Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 272 del 12/01/2021

Cassazione civile sez. III, 12/01/2021, (ud. 23/11/2020, dep. 12/01/2021), n.272

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 112 del ruolo generale dell’anno 2018

proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE BENEVENTO, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del

Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore rappresentato

e difeso, giusta procura allegata al ricorso, dagli avvocati Antonio

Mennitto, (C.F.: MNNNTN65D17A783M) e Caterina Costantini, (C.F.:

CSTCRN51S66H984W);

– ricorrente –

nei confronti di:

M.F., (C.F.: (OMISSIS)), C.M., (C.F.:

(OMISSIS)) rappresentati e difesi, giusta procura allegata al

controricorso, dagli avvocati Giuseppina Claudia D’Alessandro,

(C.F.: DLSGPP76P58F839W) e Andreina D’Orsi, (C.F.:

DRSNRN61L45D469Q);

– controricorrenti –

nonchè

FALLIMENTO ISTITUTO (OMISSIS), (P.I.: (OMISSIS)), in persona del

Curatore fallimentare pro tempore;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n.

3686/2017, pubblicata in data 13 settembre 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 23

novembre 2020 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.F. e C.M. hanno pignorato i crediti vantati dall’Istituto (OMISSIS) nei confronti della ASL Benevento (OMISSIS); essendo sorte contestazioni in ordine alla dichiarazione di quantità, hanno promosso il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ai sensi dell’art. 549 c.p.c..

(nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, in ragione della data di instaurazione della procedura esecutiva).

La domanda è stata accolta dal Tribunale di Benevento.

La Corte di Appello di Napoli, pur dichiarata la nullità della sentenza di primo grado, ha poi, decidendo in unico grado di merito, nuovamente accolto la domanda.

Ricorre la ASL di Benevento, sulla base di quattro motivi. Resistono il M. e la C., con controricorso illustrato da memoria.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede la curatela intimata.

Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Errata interpretazione della normativa vigente in materia Violazione delle norme di legge sulla Legge Fallimentare – Violazione della L. Fall., art. 51. Violazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il secondo motivo si denunzia “Error in procedendo – Errata valutazione della condotta della ASL in relazione agli artt. 547 c.p.c. e segg.. Mancanza di prove. Error in judicando, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Violazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

I primi due motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Essi sono inammissibili.

1.1 L’azienda sanitaria ricorrente, nel contesto di una esposizione oggettivamente confusa e, nel complesso, ben poco intelligibile, sembra intendere sostenere che la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società debitrice esecutata avrebbe dovuto imporre la dichiarazione di improseguibilità dell’esecuzione e/o la dichiarazione di improseguibilità dello stesso giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo e/o comunque il riconoscimento della correttezza e della legittimità della dichiarazione di quantità che aveva reso (in senso negativo) al giudice dell’esecuzione, non potendo proseguire l’esecuzione in forma individuale, ai sensi della L. Fall., art. 51 e non potendo quindi aver luogo in tale sede l’assegnazione dei crediti pignorati in favore dei creditori procedenti.

1.2 Va premesso che la questione dell’improseguibilità del processo esecutivo ai sensi della L. Fall., art. 51, è del tutto estranea all’ambito dell’oggetto del presente giudizio, potendo tale improseguibilità essere rilevata e dichiarata esclusivamente dal giudice dell’esecuzione.

In ogni caso, il fallimento della debitrice è stato pacificamente dichiarato dopo la dichiarazione di quantità, la proposizione dell’istanza di accertamento dell’obbligo del terzo e l’instaurazione del relativo giudizio, con conseguente sospensione del processo esecutivo.

L’improseguibilità dell’esecuzione individuale, dunque, non poteva essere di certo dichiarata dal giudice dell’esecuzione prima della sospensione del processo esecutivo, in occasione della dichiarazione di quantità (come pure sembrerebbe in qualche modo pretendere la ricorrente).

1.3 La (diversa) questione della proseguibilità del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo in caso di sopravvenuta dichiarazione fallimento del debitore esecutato – successiva (come nella specie) alla sua instaurazione – è stata invece oggetto di una espressa decisione (in senso positivo) da parte del giudice di primo grado, come emerge dalla sentenza impugnata (cfr. a pag. 3, righi 21-25) e dal ricorso stesso.

