Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27200 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27200 Anno 2013
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 2852-2007 proposto da:
Z IMM SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio
dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e
difende unitamente agli avvocati CENTORE PAOLO, GLENDI
2013

CESARE giusta delega a margine;
– ricorrente –

2839
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 04/12/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ape legis;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 101/2003 della COMM.TRIB.REG.
di MILANO, depositata il 25/10/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato COGLITORE delega
Avvocato MANZI che si riporta al ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI
che si riporta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Lombardia con sentenza 25.10.2006 n. 101

di recupero credito” e l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Milano
dell’Agenzia delle Entrate con i quali veniva disconosciuto il credito d’imposta esposto
nella dichiarazione della società controllata Ronaldsay Servicos e Investimentos IPA, e
conseguentemente recuperata la indebita detrazione IVA effettuata con la liquidazione
annuale dell’anno 1999 e rettificata la relativa dichiarazione con la cancellazione del
residuo importo del credito riportato in eccedenza.
I Giudici accoglievano invece l’appello incidentale dell’Ufficio dichiarando legittimo il
provvedimento irrogativo della sanzione pecuniaria.

La CTR lombarda, rilevato che il credito d’imposta per lire 10.600.000.000 era
derivato da operazioni effettuate dalla società controllata con società irlandesi “offshore”, riteneva fondata la pretesa tributaria in quanto: a) l’ “atto di recupero credito”
non integrava un autonomo atto impositivo, distinto dall’ “avviso di accertamento in
rettifica parziale”, assolvendo alla funzione di mera comunicazione con la quale veniva
resa nota al contribuente la intenzione dell’Ufficio di procedere all’accertamento, e
dunque trattavasi di atto non impugnabile ai sensi dell’art. 2 Dlgs n. 546/92; b) l’avviso
di accertamento assolveva al requisito formale di validità, essendo adeguatamente
motivato mediante identificazione del presupposto impositivo, tanto che la società era
stata in grado di apprestare le proprie difese; c) correttamente era stata disconosciuta la
detrazione Iva infragruppo, in difetto della condizione per l’esercizio del diritto,
costituita dal rilascio di valida e regolare garanzia fidejussoria; d) irrilevante era da
ritenere il perfezionamento della procedura di condono ai sensi dell’art. 9 legge n.
1
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

C e
Stefano 44vieri

ha rigettato l’appello proposto da Zinetti Immobiliare s.r.l. dichiarando legittimo “l’atto

289/2002, atteso che la incontestabilità del debito d’imposta definito, non precludeva
comunque alla Amministrazione finanziaria di contestare la inesistenza dei fatti
costitutivi del credito d’imposta o l’assenza delle condizioni legali per l’esercizio dei
crediti di rimborso vantati dal contribuente; e) la società, omettendo di prestare la
dovuta garanzia, non aveva osservato le condizioni richieste dalla legge per effettuare la
compensazione dell’Iva infragruppo; peraltro “solo incidentalmente” l’Ufficio aveva

di fatture per operazioni inesistenti; t) la irrogazione della sanzione pecuniaria doveva
ritenersi legittima, in quanto la relazione societaria di controllo totalitario consentiva di
imputare alla Zinetti Immobiliare s.r.l. controllante la responsabilità per la omessa
valutazione e controllo in ordine alla richiesta di un credito d’imposta di così notevole
importo.

Avverso la sentenza di appello ha proposto rituale ricorso per cassazione la società
contribuente deducendo dodici motivi di censura corredati di quesito di diritto ex art.
366 bis c.p.c..
Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Entrate.
Con atto depositato in Cancelleria e notificato alla Agenzia delle Entrate in data
25.5.2013 il procuratore della parte ricorrente ha comunicato l’intervenuto fallimento
della società dichiarato con sentenza del Tribunale Ordinario di Roma in data
19.12.2012 n. 769.

Motivi della decisione

§ 1. La dichiarazione di fallimento della società è priva di effetti sullo svolgimento del
processo pendente avanti alla Corte in quanto, per consolidata giurisprudenza di
legittimità, nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova
applicazione l’istituto dell’interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli
2
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Cgnst.
Stefano ivieri

contestato anche la illegittima precostituzione del credito d’imposta mediante emissione

artt. 299 e ss. cod. proc. civ. (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5626 de/ 18/04/2002; id. Sez.
U, Ordinanza n. 17295 del 14/11/2003; id. Sez. U, Sentenza n. 14385 del 21/06/2007; id. Sez. 5,

Sentenza n. 14786 del 05/07/2011; id. Sez. L, Sentenza n. 8685 del 31/05/2012), nè tale

orientamento deve essere mutato in conseguenza della modifica dell’art. 43 legge fall.
per effetto dell’art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui dispone che
“l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, prevalendo anche in

Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21153 del 13/10/2010).

§ 2. Con il primo motivo la società ricorrente eccepisce la violazione del giudicato
implicito interno formatosi sulla pronuncia del Giudice di primo grado che aveva
qualificato come “atti impositivi”, autonomamente impugnabili dal contribuente,
entrambi i provvedimenti tributari opposti dalla società concludendo poi per l’implicito

annullamento del primo in autotutela in quanto integralmente sostituito dal secondo , in quanto i

Giudici di appello anzichè limitarsi ad esaminare il motivo di gravame concernente la
contestata sostituzione del primo atto di recupero ad opera del successivo avviso di
rettifica, avevano invece qualificato diversamente il primo atto di recupero come “mera
comunicazione anticipatoria” -in quanto tale non impugnabile dal contribuente- del
successivo ed unico atto impositivo. In via subordinata la ricorrente deduce con il

secondo motivo la violazione degli artt. 1, 2 , 56 e 61 Dlgs n. 546/92 e degli artt. 112,
113, 346 e 359 c.p.c. per avere i Giudici di appello attribuito “ex officio” una nuova
qualificazione giuridica al primo provvedimento impugnato (atto di recupero credito),
escludendone la autonoma impugnabilità, invece riconosciutagli dal primo giudice,
eccedendo dai limiti dell’oggetto devoluto alla loro cognizione, in difetto di specifica
richiesta di parte. In ulteriore subordine con il terzo motivo la società ritiene violati gli
artt. 2 e 19 del Dlgs n. 546/92, in quanto i Giudici territoriali hanno travisato la questione
della tassatività degli atti impugnabili avanti i Giudici tributari con la diversa questione
dei limiti esterni della giurisdizione tributaria, errando nel ritenere non autonomamente
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ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Stefan

est.
livieri

questo caso il principio di impulso di ufficio che regola il giudizio di legittimità (cfr.

impugnabile anche l’atto di recupero credito”.

Con il quarto motivo la parte

ricorrente — in caso di accoglimento di uno dei precedenti motivi – censura la nullità
della sentenza di appello in quanto avrebbe omesso di pronunciare ovvero risulterebbe
carente del requisito di validità della motivazione (in violazione degli artt. 112 c.p.c. e degli
artt. 36co2 n. 4) Dlgs n. 546/92, 132co2 n. 4) c.p.c., e 111co6 Cost.) in relazione allo specifico

motivo di gravame che investiva il punto della decisione di primo grado concernente

successivo “avviso di accertamento in rettifica”, nonostante la mancanza di un espresso
provvedimento di annullamento o revoca emesso dall’Amministrazione finanziaria che,
peraltro, aveva inteso resistere anche nel giudizio avente ad oggetto la opposizione al
primo atto di recupero.
In alternativa e nella eventualità del rigetto del precedente motivo (quarto), con il
quale era stato dedotto il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art.
360co 1 n. 4 c.p.c. (“errores in procedendo”), la società ricorrente, con il quinto motivo,
deduce la violazione delle norme di cui agli artt. 57 co3 Dpr n. 633/72, dell’art. 2 quater
DL n. 564/94 conv. in legge n. 656/94, in relazione all’art. 360co 1 n. 3) c.p.c., in quanto
il primo atto (recupero credito), diversamente da quanto sostenuto dalla CTP, non poteva
ritenersi revocato ed assorbito con la conseguenza che, non essendo consentita la
emissione di plurimi atti impositivi relativi alla stessa pretesa, l’Amministrazione
finanziaria avrebbe dovuto piuttosto annullare il successivo “avviso di rettifica” che
costitutiva illegittimo duplicato del primo atto impositivo. Sul presupposto della
eventuale ritenuta fondatezza del quinto motivo, la società ricorrente censura ancora la
sentenza di appello, con il sesto motivo, ritenendo che, se il precedente atto di recupero
credito non può ritenersi annullato o revocato (in quanto l’illegittimità per duplicazione della
pretesa inficerebbe soltanto l’avviso di rettifica successivamente emanato),

ne segue che i

Giudici di appello avevano omesso del tutto di pronunciare sui motivi del ricorso
proposto dalla società avverso l’ “atto di recupero credito”, incorrendo pertanto nel vizio
di omessa pronuncia e difetto assoluto di motivazione, per violazione degli artt. 112,
I 32co2 n. 4), 346 e 359 e degli artt. 1, 2, 36co2 n. 4) Dlgs n. 546/92 c.p.c.
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Co est.
livieri
Stef

l’annullamento o la revoca impliciti dell’ “atto di recupero credito” disposto dal

2.1 I motivi dal primo al sesto -che per gli evidenziati nessi di subordinazione e
condizionamento debbono essere esaminati congiuntamente- sono infondati.

