Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2720 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 28/01/2022), n.2720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4797/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– parte ricorrente principale nonché intimata sul ricorso

incidentale –

contro

XELLA BAUSTOFFE GMBH e XELLA PONTENURE srl, in persona dei rispettivi

legali rappresentanti e procuratori speciali, rappresentati e difesi

in giudizio dagli avv.ti Lorenzo Bertino di Bergamo e Riccardo

Carnevali di Roma, presso quest’ultimo ivi el.dom.ti in P.za Giovine

Italia n. 7, come da procura in atti;

– parte controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

S.C.W., res.in Dubai, rapp.ta e difesa in giudizio

dall’avv. Maria Bruccoleri del foro di Palermo, el. dom.ta presso lo

studio dell’avv. Andrea Cau in Roma, Via Maria Adelaide 8, come da

procura in atti;

– parte controricorrente –

avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n.

6098/16 del 22.11.2016;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 12.1.2022 dal

Consigliere Stalla Giacomo Maria.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE.

p. 1.1 L’Agenzia delle Entrate propone un unico motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato in recupero dell’imposta proporzionale di registro concernente la seguente articolata operazione, da essa unitariamente qualificata, D.P.R. n. 131 del 1986 ex art. 20, in termini di cessione di ramo aziendale:

– 13 settembre 2011, costituzione della Xella Pontenure SRL con socio unico RDB Hebel spa;

– 26 settembre 2011, aumento del capitale sociale della neocostituita società mediante conferimento in natura, da parte del socio unico RDB Hebel spa, di ramo d’azienda mobiliare ed immobiliare (beni organizzati per l’esercizio dell’attività di produzione di blocchi gasbeton, pannellini, canalette, blocchi forati ecc…, corrente in Pontenure (PC));

– 30 settembre 2011, cessione dell’intera quota di partecipazione di RDB Hebel spa in Xella Pontenure SRL a favore della Xella Baustoffe GMBH.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:

– il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, posto a base dell’avviso di liquidazione opposto, aveva natura antielusiva, con la conseguenza che il recupero dell’imposta proporzionale presupponeva l’instaurazione del contraddittorio preventivo e delle garanzie tutte di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, così come interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 132 del 2015 (in tal senso si poneva anche la linea evolutiva dell’ordinamento che aveva successivamente visto l’inserimento dell’art. 10 bis nella L. n. 212 del 2000);

– nel caso di specie, nessuna garanzia e nessun contraddittorio procedimentale di questo tipo erano stati osservati prima della emissione dell’avviso.

Resistono con distinti controricorsi tanto le due società Xella, quanto la S., la quale eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso dell’agenzia delle entrate nei suoi confronti, dal momento che ella aveva partecipato all’atto negoziale esclusivamente nella veste di procuratrice speciale, con conseguente insussistenza della sua legittimazione tributaria passiva. Questa circostanza era stata riconosciuta dall’amministrazione finanziaria fin dal primo grado di giudizio (allorquando quest’ultima aveva chiesto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere nei suoi confronti) e, ad ogni modo, era stata positivamente accertata dalla sentenza di primo grado, non appellata sul punto dall’agenzia delle entrate.

Le due società propongono inoltre ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del motivo di ricorso principale. Depositano altresì memoria.

p. 1.2 L’eccezione così mossa dalla S. va accolta dal momento che, come si evince dalla sentenza impugnata (pag.2) sulla base di affermazioni non censurate dalla ricorrente, già la commissione tributaria provinciale di Milano ebbe ad accertare la carenza di legittimazione tributaria passiva della S. stessa, con una statuizione nei cui confronti – si osserva ancora in sentenza – l’amministrazione finanziaria aveva prestato acquiescenza in appello.

Ne segue, pertanto, l’effettiva inammissibilità del ricorso per cassazione siccome notificato dall’agenzia delle entrate nei confronti della S., nonostante che l’estraneità di quest’ultima alla fattispecie tributaria (avendo la stessa partecipato all’atto notarile come mera procuratrice speciale) fosse ormai coperta da giudicato interno.

p. 2. Con l’unico motivo di ricorso principale l’Agenzia delle Entrate lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, dal momento che la prima disposizione non aveva natura anti-elusiva quanto di mera riqualificazione giuridica dell’atto, come tale volta a far emergere, anche attraverso il collegamento negoziale, la causa concreta e lo scopo economico dell’operazione unitariamente riguardata. Era dunque da escludere che fossero nella specie applicabili le garanzie evidenziate dal giudice regionale.

