mediante riferimento all’andamento di mercato ed alla banca dati dei valori fondiari dell’INEA, tenuto conto anche delle particolari caratteristiche di pregio della zona. La Corte territoriale ha rilevato che il valore stimato dal CTU era quello massimo rispetto a quelli attuali di mercato. Ha ritenuto irrilevante il valore storico, calcolato mediante rivalutazione dal 1982 del valore di stima, come da cessione bonaria, di altra porzione dello stesso terreno, espropriato a carico dei genitori delle attrici, dovendosi invece considerare il valore commerciale del bene alla data del decreto di esproprio (28-4-2011), in forza del disposto del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1. Per gli stessi motivi i Giudici d’appello hanno escluso che la determinazione della stima potesse effettuarsi in base al valore medio tra quello storico e quello attuale di mercato, come era stato proposto dal CTU. La Corte territoriale, infine, in conformità a quanto accertato dal CTU, ha escluso la sussistenza di un deprezzamento delle porzioni maggioritarie residue. Ha altresì escluso, rilevando l’esorbitanza delle domande risarcitorie dalla competenza del giudice delle espropriazioni, che fosse dimostrata la sussistenza, alla data del decreto di esproprio, di danni derivanti dalla costruzione a confine delle vasche sigillate destinate a contenere rifiuti di amianto e murate al di sotto dei loculi dell’estensione cimiteriale.

2. Avverso questa sentenza, S.M. e R.A. propongono ricorso affidato a cinque motivi. Il Comune di Vespolate, non costituitosi ritualmente, ha depositato procura speciale notarile di data 17 febbraio 2015 con cui conferisce al procuratore speciale avvocato Antonio Grieco il potere di rappresentarlo nel presente giudizio. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

3. Con ordinanza interlocutoria depositata il 23 maggio 2019 questa Corte, rilevata d’ufficio la questione relativa a condizione di proponibilità dell’azione, con riferimento all’emissione, anche sopravvenuta, del decreto di espropriazione dei beni indicati nella sentenza impugnata, riservata la decisione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, ha assegnato al P.G. e alle parti termine di trenta giorni dalla comunicazione della medesima ordinanza per il deposito di osservazioni sulla questione rilevata d’ufficio.

4. Le parti ricorrenti e il Comune di Vespolate hanno depositato osservazioni nel termine fissato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo le ricorrenti lamentano “Nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa pronuncia sulla domanda di condanna del Comune di Vespolate al pagamento in favore delle ricorrenti della somma di Euro 39.029,41, quale giusto indennizzo per il ristoro della destinazione urbanistica delle aree espropriate. Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.”. Affermano che la Corte d’appello non abbia emesso alcuna statuizione in merito alla domanda di condanna, avanzata nei confronti del Comune di Vespolate, al pagamento della somma di Euro 39.029.41 a titolo di giusto indennizzo per il ristoro della destinazione urbanistica, quale espressione del principio perequativo che costituisce uno dei fondamenti della disciplina urbanistica. In ottemperanza al principio di autosufficienza indicano specificatamente in quale parte del ricorso in opposizione alla stima la domanda sia stata formulata. Il vizio di omessa pronuncia ha determinato la nullità della sentenza impugnata per violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il giudicato ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

2. Con il secondo motivo lamentano “Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), art. 42 Cost., comma 3, art. 1 del 1 prot. add. CEDU come interpretato dalla Corte EDU, del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32, 37, 40,41 e 45, L.R. Piemonte n. 56 del 1977, art. 46, per non avere considerato, nella determinazione del giusto indennizzo per l’esproprio, il ristoro per la destinazione urbanistica effettiva delle aree ablate”. Le ricorrenti denunciano la violazione del principio perequativo che deve sorreggere i meccanismi di distribuzione delle concessioni edificatorie tra tutti i proprietari soggetti al medesimo strumento urbanistico generale. Espongono di essere state proprietarie di terreni situati in mappali fatti oggetto di diverse valutazioni da parte del P.R.G.C. vigente, essendo classificate in parte come aree per servizi ed attrezzature pubbliche o di uso pubblico (art. 3.2.1 N. T.A.), in parte come aree agricole di raccordo E1 (art. 3.7.2 N. T.A). Le suddette aree contribuiscono a sostenere lo sviluppo residenziale del Comune di Vespolate ed il principio perequativo si realizza mediante attribuzione di identico valore a tutte le aree di trasformazione e a tutti i suoli chiamati ad usi urbani, siano essi destinati ad attrezzature collettive ed infrastrutture pubbliche o all’edificazione privata. Ad avviso delle ricorrenti deve pertanto trovare applicazione il principio, desumibile anche dalle pronunce della Corte EDU, del riconoscimento di un valore medio tra le aree di trasformazione urbana e, in mancanza di detto riconoscimento, difetta un ragionevole rapporto con il valore del bene espropriato. Le ricorrenti precisano di aver indicato il valore di cui trattasi nella misura del 20% del valore storico rivalutato dei terreni.