2.2 Occorre premettere che il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di
attribuire il “nomen iuris” al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in

dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto
della controversia, ed è esercitabile anche in sede di sindacato di legittimità (purchè
circoscritto ai fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e
nella sentenza impugnata, e sempre che non importi immutazione delle domande ed eccezioni
formulate dalle parti: Corte cass. III sez. 29.9.2005 n. 19132; id. III sez. 22.3.2007 n. 6935; id 6-3
sez. ord. 17.5.2011 n. 10841). Tale potere rimane, tuttavia, precluso al Giudice della

impugnazione qualora si vengano ad introdurre e valorizzare elementi di fatto nuovi, non
dedotti dalle parti, nè rilevati dal Giudice nel precedente grado (cfr. Corte cass. Sez. 2,
Sentenza n. 15925 del 17/7/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 28/6/2010), ovvero si

determini una immutazione della “causa petendi” o del “petitum”, attribuendo con il
regolamento di interessi effetti giuridici diversi da quelli che le parti hanno
espressamente richiesto con le domande (cfr. Corte eass. III sez. 26.6.2012 n. 10617),
dovendo inoltre l’indicato potere di qualificazione giuridica della fattispecie controversa
essere coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni (effetto
devolutivo) che ne precludono l’esercizio in seguito alla eventuale formazione del
giudicato interno sulla disciplina normativa ritenuta applicabile dal Giudice di merito
alla fattispecie (cfr. Corte cass. III sez 20.10.2010 n. 21561; id. III sez. 22.3.2011 n. 6525),
rimanendo quindi confinato il potere di (ri)qualificazione giuridica della fattispecie da
parte del Giudice della impugnazione soltanto nei casi in cui la relativa questione : a) sia
stata oggetto di specifico motivo di impugnazione (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n.
24339 del 1/12/2010), ovvero b) debba comunque ritenersi “implicitamente” ricompresa

nell’effetto devolutivo della impugnazione, in quanto -se pure non espressamente
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difformità rispetto alle deduzioni delle parti, è riservato al Giudice, avendo egli il potere-

formulata- tuttavia viene a costituire l’indispensabile “antecedente logico-giuridico”
della questione dedotta con il motivo di gravame (cfr. Corte cass. III 23.2.2006 n. 4008; id.
Sez. 1, Sentenza n. 8519 del 12/4/2006; id. I sez. 11.9.2007 n. 19090 —che specificano come il
potere di qualificazione della fattispecie può essere esercitato dal Giudice anche in mancanza di una
specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purchè nell’ambito
delle questioni riproposte col gravame-; id. Corte cass. H sez. 30.7.2008 n. 20730 che fa salvo il

impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione
giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica di un motivo di impugnazione
espressamente formulato”; id. Sez. 3, Sentenza n. 8142 del 03/04/2009).

2.3 Orbene alla stregua dei principi di diritto enunciati va disattesa la eccezione di
giudicato interno formulata dalla società ricorrente, atteso che il motivo di gravame con
il quale veniva contestata la statuizione della sentenza di primo grado -che alla notifica
del!’ “avviso di accertamento in rettifica” aveva ricollegato l’effetto di annullamento e/o revoca del
precedente “atto di recupero credito” , veniva a trovare logico fondamento proprio nella

qualificazione giuridica di tale atto come “autonomo provvedimento impositivo”: ne
segue che l’oggetto del motivo di gravame, concernente l’effetto sostitutivo dell’avviso
di rettifica, trascinava necessariamente con sè, nell’effetto devolutivo, anche la questione
(costituente presupposto implicito) della natura impositiva o meno dell’atto sostituito,
con la conseguenza che la CTR lombarda, esaminando il motivo e rigettandolo per
insussistenza di un precedente “atto impositivo” (qualificato come “mera comunicazione”)
che rendeva pertanto superflua l’ulteriore verifica dell’eventuale effetto sostitutivo
determinato dal successivo avviso di rettifica, ha esercitato

(indipendentemente dalla

valutazione della soluzione giuridica adottata) legittimamente il proprio potere, nei limiti

dell’oggetto devoluto alla cognizione, qualificando, diversamente dal primo giudice,
come “semplice comunicazione” l’atto di recupero del credito notificato il 24.6.2004,
rimanendo esclusa, pertanto, la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.

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Cons.
Stefano O ieri

potere nel caso in cui la questione della qualificazione giuridica “abbia formato oggetto di

§ 3. Anche gli altri motivi, dedotti a sequenza scalare, risultano infondati.
3.1

I motivi dal terzo al sesto appaiono strettamente connessi in quanto si palesano

intelligibili in funzione dell’unitario presupposto ad essi sotteso sul quale convergono le
critiche formulate alla sentenza impugnata.
La censura relativa alla erronea qualificazione giuridica (idest dell’errore relativo alla
impugnabili” avanti i Giudici tributari) trova spiegazione, sotto il profilo indicato, soltanto se

relazionata alla costruzione giuridica della fattispecie concreta prospettata dalla società
contribuente. Ed invero -incontestata in fatto la identità della pretesa tributaria oggetto
dell’avviso di accertamento rettifica e dell’atto di recupero del credito- una volta regolato dal

Giudice di merito il rapporto tributario, individuato nella sua unitarietà, sul presupposto
della sopravvenuta inefficacia -CTP- o della completa irrilevanza -CTR- del precedente
titolo (atto recupero credito) e sul riconoscimento dell’ “avviso di rettifica” quale unico
titolo legittimo nel quale viene a trovare fondamento la pretesa fiscale, dovrebbe infatti
ravvisarsi una carenza di interesse della società contribuente alla impugnazione della
decisione di appello volta esclusivamente a far accertare la persistente efficacia di due
titoli (identici) entrambi idonei a supportare la medesima pretesa. L’interesse a dedurre
tale motivo si palesa, invece, in tutta la sua evidenza laddove si rilevi che la società,
dalla persistente vigenza di due titoli che duplicano -illegittimamente- la medesima
pretesa tributaria, intende far conseguire (come emerge dai motivi dal quarto al sesto) la
“invalidità del potere” successivamente esercitato dalla Amministrazione finanziaria con
l’emissione dell’avviso di rettifica, in tal modo impedendo a quest’ultimo di sostituirsi al
primo atto impositivo, emendandone ed integrandone la motivazione, e così recuperando
i motivi di opposizione dell’altro ricorso introduttivo proposto avverso l’atto di
recupero credito” -e riproposti in sede di gravame- rimasti assorbiti in entrambi i gradi
di giudizio nelle pronunce dei Giudici di merito.

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Stefano

st.
vieri

mancata sussunzione dell’ “atto recupero credito” nella fattispecie normativa che individua gli “atti

3.2

Chiarito dunque il senso dell’interesse alla impugnazione della sentenza di

appello in punto di qualificazione giuridica dell’ “atto di recupero credito”, può
procedersi all’esame dei relativi motivi.
Preliminarmente debbono ritenersi evidentemente infondati i motivi del ricorso per
cassazione con i quali si denuncia una “omessa pronuncia” ovvero “una carenza assoluta
di motivazione” della sentenza della CTR in ordine ai motivi di gravame concernenti il

ancora l’omesso esame dei vizi propri dell’ “atto di recupero credito” denunciati con i
motivi del ricorso introduttivo non presi in considerazione dal primo giudice, atteso che i
Giudici di appello hanno correttamente omesso di passare all’esame delle questioni
indicate in quanto da ritenersi implicitamente incompatibili con la statuizione che
escludeva la natura impositiva -e quindi di atto autonomamente impugnabile- dell’ “atto
di recupero credito” considerato una mera comunicazione. Il nesso di incompatibilità
logica tra la soluzione giuridica adottata dalla CTR ed i motivi di gravame non
esaminati, esclude “ab origine” la stessa configurabilità del vizio di messa pronuncia.
Avendo poi espressamente fondato la CTR la propria decisione sulla inesistenza di una
duplicazione di atti impositivi, risulta assolto il requisito minimo di validità del
provvedimento giurisdizionale ai sensi dell’art. 36co2 n. 4) Dlgs n. 546/1992.