p. 3. Con il motivo di ricorso incidentale condizionato le società ripropongono l’eccezione di tardività della pretesa impositiva (già dedotta nel ricorso originario e quindi riproposta con appello incidentale), dal momento che l’avviso di liquidazione opposto era stato ad esse notificato (2-6 ottobre 2014) oltre il triennio di decadenza D.P.R. n. 131 del 1986 ex art. 76, comma 2, lett. c), rispetto alla data di registrazione dell’atto (29 settembre 2011).

p. 4. Il motivo di ricorso principale dell’agenzia delle entrate è infondato, con conseguente assorbimento del motivo di ricorso incidentale condizionato.

La disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, è stata fatta oggetto – nel corso del presente giudizio – di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.

La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a) (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione (“L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.

Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma – superando un opposto orientamento applicativo di legittimità – ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Successivamente a questa prima modificazione – ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità – il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. L. n. 205 del 2017.

Il 1 gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: “La L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1”.

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile – fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato – anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1 gennaio 2018.

A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con l’ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20 così come risultante dagli interventi apportati dai citati L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87 (L. di bilancio 2018) e L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084 (L. di bilancio 2019), “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, ‘prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivì”.

Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l’interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l’esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extra-testuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.

Con la sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:

– ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell’atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l’unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di “atto presentato alla registrazione” e di “effetti giuridici” in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;

– la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extra-testuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di “imposta d’atto”, sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;

– la tesi dell’interpretazione dell’atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento della L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, poiché “consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”.

La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C.Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale del cit. L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, in forza del quale la L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), “costituisce interpretazione autentica” del censurato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.

A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3,81,97,101,102,108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art. 20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:

– la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;

– la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di “forzatura” del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;

– l’insussistenza di “motivi imperativi di interesse generale” giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla “parità delle armi” tra i contendenti (art. 6 CEDU).

Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art. 20.

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato – quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art. 20 – il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art. 3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività “per interpretazione autentica” della nuova disciplina.

In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:

– non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo “certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero “impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro”, dove la sua origine storica di “imposta d’atto” “non risulta superata dal legislatore positivo” (sentenza n. 158 del 2020)”; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato “dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”, fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art. 20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;

– non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto “imprevedibile” da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata “coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico”, secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20;

– quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 Cost. (e neppure l’art. 53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che “nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona “contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione” e non viceversa”.

p. 3.2 All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata deve dunque trovare condivisione, sebbene all’esito di un ragionamento giuridico solo in parte collimante, perché esattamente confermativa della illegittimità di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione ‘per estrinsecò; cioè fondata su elementi interpretativi extratestuali rispetto all’atto presentato alla registrazione e, segnatamente, riconducibili ad un’ipotesi tipica di finalizzazione mediante collegamento negoziale (costituzione societaria; aumento capitale sociale; conferimento di ramo aziendale; trasferimento della partecipazione così rinveniente).

La riqualificazione in termini sostanziali ed unitari di cessione aziendale non può quindi trovare sostegno normativo. Ne’ la maggior pretesa fiscale potrebbe essere recuperata in chiave di repressione di un fenomeno elusivo e di abuso del diritto, ostandovi il fatto che la stessa amministrazione ha escluso questa evenienza e che, in ogni caso, una tale impostazione presupporrebbe comunque tutta una serie di garanzie sostanziali e processuali per il contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 10 bis, qui non applicabile ratione temporis) nella specie inosservate.

Il ricorso principale dell’agenzia delle entrate va dunque respinto, con assorbimento di quello incidentale condizionato delle due società. La complessità dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia depone per la compensazione delle spese di lite dell’intero giudizio nel rapporto processuale in questione.

Per quanto concerne il rapporto processuale tra l’agenzia delle entrate ricorrente principale e la S., sussistono invece i presupposti (sopra p. 1.2) per la condanna della prima alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

– respinge il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate nei confronti delle due società contribuenti, assorbito il ricorso incidentale condizionato di queste ultime;

– dichiara inammissibile il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di S.C.W.;

– nel rapporto processuale con le due società contribuenti, compensa le spese;

– nel rapporto processuale con la S., pone le spese del presente giudizio a carico dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 5100,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per anticipazioni, rimborso forfettario ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della quinta sezione civile, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

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