3. Con il terzo motivo lamentano “Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), art. 42 Cost., comma 3, art. 1 del 1 prot. add. CEDU come interpretato dalla Corte EDU, dell’art. 136 Cost., in combinato disposto con L. n. 87 del 1953, art. 27,D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 40, 41, 42 e 43, L. n. 2359 del 1865, art. 39, per avere determinato l’indennizzo per l’esproprio delle aree agricole facendo applicazione del criterio del valore agricolo medio in luogo del valore agricolo effettivo delle aree ablate. Assenza di qualsiasi scrutinio del regime giuridico-urbanistico delle aree assoggettate ad esproprio per pubblica utilità ai finì della quantificazione dell’indennità, anche in rapporto ai valori tabellari medi utilizzati quali parametri di confronto”. Espongono che la determinazione del valore venale dei terreni proposto della terna peritale (Euro 8.619,08) si era basata, infatti, sul Valore Agricolo Medio dei terreni agricoli assegnato dalla Commissione Provinciale di Novara per l’anno 2011, che aveva attribuito il valore di Euro 2,7404 mq. alle risaie e di Euro 0,8507 mq. al bosco ceduo. Si trattava di un valore medio, avulso da ogni valutazione delle caratteristiche intrinseche dei terreni espropriati. Anche la Corte di merito, ad avviso delle ricorrenti, aveva determinato l’indennizzo per l’esproprio mediante un raffronto tra valori medi di terreni coltivati o coltivabili a risaia riportati in alcune banche dati. Invece, a seguito della pronuncia della Corte Cost. n. 181/2011, il valore tabellare dei terreni non può più utilizzarsi come parametro per la determinazione dell’indennizzo. Inoltre, la Corte d’appello ha disconosciuto ogni funzione di adeguamento correttivo al valore storico, pervenendo così ad un risultato notevolmente inferiore ed errato in linea di fatto, in quanto concretante una perdita di oltre il 70% del valore dei terreni dal 1982 al 2012. Lamentano le ricorrenti il mancato riferimento al valore venale delle aree agricole espropriate, anche sulla base del regime giuridico urbanistico e delle caratteristiche intrinseche delle stesse, avendo la Corte territoriale fondato la propria valutazione esclusivamente su valori medi attinti da alcune banche dati.

4.Con il quarto motivo lamentano “Omesso esame di fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), consistente nella scorretta individuazione delle superfici espropriate determinate secondo la relazione del c.t.u. e nonostante le diverse risultanze di documenti di causa provenienti dalla stessa Autorità espropriante (Comune di Vespolate)”.Assumono le ricorrenti che la quantificazione dell’indennità di esproprio, determinata dalla Corte d’Appello di Torino nella misura di complessivi Euro9.500,00 sia errata in quanto era stata erronea l’individuazione delle aree espropriate La superficie di dette aree era stata indicata in mq. 3.290 nella valutazione di stima del Comune di Vespolate, mentre era indicata in mq. 2.902 nel prospetto di pag.14 della sentenza impugnata. Ad avviso delle ricorrenti si tratta di errore rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