3.3 Quanto al denunciato “error in judicando” (in relazione alla esclusione dell’ “atto
recupero credito” dallo schema normativo dell’art. 2 Dlgs n. 546/1992) va tenuta presente la

inscindibilità delle questioni dedotte con il terzo e quinto motivo, in quanto dalla corretta
qualificazione giuridica dell’atto di recupero credito come autonomo provvedimento
impositivo, discende -secondo la società ricorrente- l’ulteriore errore di diritto in cui è
incorsa la CTR fondando la pretesa impositiva sull’ “avviso di accertamento in rettifica”
che, invece, avrebbe dovuto essere considerato illegittimamente adottato, e dunque
annullato, in quanto duplicativo della pretesa già fatta valere dalla Amministrazione con
il precedente “atto di recupero credito”. Così qualificata la censura, rileva il Collegio
che pur dovendo riscontrarsi l’errore in diritto in cui è incorsa la CTR confondendo i
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contestato annullamento e/o revoca del precedente atto impositivo e conseguentemente

piani dei limiti esterni della giurisdizione tributaria (art. 2 Dlgs n. 546/1992) e della
proponibilità del ricorso tributario (art. 19 Dlgs n. 546/1992), avendo i Giudici di appello
ritenuto non impugnabile l’atto di recupero del credito “in quanto non rientrante nella
tassativa enunciazione contenuta nell’art. 2 Dlgs 546/92”, con erroneo riferimento alla
norma attributiva della giurisdizione generale sui rapporti aventi ad oggetto i tributi
anzichè alla norma volta a definire le caratteristiche degli atti impugnabili (cfr. in
avverso atto non impugnabile: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 27209 del 23/12/2009), e pur

dovendo riconoscersi, in linea di diritto, l’interesse della società contribuente alla
autonoma impugnabilità dell’ “atto di recupero credito” notificato in data 24.6.2004, in
quanto (se pure non ricompreso formalmente tra gli atti indicati nell’elenco tassativo di cui all’art.
19 Dlgs n. 546/1992) comunque idoneo a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le

ragioni in diritto della pretesa impositiva (il contenuto dell’atto è riportato in ampi stralci per
extenso alle pag. 2 e 3 del ricorso per cassazione: dopo la enunciazione dei considerando e delle
premesse in fatto relative agli accertamenti svolti anche nei confronti della società controllata
Ronaldsay, viene disposto -previa liquidazione dell’importo- il recupero della imposta non versata
per effetto del disconoscimento del credito IVA portato in detrazione infragruppo, e la
cancellazione del conseguente credito in eccedenza riportato nelle successive dichiarazioni),

avendo ripetutamente precisato questa Corte che la tassatività dell’elenco di cui all’art.
19 Dlgs n. 546/1992, deve intendersi riferita non a singoli provvedimenti
nominativamente individuati, ma alla individuazione di “categorie” di atti considerate in
relazione agli effetti giuridici prodotti (tra cui predomina la categoria degli atti di natura
impositiva), con la conseguenza che non è impedito all’interprete -attraverso la corretta
qualificazione giuridica dell’atto tributario in concreto impugnato, da compiere in relazione agli
elementi funzionali ed agli effetti prodotti- ricondurre ad una delle predette categorie anche

atti “atipici” od individuati con “nomen juris” diversi da quelli indicati nell’elenco (tanto
in considerazione, secondo le pronunce di questa Corte, delle esigenze di certezza dei rapporti
tributari che rinvengono il loro fondamento nei principi costituzionali di buon andamento della PA
ex art. 97 Cost. e di effettività del diritto di difesa del cittadino ex art. 24 Cost.: cfr. Corte cass. Sez.
5, Sentenza n. 21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5,

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11111”’l t.
Stefano dtqivieri

relazione alla distinzione tra “carenza di giurisdizione” tributaria ed “improponibilità del ricorso”

Sentenza n. 16100 del 22/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 7344 del 11/05/2012; id. Sez. 5,
Sentenza n. 17010 del 05/10/2012), ebbene tutto ciò premesso deve ritenersi errata la

conclusione in diritto che, dalla autonoma impugnabilità dell’ “atto di recupero credito”,
intende trarre la società ricorrente.

3.4 Come emerge dalla esposizione del ricorso, i due atti impositivi, notificati alla

indicato ai sensi dell’art. 73 Dpr 633/72″), ed in data 22.12.2004 (“avviso di accertamento in
rettifica”), sono del tutto sovrapponibili quanto alla motivazione dei presupposti

impositivi (che viene ampliata ed approfondita nell’avviso di rettifica) ed alla determinazione
dell’importo della imposta a debito e dell’importo del credito in eccedenza
disconosciuto, sembrando trovare giustificazione la emissione del provvedimento di
rettifica a seguito della inutile escussione (effettuata medio tempore (con richiesta trasmessa
con lettera 18.6.2004) della garanzia prestata con atto di fidejussione in data 21.4.2000

dalla società “The Britannia Credit & Guarantee”: 1-nella esigenza di una ulteriore
integrazione della motivazione delle ragioni in fatto e diritto della pretesa ; 2-nella
formalizzazione della pretesa in un “atto tipico” dell’elenco di cui all’art. 19 Dlgs n.
546/92 idoneo a divenire definitivo ed a consentire la iscrizione a ruolo dell’importo
dovuto ai fini della riscossione coattiva; 3-nella irrogazione -contestuale all’avviso di
rettifica- della sanzione pecuniaria, pari al 30% dell’imposta a debito, per l’illecito di cui

all’art. 13 Dlgs n. 471/1997.

3.5 Orbene in materia tributaria il potere della PA di provvedere in via di autotutela
all’ “annullamento di ufficio” od alla “revoca” di atti illegittimi od infondati, anche in
pendenza di giudizio o di intervenuta definitività degli stessi per mancata impugnazione,
è espressamente riconosciuto dall’art. 2 quater comma 1 del DL 30.9.1994 n. 564 conv.
in legge 30.11.1994 n. 656 (nell’ambito di tale potere va ricompreso anche il potere di rinuncia
alla imposizione “illegittima” od “infondata” in caso di autoaccertamento: art. 1 DM 11.2.1997 n.
37 recante il regolamento di attuazione emanato ai sensi del predetto art. 2 quater col DL n.
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tic. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Con
Stefano

ieri

contribuente, rispettivamente, in data 24.6.2004 (“provvedimento di recupero del credito

564/94). Il rimedio di tipo demolitorio ricollegabile al provvedimento amministrativo di

secondo grado, che opera con efficacia “ex tunc”, si estende a qualsiasi vizio di
legittimità (annullamento) o di merito (revoca) dell’atto impositivo, ivi compreso
l’evidente errore logico o di calcolo” e l’ “errore sul presupposto della imposta” (art. 2
col lett. b, c, DM n. 37/1997), con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole alla

Amministrazione finanziaria (art. 2 co2 DM n. 37/1997).

di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo
“sostitutivo” laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere
di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (in quest’ultimo caso la integrazione
è assoggettata, in materia sia di imposte reddituali che di imposte sui consumi, alla condizione
necessaria della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” ex art. 43 ult. comma DPR n.
600/1973; art. 57co3 DPR n. 633/1972).

