Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27204 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 27/11/2020), n.27204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17257-2019 proposto da:

R.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FABIO PICCININNO;

– ricorrente –

contro

L.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1943/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 17/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il giudice monocratico del Tribunale di Sala Consilina, su istanza di L.M., ingiungeva a R.G.C., il pagamento di una somma a titolo di compenso professionale per la progettazione di un fabbricato. Proposta opposizione, questa era rigettata dal tribunale, il quale disattendeva la tesi dell’opponente, secondo cui il diritto al compenso era stato subordinato alla conclusione di un contratto di permuta relativo al fabbricato di cui al progetto affidato al professionista, contratto di permuta che non fu poi concluso a causa della negligenza del L., che aveva redatto un progetto che prevedeva la costruzione di un fabbricato di dimensioni inferiori rispetto a quelle consentite dal piano regolatore. In particolare, il tribunale riteneva che la previsione contrattuale, secondo cui il pagamento del compenso avrebbe dovuto far carico all’acquirente del fabbricato, non avesse dato luogo a una fattispecie condizionale, ma costituiva promessa del fatto del terzo; nello stesso tempo il primo giudice escludeva la responsabilità del progettista.

La corte d’appello confermava la sentenza, condividendo la qualificazione giuridica data dal tribunale e rilevando che il committente non aveva dato prova di avere incaricato il professionista della redazione di un progetto che si caratterizzasse per lo sfruttamento al massimo delle possibilità edificatorie del lotto.

Per la cassazione della sentenza R.G.C. ha proposto ricorso affidato a due motivi.

L.M. è rimasto intimato.

Il ricorso, su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza, è stato fissato dinanzi alla sesta sezione civile della Suprema Corte.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1353 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte d’appello non ha tratto le debite implicazioni dalla previsione contrattuale, da ritenere valida secondo la giurisprudenza di legittimità, che subordinava il diritto del professionista al compenso alla conclusione del contratto di permuta del fabbricato di cui al progetto al quale si riferiva l’incarico.

Il motivo è inammissibile. La corte d’appello ha considerato la previsione contrattuale sulla quale è fondata la censura e ha escluso che la stessa avesse dato luogo a una fattispecie condizionale, il che rende del tutto sterili le considerazioni del ricorso sulla giuridica possibilità di apporre una condizione anche al diritto del professionista a percepire il compenso. In altre parole, dinanzi a una statuizione che positivamente neghi l’esistenza di una fattispecie condizionale, la questione proponibile in sede di legittimità non riguarda la corretta applicazione delle norme sulla condizione sospensiva, ma la corretta interpretazione del contratto. In altre parole, il giudice di merito che neghi erroneamente l’esistenza nel contratto di una condizione sospensiva, non viola la norma codicistica che disciplina la condizione o quella che riconosce l’autonomia delle parti nella sua apposizione, anche per quanto riguarda il diritto al compenso del professionista, ma interpreta malamente il contratto. La censura, quindi, doveva rivolgersi contro l’interpretazione del contratto data dal giudice di merito, nei limiti in cui le questioni di ermeneutica negoziale sono proponibili in sede di legittimità. Costituisce infatti principio acquisito che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 18319/2017; n. 27136/2017).

Si deve aggiungere che la corte di merito ha dato adeguata e logica motivazione in ordine a questo aspetto della lite.

Il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 112 c.p.c. – Nullità della sentenza per omessa motivazione sull’ammissione della CTU tecnica. Violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo è inammissibile. Il ricorrente, infatti, propone una censura puramente formale, in assenza di una univoca indicazione dei fatti che egli intendeva provare con la consulenza tecnica e che il giudice di merito, senza pronunciarsi sul punto, ha poi ritenuto ugualmente indimostrati (Cass. n. 5339/2015). Si deve aggiungere che la corte d’appello ha identificato l’errore professionale, imputato dal committente al professionista, nella realizzazione “di un progetto che consente un’utilizzazione delle possibilità edificatorie del lotto inferiore a quello consentito dagli strumenti urbanistici”. Ebbene tale valutazione del significato delle deduzioni di parte in ordine alla negligenza imputata al professionista non ha costituito oggetto di censura; in rapporto a tale negligenza, la sola inclusa nel thema decidendum secondo la corte d’appello, non si chiarisce la ragione che avrebbe giustificato la nomina di un consulente tecnico: da qui, appunto, il carattere formale della censura e quindi la sua irrilevanza.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

 

 

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