5. Con il quinto motivo denunciano “Violazione e/o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), art. 42 Cost., comma 3, art. 1 del 1 prot. add. CEDU come interpretato dalla Corte EDU, e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, per non avere considerato, nella determinazione complessiva del giusto indennizzo, la perdita di valore delle aree continue ai terreni espropriati e facenti parte degli stessi mappali, stante la costruzione di una discarica di rifiuti tossico-nocivi (contenenti amianto) a ridosso delle coltivazioni di riso e i monitoraggi persistenti nel tempo in relazione ai rischi per la salute”. Le ricorrenti si dolgono del rigetto della loro domanda diretta ad ottenere una ulteriore somma, pari ad Euro 150.962,35, a titolo di indennizzo per il minor valore delle aree residue, in conseguenza della costruzione di una discarica di rifiuti tossico-nocivi a ridosso degli appezzamenti destinati alle coltivazioni risicole. Affermano che la quantificazione dell’indennizzo di cui trattasi si ricava dal minusvalore delle aree residue, come da tabella riportata a pag. 33 della memoria conclusionale, e che la preponderanza delle aree residue rispetto a quelle espropriate non è elemento discretivo ai fini dell’esclusione della diminuzione di valore dei terreni residui, che, nel caso di specie, costituivano un unicum con i terreni espropriati sotto il profilo funzionale. La costruzione di una discarica di rifiuti tossico-nocivi a ridosso dei terreni agricoli era idonea ad arrecare una danno immediato e diretto ai proprietari degli stessi, da ritenersi in re ipsa in quanto derivante dall’impossibilità di ricavare qualsiasi utilità economica da quei terreni per ragioni di carattere igienico sanitario.

6. Preliminarmente deve darsi atto che, come evidenziato nelle osservazioni depositate dalle parti ricorrenti, risulta emesso in data 29-8-2012 il decreto di esproprio n. 1690, pur non espressamente menzionato nella parte narrativa e motiva della sentenza impugnata, in cui, anzi, è indicata, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, la data del 28-4-2011 (pag. 18 sentenza), che è invece quella della notifica della comunicazione di avvio del procedimento di espropriazione (pag. n. 10 sentenza).

In via preliminare deve altresì darsi atto che non può tenersi conto delle osservazioni depositate dal Comune di Vespolate, che non si è costituito ritualmente.

7. I primi due motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione.

7.1. In ordine alla doglianza di omessa pronuncia espressa con il primo motivo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perchè erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (Cass. S.U. n. 2731/2017).

7.2. Nel caso di specie le censure comportano la soluzione di un problema giuridico, inerente l’ambito di operatività del principio perequativo che, secondo la prospettazione delle ricorrenti, trova applicazione nella fattispecie in esame e si realizza mediante attribuzione di identico valore a tutte le aree di trasformazione e a tutti i suoli chiamati ad usi urbani, siano essi destinati ad attrezzature collettive ed infrastrutture pubbliche o all’edificazione privata.

7.3. Occorre precisare che la perequazione è un istituto specifico in ipotesi di formazione di comparti, che sono strumenti esecutivi del P.R.G., e non elide il potere del Comune di zonizzazione L’istituto della perequazione ha quale propria finalità quella di evitare ingiusti trattamenti differenziati e quindi presuppone che le situazioni di fatto su cui va ad incidere presentino caratteristiche analoghe. Infatti, solo quando le caratteristiche ontologiche dei suoli siano simili e tali da renderli tutti destinati all’edificazione, si rende necessario evitare che i diversi proprietari ricevano trattamenti differenziati, ed invece non sussiste la suddetta finalità tra aree che abbiano caratteristiche diverse, secondo le prescrizioni urbanistiche vigenti. Che a questi principi sia ispirata la L.R. Piemonte n. 56 del 1977, richiamata dalle ricorrenti, emerge proprio dal tenore dell’art. 46 di detta legge, che prevede anche la finalità di realizzare “un equo riparto di oneri e benefici tra i proprietari interessati” con riferimento a “comparti costituenti unità di intervento e di ristrutturazione urbanistica ed edilizia, comprendenti immobili da trasformare ed eventuali aree libere da utilizzare secondo le prescrizioni dei piani vigenti e del programma di attuazione”.