Viene, infatti, ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento cd. di riforma
dell’atto, specificandosi che “il ritiro di un precedente atto, può avvenire in due diverse
forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di
quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone
l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo
grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso),

caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta
identico” (cfr. Corte cass. V sez. 16.1.2009 n. 937, in materia di Iva).
In proposito, con specifico riferimento al potere di riforma dell’atto impositivo, è stato
precisato:
– che l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere
impositivo, sicchè, rimosso con effetto “ex tunc” l’atto di accertamento illegittimo
od infondato, la Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad
esercitare -nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto- la potestà impositiva
(cfr. Corte cass. V sez. 20.7.2007 n. 16115, id. 20.6.2007 n. 14377 -entrambe in materia di
imposte reddituali-);
11
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

La giurisprudenza di questa Corte ha, peraltro, riconosciuto estensivamente il potere

- che dalla non consumazione del potere impositivo, in caso di annullamento o
revoca dell’atto viziato, discende il corollario che il provvedimento di riforma
adottato in sede di autotutela, non dispone per l’avvenire ma retroagisce al
momento della applicazione del imposta, proprio in quanto “viene a sostituirsi”
all’originario atto impositivo (cfr. Corte cass. V sez 21.1.2008 n. 1148; id. 30.12.2009
n. 27906 -entrambe in materia di imposte sui trasferimenti-);

dell’atto impositivo, in quanto quest’ultimo presuppone la esistenza di un
precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione
necessaria la eliminazione (anche implicita nel caso in cui l’atto riformato riproduca lo
stesso contenuto dell’atto sostituito: Corte cass. V sez. 3.8.2007 n. 17119) del precedente

atto impositivo illegittimo od infondato;
che la riforma dell’atto impositivo non è limitata ai soli vizi formali, ma può
estendersi a “tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari,
dall’oggetto e dal contenuto” (sic Corte cass. V sez. 23.2.2010 n. 4272 -in materia di
imposte reddituali- che richiama espressamente la sentenza 22.2.2002 n. 2531, e circoscrive
alle sole ipotesi di nullità per vizi formali l’esercizio del potere di “sostituzione di un
precedente atto impositivo con altro avente contenuto identico”, quindi alle sole ipotesi di
“correzione” del medesimo atto: nel caso concreto, peraltro, la “sostituzione” dell’atto
impositivo si era resa necessaria in conseguenza di una successiva dichiarazione del
contribuente parzialmente modificativa di quella dallo stesso precedentemente presentata);

– che il potere di “sostituzione” dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine
decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di
violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato (cfr.
Corte cass. V sez. 16.7.2003 n. 11114; id. V sez. 20.11.2006 n. 24620; id. V sez. 12.5.2011
n. 10376), nonché del diritto di difesa del contribuente (nel caso di sostituzione di un

precedente atto impositivo, annullato in pendenza di giudizio, con un nuovo atto con il quale
viene fatta valere la medesima pretesa -fondata sugli stessi presupposti impositivi- ridotta
soltanto nella misura dell’importo, il giudice di merito, non può per ciò stesso dichiarare
cessata la materia del contendere ove il contribuente abbia contestato “in toto” la
12
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Con
t.
Stefano O1lvieri

che il rimedio della “autotutela sostitutiva” differisce dal potere di “integrazione”

obbligazione tributaria per insussistenza dei presupposti della imposta, ma deve comunque
pronunciare nel merito: Corte cass. V sez. 26.3.2010 n. 7335).

3.6 Alla stregua degli indicati principi giurisprudenziali deve essere risolta la
questione sottoposta all’esame del Collegio concernente la qualificazione del
provvedimento di “accertamento in rettifica” adottato dall’Ufficio, dovendo riconoscersi

di recupero del credito”.

3.7 L’assunto della società ricorrente secondo cui :
la emanazione del secondo atto impositivo avrebbe comportato una illegittima
duplicazione della medesima pretesa tributaria
l’atto impositivo successivamente emanato, in difetto di formale annullamento o
revoca del precedente atto, dovrebbe essere annullato in quanto affetto da vizio di
legittimità insanabile
si fonda sull’assioma, privo di fondamento normativo, secondo cui, emesso un atto
comunque idoneo a portare a conoscenza del contribuente la pretesa tributaria,
l’Amministrazione finanziaria consumerebbe il relativo potere, non potendo adottare
successi atti impositivi volti ad emendare errori, lacune o vizi di legittimità formale o
sostanziale, se non previa formale adozione di un atto di annullamento o di revoca.
Tale assunto infatti contrasta :
a) con le norme tributarie -di stretta interpretazione- che , in relazione alle diverse
discipline di imposta, ricollegano esclusivamente al decorso dei termini di decadenza la
consumazione della potestà di accertamento impositivo
b) con le norme sopra richiamate che disciplinano il potere di autotutela della PA anche
in materia tributaria
c) con la riconosciuta idoneità anche di atti “atipici” non ricompresi nell’elenco di cui
all’art. 19 Dlgs n. 546/92 a costituire veicolo di accesso al giudizio tributario (“inviti di
pagamento”: Corte cass. v sez. 8.10.2007 n. 21045, id. V sez. 25.2.2009 n. 4513; “preavviso di

13
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

t.
C
Stefano livieri

in tale provvedimento impositivo un “atto di autotutela-sostitutiva” del precedente “atto

fermo amministrativo”: Corte cass. SU ord. 11.5.2009 n. 10672; “comunicazione di irregolarità”

trasmessa ai sensi dell’art. 36 bis Dpr n. 600/73: Corte cass. V sez. 11.5.2012 n. 7344; “atto di
rigetto di istanza di sgravio”: Corte cass. V sez. 22.7.2011 n. 16100; “diniego opposto alla istanza
di disapplicazione di norme antielusive” ai sensi dell’art. 37 bis comma 8 Dpr n. 600/73: Corte
cass. V sez. 5.10.2012 n. 17010: atto di “sollecito di pagamento”: Corte cass. SU 27.5.2009 n.
12244; “visura per consultazione di partita catastale” con riferimento alla attribuzione della

finanziaria, ove non ancora decorso il termine di decadenza, di esercitare il potere
impositivo mediante emissione -anche in pendenza del giudizio avverso l’atto “atipico”

di un provvedimento “tipico”, individuato nell’elenco predetto, idoneo a regolare in
modo analogo il medesimo rapporto controverso (in tal modo verificandosi una mera
sostituzione formale del titolo della pretesa) ovvero al fine di emendare od integrare vizi

formali o sostanziali del precedente atto (tipico o atipico) opposto in giudizio
d) con l’affermazione di questa Corte secondo cui la impugnazione avverso l’atto
“atipico” costituisce una mera facoltà -e non un onere- del contribuente che intende
anticipare la decisione giurisdizionale sul rapporto tributario controverso, e pertanto
non fa insorgere in quest’ultimo “alcun obbligo alla impugnazione immediata”, ben
potendo il contribuente contestare la pretesa impositiva soltanto all’esito della notifica
dell’ “atto tributario tipico” espressamente considerato dalla indicata norma processuale
tributaria come suscettibile di autonoma impugnazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n.
21045 del 08/10/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 17010

del 05/10/2012), con la conseguenza che -una volta introdotto il giudizio sul rapporto

tributario attraverso la impugnazione dell’atto cd. “atipico”- deve ritenersi questione di
mero fatto, attinente alla interpretazione del contenuto del provvedimento tributario,
determinare se l’atto “tipico” successivamente adottato dalla PA, in qualsiasi modo
portato alla cognizione del Giudice della causa pendente, venga o meno a supportare la
medesima pretesa avente fonte nel rapporto controverso sostituendosi, pertanto, in tutto
od in parte all’atto precedentemente emesso, dovendo escludersi invece -in contrario alla
tesi prospettata dalla società ricorrente – che tale effetto sostitutivo rimanga precluso per
il solo fatto della omessa adozione di un formale provvedimento di annullamento o
14
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

CotIst.
Stefano livieri

rendita: Corte cass. V sez. 18.11.2008 n. 27385), senza che ciò precluda all’Amministrazione

revoca o ritiro dell’atto sostituito, dovendo ritenersi implicitamente realizzato l’effetto
sostitutivo tutte le volte in cui sia ravvisabile una piena sovrapponibilità o continenza tra
i due atti, nel senso che l’atto precedente risulta interamente assorbito nel contenuto del
provvedimento “tipico” successivamente emanato.

3.8 I primi sei motivi di ricorso per le ragioni anzidette debbono essere, pertanto,

c.p.c., sicché -emendata la motivazione dei Giudici di appello, e qualificato come atto
impugnabile dal contribuente il provvedimento di “recupero del credito” notificato in
data 24.6.2004- deve ritenersi conforme a diritto la decisione impugnata nella parte in
cui reputa superfluo l’esame dei motivi del ricorso proposto avverso il precedente atto,
reputando fondata la pretesa esclusivamente nell’ “avviso di accertamento in rettifica”
notificato in data 22.12.2004, in quanto -così corretta la motivazione- da ritenersi
implicitamente sostitutivo dell’atto di recupero credito.

§ 4. Con il settimo motivo la società deduce la nullità della sentenza di appello per
carenza assoluta del requisito di validità della motivazione (violazione dell’art. 36co2 n. 4
Dlgs n. 546/92; artt. 132co2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.; art. 111co6 Cost.) e per omessa

pronuncia (violazione dell’art. 112 c.p.c.), ritenendo che i Giudici territoriali non hanno
esaminato ovvero hanno fornito una motivazione meramente apparente in ordine ai
motivi di gravame aventi ad oggetto i vizi dell’ “avviso di rettifica” e del procedimento
tributario di accertamento, dedotti con riferimento agli artt. 7 comma 1, 6 comma 2 e 5, e
12 comma 7 della legge n. 212/2000.

4.1 E motivo è infondato.
4.2 Premesso che il dedotto vizio di “error in procedendo” postula, quanto alla
carenza assoluta di motivazione ex art. 36co2 n. 4) c.p.c., un provvedimento
giurisdizionale privo di qualsiasi corrispondenza logica tra la “regula iuris” dettata con il
15
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

st.
Co
Stefano livieri

disattesi in considerazione del potere correttivo rimesso a questa Corte dall’art. 384co4

dispositivo per la risoluzione della controversia e le ragioni poste a fondamento della
medesima, e che tale ipotesi nella specie non è ravvisabile, in quanto l’accertamento
della legittimità della pretesa trova la sua correlativa “ratio decidendi” nella ritenuta
assenza dei presupposti legali ai quali era condizionata la detrazione Iva infragruppo ex
art. 73 Dpr n. 633/72, venendo in questione, piuttosto, l’eventuale pretermissione
dell’esame di taluni motivi di gravame (vizio di legittimità evidentemente diverso dal

dell’obbligo di pronuncia su tutta la domanda, cui è tenuto il Giudice di merito ai sensi
dell’art. 112 c.p.c., presuppone che sia stato omesso l’esame di una questione
“ritualmente e specificamente” dedotta con i motivi di gravame, ipotesi questa che -avuto
riguardo ai motivi del ricorso introduttivo e dell’atto di appello proposti dalla società: riassunti alle
pag. 6-9 e 13-19 del ricorso per cassazione- è dato verificare soltanto in relazione alla
contestata violazione dell’art. 6 comma 2 e 6, e dell’art. 12 comma 7 della legge n.
212/2000, posto che la nullità dell’avviso di rettifica per violazione dell’obbligo di
allegazione dei documenti in esso richiamati, prescritto dall’art. 7 comma 1 della legge
n. 212/2000 era stata eccepita in primo grado con riferimento ad atti del tutto diversi
dall’avviso notificato a Ronaldsay in data 11.11.2002 (del quale si lamenta la mancata
allegazione all’avviso di rettifica, nel motivo di ricorso per cassazione), andando incontro
pertanto al divieto di jus novorum -rilevabile anche in sede di legittimità- il motivo di
appello (riportato a pag. 13 ric. cassaz.) con il quale si denunciava la mancata allegazione
all’avviso di rettifica del documento indicato, ed in quanto tale era da ritenersi
inammissibile ed inidoneo pertanto a fondare l’obbligo di pronuncia del Giudice di
appello, insussistendo in conseguenza l’error in procedendo denunciato.
La censura in esame appare, peraltro, anche infondata, in quanto la CTR lombarda ha
ritenuto irrilevante la materiale allegazione del predetto documento considerato che “la
contribuente era da tempo al corrente della questione in forza della comunicazione del
recupero credito Iva avvenuta precedentemente la notifica dell’accertamento”, e risulta

inoltre dallo stesso ricorso per cassazione che il provvedimento del 2002 notificato a
Ronaldsay era stato effettivamente già portato a conoscenza della Zinetti Immobiliare
16
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Con st.
Stefano wieri

precedente), occorre tuttavia considerare che anche in quest’ultimo caso la violazione

s.r.l. in quanto “allegato in copia” al precedente “atto di recupero del credito” notificato
il 24.6.2004 (pag. 2 ricorso cassaz.).

4.3 Quanto alla omessa pronuncia sul motivo di gravame concernente la violazione
del termine dilatorio di giorni 60 previsto dall’art. 12 comma 7 della legge n. 212/2000
per la emissione dell’avviso di accertamento, osserva il Collegio che la CTR ha

argomentazione che, se pure estremamente sintetica (“…l’avviso di accertamento di
rettifica parziale non discende direttamente da alcun processo verbale, ma in primo
luogo dall’inesistenza e non conformità dei presupposti per la fruibilità dell’Iva a
credito maturata dalla controllata estera”), deve ritenersi tuttavia conforme alla
interpretazione della norma dello Statuto del contribuente fornita dalla giurisprudenza di
questa Corte, secondo cui le garanzie di cui all’art. 12 legge n. 212/2000 si riferiscono
espressamente agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali” eseguiti “nei locali destinati

all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”, che
debbono appunto essere giustificati da “esigenze effettive di indagine e controllo sul

luogo” (art. 12co 1), con la conseguenza che tali garanzie operano esclusivamente nella
predetta ipotesi, e non anche invece nel caso in cui l’accertamento fiscale si esaurisca nel
controllo dei dati esposti nella dichiarazione presentata dal contribuente, anche nel caso
in cui il controllo venga condotto in base ad elementi, documenti ed informative
acquisiti all’esito di verifiche ed ispezioni eseguite nei confronti di terzi (cfr. Corte cass.
V sez. 4.4.2012 n. 14026; id. SU 29.7.2013 n. 18184: ed infatti l’art. 54, comma 3, del d.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633 espressamente prevede che l’ufficio possa procedere a rettifica,
indipendentemente dalla previa ispezione delle scritture contabili del contribuente, qualora
l’esistenza di operazioni imponibili risulti da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di
altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso, mentre non rilevano eventuali
violazioni delle regole relative alla fase di accertamento nei confronti dei terzi perchè eventuali
irregolarità possono essere fatte valere solo da chi ha subito l’accesso).

17
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Co4 est.
Stefano ivieri

espressamente pronunciato in merito, rigettando il motivo di gravame con

4.4 La CTR della Lombardia ha invece omesso del tutto di pronunciare in ordine ai
rilievi concernenti la violazione dell’art. 6 commi 2 e 5 della legge n. 212/2000.
Tuttavia la accertata violazione processuale non comporta ex se la cassazione della
sentenza e la rimessione della causa al Giudice di rinvio, le volte in cui —come nella
specie- la questione sia di puro diritto e non richieda alcun accertamento in fatto: in tal
caso è, infatti, consentito alla Corte, in conformità del principio generale di economia

111co2 Cost., di verificare direttamente la fondatezza del motivo di gravame non
esaminato dal Giudice di merito. Infondata è l’asserita violazione della norma dello
Statuto del contribuente, in relazione ad entrambe le disposizioni invocate: se infatti la
disposizione del comma 5 è fuori campo di applicazione, in quanto presuppone che il
tributo erariale venga iscritto a ruolo direttamente sulla base degli stessi elementi
contabili esposti dal contribuente nella dichiarazione, e non anche quindi, come nel caso
di specie, in cui la liquidazione del tributo sia mediata, attraverso l’attività di
accertamento impositivo e la emissione del’avviso di rettifica, dalla contestazione dei
presupposti sostanziali (giuridico-economici) su cui i dati contabili si fondano, la asserita
violazione della disposizione del comma 2 (e cioè del dovere dell’Amministrazione di
informare il contribuente di ogni fatto e circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il
disconoscimento di un credito o la irrogazione di una sanzione), per un verso, si palesa

irrilevante in difetto di espressa previsione di nullità dell’atto adottato in mancanza di
informazione, ed in assenza di allegazione di un concreto pregiudizio arrecato al diritto
di difesa del contribuente, e, per altro verso, deve ritenersi insussistente nel caso di
specie, atteso che gli elementi informativi in ordine alla pretesa tributaria erano stati già
da tempo trasmessi alla società con l’atto di recupero credito notificato il 24.6.2004
(occorrendo altresì considerare che il “dovere di collaborazione” imposto alla PA, dalla norma
dello Statuto del contribuente, concerne -evidentemente- la rilevazione di elementi ostativi al
riconoscimento del credito od integrativi di violazioni formali che, tuttavia, possono essere
“integrati o corretti”, evitando un pregiudizio al diritto del contribuente e senza spreco di ulteriore

attività amministrativa anche sanzionatolia, mentre esula dalla norma l’ipotesi di accertamento di
fatti insanabili, quali appunto l’insussistenza degli stessi fatti costitutivi del credito d’imposta).
18
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Con st.
Stefano Qvieri

processuale e del principio costituzionale di ragionevole durata del processo ex art.