Va, ulteriormente, precisato che il sistema dicotomico di ricognizione legale dei suoli – edificabili e non edificabili secondo scelte urbanistiche – è connotato da indubbia discrezionalità (Corte Cost. n. 64/1963 e n. 38/1966; Cons. Stato n. 2843/2010), sia per quanto concerne la ripartizione in zone del territorio comunale, sia per ciò che riguarda il regime della proprietà privata nell’ambito delle singole zone, in relazione alle esigenze, modificabili anche nel tempo, della vita moderna e dell’espansione urbanistica.

Ciò posto, nel caso di specie il fondo ablato non era legalmente edificatorio, come incontroverso in causa, e quindi non appare ipotizzabile quello scambio di utilità fra proprietà ed amministrazione che concretizza una delle funzioni tipiche della perequazione, nel senso precisato. D’altronde, anche in base alla prospettazione delle ricorrenti, la perequazione può attuarsi tra aree soggette a trasformazione urbanistica, e quindi con potenzialità edificatorie, che, invece, il terreno ablato per cui è causa pacificamente non aveva alla data di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio. L’indennità di espropriazione deve rispecchiare il valore del bene quale emerge dal suo potenziale sfruttamento non in astratto, ma secondo le norme e i vincoli degli strumenti urbanistici vigenti nei diversi territori (Corte Cost. n. 181/2011 e n. 348/2007; la sentenza Scordino della CEDU del 2006, richiamata dalle ricorrenti, riguarda la diversa ipotesi dell’occupazione appropriativa).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il principio perequativo, nel senso invocato dalle ricorrenti, non trova applicazione nella fattispecie e non merita censura la statuizione implicita di rigetto di cui trattasi, come sopra motivata in diritto.

8. Il terzo motivo è infondato.

8.1. La Corte territoriale ha determinato il valore di mercato del bene ablato alla data del decreto di esproprio, in osservanza di quanto prescritto dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32. E’ errato il riferimento al valore storico, pur se rivalutato, come da costante giurisprudenza di questa Corte (tra Cass. n. 18556/2015).

9. Il quarto motivo è inammissibile.

9.1. Le ricorrenti si dolgono del fatto che la superficie presa in considerazione dal C.T.U. e dalla Corte territoriale sia stata erroneamente individuata, in base a quanto risulta, ad avviso delle ricorrenti, dalla relazione di stima del Comune di Vespolate.

La Corte d’appello non prende in esame la suddetta circostanza, e tuttavia le ricorrenti non allegano che il fatto dedotto (individuazione errata della superficie ablata) sia stato oggetto di discussione tra le parti, sì da potersi configurare il vizio motivazionale denunziato ai sensi dell’art. 36 c.p.c., comma 1, n. 5 e neppure indicano come, dove e quando, nel giudizio di merito, abbiano sollevato la suddetta questione di fatto, facendone rilevare la discrepanza rispetto alle risultanze dell’indagine peritale.

10. Il quinto motivo è infondato.

10.1. La Corte territoriale ha escluso che in concreto il distacco di parte del fondo avesse influito oggettivamente in modo negativo sulla maggiore parte residua, in particolare evidenziando la minima incidenza della porzione ablata e la piena utilizzabilità, pur sempre e solo agraria, dei maggiori reliquati, anche per la regolarità di forma delle porzioni residue, che erano adibite alla coltura a risaia, e che, in quanto contigue, formavano un unico appezzamento, ancorchè intersecato da strade poderali e canali, comunque funzionali alla suddetta coltura.

La Corte d’appello ha altresì affermato che non vi fosse alcuna dimostrazione del pregiudizio effettivo, eventualmente rilevante come deprezzamento ai fini della liquidazione dell’unica indennità di espropriazione spettante alle ricorrenti (Cass. n. 15696 del 2018), derivante dall’interramento, a confine, di vasche sigillate contenenti rifiuti di amianto.

Il Collegio di merito, dunque, sulla base di un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha ritenuto che nella fattispecie concreta non ricorressero i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, nel rispetto dei principi affermati da questa Corte in tema di espropriazione parziale (tra le tante Cass. n. 4787/2012 e n. 24304 del 2011), sicchè non ricorre il vizio denunciato.

19. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

20. Nulla si dispone circa le spese del giudizio di legittimità, in assenza di rituale costituzione del Comune controricorrente.

21. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, sa parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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