§ 5. La società censura la sentenza con l’ottavo motivo deducendo il vizio di “error
in judicando” per violazione degli artt. 38 bis e 73 del Dpr n. 633/72 (art. 360co 1 n. 3
c.p.c.) e contestuale vizio per errore di fatto (art. 360co1 n. 5 c.p.c.) in quanto i Giudici
territoriali, avrebbero erroneamente ritenuto invalida e comunque omessa la garanzia
rilasciata dalla Britannia Ltd, soltanto perchè non rispondente ad alcune “prescrizioni

di diritto indicate in rubrica che non prevedevano requisiti specifici per la garanzia in
questione e neppure prevedevano la invalidità della polizza fidejussoria nel caso in cui come nella specie- il soggetto che la aveva emessa era stato successivamente cancellato
dall’elenco generale di cui all’art. 106 Dlgs n. 385/1993 degli intermediari operanti nel
settore finanziario. Inoltre i Giudici di merito non avevano fornito adeguata motivazione
in ordine al rilievo formulato dalla società secondo cui la Amministrazione finanziaria
aveva comunque accettato la garanzia predetta, ciò dovendosi desumere per facta
concludentia dalla escussione della polizza con lettera 18.6.2004.

5.1 H motivo non ha pregio in relazione ad entrambe le censure.

5.2

E’ stato chiarito da questa Corte che le norme regolamentari e gli atti

amministrativi generali (nella specie DM Finanze 13.12.1979 n. 11065 recante “norme in
materia di imposta sul valore aggiunto relative ai versamenti e alle dichiarazioni delle società
controllate “; DM Finanze 20.2.1998 recante “approvazione del modello di garanzia dei rimborsi
d’imposta sul valore aggiunto”) emanati, in materia IVA, in attuazione del sistema delle

garanzie previste per i rimborsi dei crediti d’imposta, nell’ambito dei quali trova
collocazione anche la disciplina della compensazione infragruppo, trovano la propria
fonte legislativa (alla quale sono pienamente aderenti non essendo rilevabili eccessi dai limiti
imposti dalla norma “delegante”) negli artt. 38 bis e 73 comma 3 del Dpr n. 633/1972, in
particolare prescrivendo quest’ultima disposizione che debbono essere demandate ai
decreti ministeriali le modalità di presentazione delle dichiarazioni delle società
19
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

Stefano

eri

amministrative prive di valore normativo”, così incorrendo nella violazione delle norme

controllate e la effettuazione dei versamenti da parte della controllante ai sensi degli artt.
27, 30 e 33 del Dpr n. 633/72. Il sistema normativo del rimborso/compensazione
infragruppo si chiude con la diretta previsione della applicazione dell’art. 30 commi 2-4
ai rimborsi delle eccedenze d’imposta richiesti dalle società controllanti di cui all’art. 73
Dpr n. 633/72 e dal rinvio disposto all’art. 38 bis del medesimo decreto presidenziale, ad
opera degli artt. 4 u.c., 5 u.c. e 6co3 del DM n. 11065/1979 per la disciplina delle

n. 28692 del 23/12/2005 che evidenzia chiaramente come la disciplina tributaria volta ad agevolare
le relazioni interne tra le società del medesimo gruppo consentendo “che i versamenti ed il computo
del credito siano effettuati non secondo le risultanze contabili della singola società contribuente,
bensì sulla base delle risultanze complessive del gruppo di società, per cui si realizza una
compensazione dei debiti e dei crediti delle società appartenenti allo stesso gruppo”, persegue
attraverso il meccanismo della compensazione lo stesso risultato finale cui è rivolta la disciplina
ordinaria dei rimborsi dei crediti d’imposta, trovando quindi piena giustificazione la estensione
anche ai rimborsi richiesti dalla società controllante cui è stata trasferita la eccedenza d’imposta
dalla società controllata dello stesso sistema delle garanzie previsto per i rimborsi dall’art. 38 bis
Dpr n. 633/72; id. Sez. 5, Sentenza n. 6835 del 20/03/2009).

5.3 L’art. 6 del DM n. 11065/1979, quanto al tipo di garanzia richiesto, rinvia al
comma 2 dell’art. 38 bis del Dpr n. 633/72 -che a sua volta- rinvia al precedente comma
1. Tale disposizione prescrive:
a) il rilascio della garanzia contestualmente alla presentazione della istanza di rimborso;
b) la durata della garanzia corrispondente al termine di decadenza dell’accertamento
d’ufficio;
c) la equipollenza tra la forma della cauzione in titoli di Stato ovvero della fidejussione
rilasciata dalle aziende credito previste dall’art. 38co1 Dpr n. 633/72 (o da impresa
commerciale ritenuta solvibile dalla stessa Amministrazione) o ancora della polizza
fidejussoria rilasciata da istituti o imprese di assicurazione. Nel caso dei Gruppi
societari che dispongono di un determinato patrimonio, la garanzia può essere assolta

20
RG n. 2852/2007
ric. Zinetti Immobiliare s.r.l. c/Ag.Entrate

modalità dei rimborsi richiesti dalla società controllante (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza

anche mediante assunzione da parte della capogruppo della obbligazione di restituzione
della somma da rimborsare comprensiva degli interessi.
Dispone inoltre l’art. 6 del DM del 1979 che “in caso di mancata prestazione delle
garanzie l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate deve essere
versato all’ufficio entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale”.

dall’art. 24co22 della legge 27.12.1997 n. 449 che ha richiesto la contestualità tra
presentazione della istanza di rimborso e rilascio della garanzia, ha conformato
decisamente la fattispecie tributaria dei rimborsi del credito d’imposta, venendo a
configurarsi la prestazione della garanzia quale elemento costitutivo dello stesso diritto
al rimborso del credito e, nel caso della disciplina dei gruppi di società, quale elemento
costitutivo del diritto alla compensazione infragruppo.

5.5 Completa il sistema normativo predetto il decreto del 1998 che determina il
modello di atto negoziale e disciplina il contenuto della garanzia fidejussoria che deve
essere prestata ai sensi dell’art. 38 bis Dpr n. 633/72. Al riguardo occorre evidenziare
come l’intero impianto normativo dei rimborsi IVA ruoti intorno al principio cardine
della recuperabilità da parte dell’Erario delle somme anticipate a rimborso delle
eccedenza d’imposta al netto delle detrazione qualora, successivamente, all’esito della
verifica fiscale le stesse risultino indebitamente erogate. Ne segue che la istituita
equipollenza tra le differenti garanzie indicate al primo comma dell’art. 38 bis Dpr n.
633/72 rivela inequivocamente la identica funzione giuridico economica che tanto le
garanzie fidejussorie, quanto il deposito cauzionale, debbono assolvere. La definizione,
mediante atto amministrativo della PA, del modello negoziale delle garanzie
fidejussorie, con la indicazione delle clausole, ritenute essenziali allo scopo predetto, che
esse debbono contenere, risponde dunque pienamente alle esigenze predette -risultando
conforme, pertanto, al disposto della norma di legge-: ed infatti, richiamando il
disciplinare del DM 20.2.1998 espressamente le figure negoziali della “fideiussione
21
RG n. 2852/2007
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Co est.
Stefan Olivieri

5.4 II complesso normativo in questione, dopo l’intervento riformatore introdotto

bancaria” e della “polizza assicurativa fidejussoria” e prevedendo come essenziali le
clausole di “immediato pagamento a semplice richiesta e senza eccezioni” (art. 5 CG
allegate al decreto) di “rinuncia alla preventiva escussione” (art. 7 CG) e di
inopponibilità alla Amministrazione finanziaria delle eccezioni relative al rapporto tra
contribuente ed impresa garante (art. 4 CG), viene a riconoscere la funzione tipicamente
cauzionale anche delle predette garanzie. La c.d. polizza fideiussoria od assicurativa (così
impresa commerciale del soggetto garante) viene ad assolvere, pertanto, secondo la corretta

esegesi della richiamata normativa, alla stessa funzione giuridico economica (in tal senso
potendo quindi considerarsi sostitutiva) di una cauzione in denaro o in altri beni reali, nel
caso di specie in titoli di Stato, che il contribuente è tenuto a costituire a favore della
pubblica amministrazione al fine di garantire l’adempimento della obbligazione
restitutoria. Ed è appena il caso di rilevare che se l’incontestabile vantaggio della
cauzione va individuato nel potere attribuito alla PA di incamerare la somma di denaro
od i beni in caso di inadempimento dell’obbligazione restitutoria, analogo vantaggio può
essere conferito alla PA soltanto da una “garanzia a prima richiesta” e senza che il
garante possa formulare eccezioni inerenti al rapporto principale (cfr. Corte cass. III sez.
4.4.1995 n. 3940 secondo cui la “presenza di una clausola di pagamento a semplice richiesta,…

assicura al creditore garantito una disponibilita’ immediata di denaro con effetti analoghi a quelli
del deposito cauzionale dato che in entrambi i casi il creditore ha la possibilita’ di realizzare il
suo credito sui beni oggetto della garanzia mediante un atto unilaterale costituito, nel primo caso,
dalla richiesta della somma assicurata e, nel secondo, dall’incameramento della cauzione….”
dando “luogo ad una obbligazione diretta ed autonoma dell’assicuratore nei confronti del
beneficiario e ad una responsabilita’ dello stesso, per il puntuale adempimento di tale obbligazione,
anche nei confronti del debitore principale che ha, pertanto, diritto di essere tenuto indenne degli
effetti pregiudizievoli dell’eventuale ritardo dell’assicuratore…”; conf. Corte cass. III sez.
21.4.1999 n. 3964; id. SU 18.2.2010 n. 3947. Cfr. con riferimento alla polizza fidejussoria in
materia IVA ed alla qualificazione della medesima come “contratto autonomo di garanzia” in

quanto privo di accessorietà al rapporto tributario principale: Corte cass. Sez.. U, Sentenza n. 10188
del 15/10/1998; id. Sez. 3, Sentenza n. 5239 del 15/3/2004; id. Sez.. 5, Sentenza n. 15576 del
7/7/2006).
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Co
st.
Stefanb Ùlivien

come la fideiussione bancaria, che in nulla differisce dalla prima se non per la diversa categoria di

5.6 Dall’excursus che precede sul sistema normativo dei rimborsi IVA derivano le
premesse necessarie alla risoluzione della questione sottoposta alla Corte con il motivo
in esame: incontestati i fatti (la garanzia fidejussoria non è stata considerata valida dai Giudici di
merito -la CTR sul punto ha confermato la valutazione espressa dalla CTP- in quanto priva delle
clausole indicate agli artt. 5 e 7 delle CG allegate al decreto 20.2.1998 e comunque in quanto

di polizze fidejussorie: cfr. pag. 10-11 ricorso cassaz.), la decisione della CTR deve ritenersi

conforme a diritto laddove, da un lato, ha ritenuto non perfezionata la fattispecie del
diritto alla compensazione infragruppo (e quindi del diritto di rimborso al credito eccedente
trasferito alla società controllante e da questa fatto valere) in presenza di una garanzia priva dei

requisiti essenziali del tipo disciplinato dalla legge (e specificato nel DM del 1998),
dovendo in tal senso intendersi la espressione contenuta in sentenza relativa alla
“mancanza di una valida polizza fidejussoria”; dall’altro ha considerato “mancante” la
garanzia rilasciata “da soggetto non abilitato o che ha perso tale qualifica” e non
immediatamente sostituita con altra polizza fidejussoria: indipendentemente, infatti,
dalle diverse conseguenze giuridiche che debbono farsi discendere sul negozio di
garanzia, rispettivamente, dall’esercizio dell’attività svolta dall’intermediario finanziario
in difetto di iscrizione nell’elenco generale di cui all’art. 106 del Dlgs n. 385/1993 (TU
Bancario), configurandosi in tal caso la nullità originaria del negozio per violazione di
norma imperativa (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 3272 del 7/3/2001 -con riferimento
all’attività svolta dalla SIM in difetto di iscrizione all’albo di cui alla legge n. 1/1991-; id. Sez. 2,
Sentenza n. 3740 del 19/2/2007 e Sez. 2, Sentenza n. 14085 del 11/6/2010 -con riferimento al

contratto di patrocinio stipulato da soggetto non iscritto all’albo professionale-),

rientrando la

predetta attività nell’ambito riservato dalla legge alle sole imprese iscritte (che debbono
rispondere a precisi requisiti soggettivi ed oggettivi verificati dagli organi di vigilanza del settore
bancario: cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2220 del 30/1/2013), ovvero dalla cancellazione

della impresa dal predetto elenco -intervenuta successivamente al rilascio della garanzia- con
conseguente perdita per il soggetto obbligato della legittimazione all’esercizio ed alla
prosecuzione delle attività finanziarie “riservate” in via esclusiva ai soggetti iscritti,
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Cons. t.
Stefano
vieri

prestata da una società, Britannia Ltd, non iscritta nell’albo degli intermediari autorizzati al rilascio

ebbene indipendentemente dalle differenti conseguenze giuridiche evidenziate, appare
del tutto evidente come le originarie condizioni che legittimavano l’esercizio del diritto
al rimborso del credito, anche se in origine sussistenti, siano successivamente venute
meno, avuto riguardo alla specifica esigenza della PA che la garanzia, ove ritualmente
prestata, perduri inalterata (anche in relazione al predetto requisito soggettivo, che non assume
rilievo soltanto nei confronti del soggetto-garante, ma certamente anche nei confronti della PA,

affidabilità del garante, e dunque assolvendo alla stessa funzione svolta dall’ “intuitus personae”)

per tutta la durata della efficacia stabilita dalla legge con riferimento alla scadenza del
termine di decadenza previsto per l’accertamento fiscale.
Correttamente pertanto la CTR lombarda ha assimilato entrambe le descritte ipotesi
(difetto originario o sopravvenuto nella società garante della qualità di soggetto iscritto nell’elenco)

alla situazione di “mancanza di garanzia”, in conseguenza della quale -tanto se
originaria, quanto se sopravvenuta- diviene attuale ai sensi dell’art. 6 del DM 13.12.1979
n. 11065 l’obbligazione della società controllante-contribuente avente ad oggetto il
versamento all’Erario dell’imposta pari all’ “importo corrispondente alle eccedenze di
credito compensate”.
Del tutto irrilevante -in quanto inidonea ad incidere, modificandola, sulla fattispecie normativa
che disciplina il diritto al rimborso del credito d’imposta- appare inoltre la circostanza che

l’Amministrazione finanziaria abbia tentato di escutere la polizza nei confronti del
soggetto garante. Tale condotta, infatti, se, da un lato, non può ritenersi ex se
significativa della volontà di accettare una garanzia divenuta irregolare

-in assenza di

prova della precedente conoscenza da parte della PA del sopravvenuto mutamento dei requisiti
soggettivi del garante-, dall’altro è in ogni caso insuscettibile di surrogare o sanare la

omessa previsione nella polizza fidejussoria delle indicate clausole essenziali e la
mancanza dei necessari requisiti di affidabilità del soggetto-garante, condizioni
entrambe indispensabili in quanto prescritte espressamente dalla legge per l’esercizio del
diritto alla compensazione infragruppo.

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st.
Stefano ivieri

venendo ad assicurare la iscrizione nell’elenco predetto, le condizioni di solvibilità e quindi di

Pertanto il motivo si palesa infondato anche in relazione alla censura di vizio logico
della motivazione.

§ 6. Infondato è anche il nono motivo con il quale si deduce la violazione da parte
della CTR dell’art. 9 comma 9 e 10 della legge n. 289/2002, sostenendo la società che i
Giudici territoriali avrebbero fatto scorretta applicazione delle disposizioni secondo cui i

possono essere disconosciuti dalla Amministrazione finanziaria con un atto impositivo
successivamente emanato.

6.1 La tesi prospettata deve essere disattesa in quanto ipotizza una ontologica
distinzione tra i crediti d’imposta richiesti a rimborso ex artt. 30 e 38 bis Dpr n. 633/72 e
la compensazione infragruppo di cui all’art. 73 co3 Dpr n. 633/72 che, al contrario, deve
essere esclusa trattandosi di modalità alternative di esercizio dell’identico diritto,
venendo quindi soltanto ad essere giustapposte le discipline normative in questione, in
quanto rivolte alla realizzazione del medesimo risultato fiscale, come è stato chiarito nel
precedente di questa Corte

Sez. 5, Sentenza n. 28692 del 23/12/2005, le cui

argomentazioni possono essere qui integralmente richiamate. Ne consegue che anche
per il diritto alla compensazione infragruppo trovano applicazione i criteri interpretativi
dell’art. 9 comma 9 e comma 10 lett. a) della legge n. 289/2002 indicati dalla Corte
costituzionale nell’ordinanza n. 340/2005 secondo cui il condono non impedisce
l’accertamento della inesistenza dei crediti posti a base delle richieste di rimborso e
dunque, per traslato, dei crediti utilizzati ai fini della compensazione infragruppo.
Deve, peraltro, aggiungersi la considerazione dirimente, che, in materia di tributi
armonizzati (qual è l’imposta sul valore aggiunto), la norma sulla definizione agevolata di
cui all’art. 9 comma 9 della legge n. 289/2002 non può operare in quanto, comporta una
rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già
definitivamente accertato, e dunque deve ritenersi incompatibile per contrasto con la VI
direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, per le ragioni ravvisate dalla
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Con st.
ieri
Stefano

crediti d’imposta indicati nelle dichiarazioni, a seguito di condono cd. tombale, non

sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06, che ha
dichiarato l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della
VI direttiva cit.) degli artt. 8 e 9 della medesima legge, nella parte in cui prevedono la

condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3674
del 17/2/2010), con conseguente riespansione del potere accertativo della PA, risultando

§ 7. Il decimo motivo, con il quale si denuncia omessa pronuncia e contestualmente

difetto del requisito di validità della motivazione della sentenza, in ordine ai motivi di
gravame aventi ad oggetto la contestazione dei vizi del procedimento accertativo (non
essendo autorizzata la PA, secondo la società, ad emettere avviso di rettifica in presenza di istanza
di condono cd. tombale ex lege n. 289/2002) e della statuizione della sentenza relativa alla

irrilevanza, nella presente controversia, delle vicende relative al credito trasferito dalla
società controllata Ronaldsay, deve ritenersi inammissibile attesa la genericità del
quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., formulato in modo tautologico (cfr. Corte cass. SU
28.9.2007 n. 20360; id. SU 9.7.2008 n. 18759), e comunque il motivo deve ritenersi anche

infondato: quanto al primo profilo, rimanendo travolta la censura dalle medesime
considerazioni relative alla incompatibilità con il diritto comunitario svolte nell’esame
del nono motivo (sul punto peraltro la CTR correttamente si è richiamata ai principi di cui alla
ord. n. 340/2005 della Corte cost.); quanto al secondo profilo, avendo compiutamente

motivato la CTR della Lombardia in ordine alla irrilevanza delle vicende attinenti
all’avviso di accertamento notificato nel 2002 alla società controllata, affermando che la
fondatezza della pretesa erariale andava rinvenuta, in principio, nella “rilevata e
accertata mancanza dei presupposti di legge per la utilizzazione della procedura della
cd. Iva di gruppo (fldejussione rilasciata da soggetto non abilitato ovvero non conforme
alle richieste dell’Ufficio)”, e che solo “incidentalmente” era stato fatto riferimento
anche alle contestazioni -circa la indebita utilizzazione di credito d’imposta derivante da
operazioni inesistenti- mosse nel diverso accertamento svolto nei confronti di Ronaldsay

Servicos e Investimentos IPA, con la conseguenza che, la censura in esame -anche ove
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C
est.
Stefaho Mivieri

pertanto comunque infondata la censura dedotta dalla società ricorrente.

*

fosse ritenuta fondata- sarebbe inidonea a privare la decisione impugnata di adeguato
supporto motivazionale.

§ 8. Con l’undicesimo motivo viene contestata la omessa rilevazione da parte del

Giudice di appello della inammissibilità, per difetto del requisito di specificità ex art. 53
e 54 Dlgs n. 546/1992, del motivo dedotto dall’Ufficio finanziario con l’atto di appello
incidentale, avente ad oggetto il capo della sentenza di primo grado concernente
l’annullamento dell’atto irrogativo della sanzione pecuniaria.

Il motivo è infondato.

Il Giudice di appello pronunciando nel merito, ha implicitamente rigettato la eccezione
di inammissibilità dell’appello incidentale proposta dalla società, ritenendo che il motivo
di impugnazione dedotto dalla Amministrazione finanziaria rispondesse ai requisiti
minimi di specificità previsti dall’art. 53 del Dlgs n. 546/1992

Peraltro dalla lettura del motivo di appello incidentale, come riportato nel ricorso
principale (pag. 57), si evince che la Amministrazione finanziaria intendeva impugnare
proprio la statuizione della decisione di prime cure volta ad escludere ipotesi di “dolo o
colpa grave”, evidenziando in contrario la responsabilità della società controllante in
quanto ad essa era riferibile la operazione di compensazione infragruppo del credito
d’imposta trasferito dalla controllata Ronaldsay.

§ 9. Sono infondate anche le censure formulate con il dodicesimo motivo con il

quale la società eccepisce la omessa pronuncia e contestualmente la carenza assoluta di
motivazione della sentenza di appello in ordine alle questioni relative ai vizi dell’atto
irrogativo di sanzione pecuniaria, dedotte con i motivi del ricorso introduttivo, rimaste
assorbite nella pronuncia del Giudice di primo grado (che aveva annullato il predetto atto

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Stefan Oli ieri

..,

sanzionatorio per difetto dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave), e quindi devolute

alla CTR con l’atto di appello.

9.1 La omessa valutazione dei motivi di gravame da parte dei Giudici di appello
non è tuttavia sufficiente a ritenere fondata la censura avuto riguardo alla inconsistenza
degli argomenti in diritto allegate a sostegno dell’appello:
la affermazione della insussistenza di una fattispecie illecita è smentita dalla
violazione del combinato disposto delle norme tributarie di cui agli artt. 30, 38 bis
e 73co3 Dpr n. 633/72, atteso che la indebita compensazione dell’Iva infragruppo
configura condotta che legittima la irrogazione della sanzione stabilita dall’art. 13
col Dlgs n. 471/1997 per il mancato versamento d’imposta (cfr. Corte cass. Sez. 5,
Sentenza n. 8034 del 03/04/2013)

la estinzione della pretesa sanzionatoria in conseguenza del perfezionamento della
procedura di condono cd. tombale ai sensi dell’art. 9 della legge 27.12.2002 n.
289, va disattesa alla stregua dei rilievi di incompatibilità comunitaria della
predetta procedura (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13505 del 27/7/2012 secondo cui
la norma -nella specie art. 8- della legge n. 289/2002 “nella parte in cui consente la

definizione in via agevolata delle violazioni in materia di IVA (nella specie, sanzioni
irrogate per omessa emissione di autofattura), va disapplicato perché in contrasto con gli
obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della Sesta direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17
maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri
relativamente all’IVA, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE
del 17 luglio 2008, in causa C-132/061

la allegata violazione degli arti. 5, 6 e 7 del Dlgs n. 472/1997 è del tutto sfornita di
supporto argomentativo, dovendo rilevarsi, peraltro, che: 1-negli illeciti tributari
l’elemento soggettivo della colpa è presunto, sicché alcuna autonoma valutazione
(salvo i casi eccezionali in cui è richiesta la colpa grave contemplati dall’art. 5col, o in cui
rilevi tale grado della colpa —art. 5co2 prima parte-, estranei alla presente fattispecie) deve

compiere l’Amministrazione finanziaria (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 22890
del 25/10/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 13068 del 15/6/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 14042
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“latta,
del 3/8/2012. In generale relativamente agli illeciti amministrativi: Corte cass. Sez. U,
Sentenza n. 20930 del 30/9/2009); 2-che l’esimente di cui all’art. 6co2 del Dlgs n.

472/1997, fondata sulle obiettive condizioni di incertezza sulla portata ed ambito
applicativo delle norme tributarie, viene invocata apoditticamente senza alcuno
specifico riferimento al caso concreto e soprattutto senza evidenziare difformi
orientamenti giurisprudenziali in ordine alla interpretazione delle norme sulla

incertezza (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27/7/2012; id. Sez. 5, Sentenza
n. 4522 del 22/2/2013); 3-non argomentato è il riferimento al criterio di

determinazione della sanzione disciplinato dall’art. 7 Dlgs n. 472/1997, che
neppure sembra aver costituito questione introdotta nell’oggetto del giudizio di
merito (cfr. motivi ricorso introduttivo: pag. 9 ricorso cassaz.; motivi gravame: pag. 19
ricorso cassaz.)

§ 10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va
condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte :
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del
presente giudizio che si liquidano in € 15.000,00 per compensi, oltre le spese
prenotate a debito.

Così deciso nella camera di consiglio 15.10.2013

~MATO mr..:,,,,…cELLEFA

compensazione IVA infragruppo che, soltanto, potrebbero fondare la predetta

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