Tale decisione risulta, in diritto, conforme ad uno degli indirizzi espressi in proposito da questa stessa Corte e, precisamente, all’indirizzo che pare espresso nei più recenti precedenti (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 28 del 07/01/2009, Rv. 606042 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 9624 del 19/04/2018, Rv. 648425 – 01, secondo la quale “in tema di espropriazione forzata di crediti presso terzi, il sopravvenuto fallimento del debitore pignorato – pur determinando, a norma della L. Fall., art. 51, l’improseguibilità del processo esecutivo sospeso – non comporta l’improcedibilità del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, neanche dopo la riforma introdotta dalla L. n. 228 del 2012, nè l’impossibilità di proseguire l’esecuzione forzata determina la sopraggiunta carenza dell’interesse del creditore allo svolgimento del giudizio”; un più risalente precedente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 789 del 20/04/1962, Rv. 251267 – 01, si era invece espresso in senso esattamente opposto; la questione resta aperta; essa del resto implica la soluzione della controversa questione dell’effettivo oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo e dell’ambito del relativo giudicato, che ha dato luogo ad indirizzi non sempre armonici, anche da parte delle Sezioni Unite di questa stessa Corte: si vedano in proposito, ad es., per una ricostruzione dell’oggetto di tale giudizio come esclusivamente “funzionalizzato” al processo esecutivo: Cass., Sez. U, Sentenza n. 14831 del 18/10/2002, Rv. 557987 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6449 del 23/04/2003, Rv. 562417 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19059 del 05/09/2006, Rv. 593963 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 15159 del 26/06/2009, Rv. 608872 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 9364 del 31/01/2017, non massimata; per il riconoscimento di un oggetto più ampio e in parte svincolato dal processo esecutivo: Cass., Sez. U., Ordinanza n. 19601 del 17/07/2008, Rv. 604338 – 01; Sez. U., Sentenza n. 25037 del 13/10/2008, Rv. 605488 – 01; Sez. U., Sentenza n. 3773 del 18/02/2014, Rv. 629605 – 01).

Si tratta invero di precedenti che riguardano tutti fattispecie relative a giudizi di accertamento ai quali – come nella specie – era applicabile l’art. 549 c.p.c., nella sua originaria formulazione, anteriore comunque alla novella del 2013.

Per quanto si dirà oltre in relazione all’inammissibilità del ricorso, la questione non può essere oggetto di un nuovo esame nel presente giudizio; pare solo opportuno precisare, in proposito, che la possibilità di applicare l’indirizzo che afferma la proseguibilità dell’accertamento dell’obbligo del terzo in caso di sopravvenuto fallimento del debitore anche dopo la riforma introdotta dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, con le sue successive modificazioni (sebbene incidentalmente affermata da Cass., n. 9624 del 2018), pare oggi doversi certamente escludere, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 172 del 10 luglio 2019, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 549 c.p.c., come modificato dalla L. L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 20, n. 3) e come successivamente riformulato dal D.L. n. 83 del 2015, art. 13, comma 1, lett. m-ter), convertito, con modificazioni, nella L. n. 132 del 2015, sollevata, in riferimento agli artt. 2,3 Cost., art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 81 Cost. e art. 111 Cost., commi 1, 2, 6 e 7, nella cui motivazione, si afferma espressamente che “… come testualmente precisato nell’ultimo periodo dello stesso art. 549 c.p.c. – l’ordinanza in questione “produce effetti ai (soli) fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione” e non dà quindi luogo alla formazione di un giudicato sull’an o sul quantum del debito del terzo nei confronti dell’esecutato. Per cui resta in facoltà del terzo pignorato anche il successivo esercizio di un’azione di ripetizione per indebito oggettivo”.

1.4 Nella sentenza di secondo grado, oggetto del presente ricorso, non si dà atto in alcun modo che la decisione di prime cure sia stata oggetto di uno specifico motivo di gravame, in relazione alla questione che si è indicata nel paragrafo precedente, oggetto di espressa decisione da parte del tribunale.

La corte di appello, nell’esporre i motivi di impugnazione avanzati dalla A.S.L., si limita a dare conto di una contestazione in ordine alla competenza per materia del giudice adito e di due eccezioni di impignorabilità delle somme assoggettate all’azione esecutiva.

I giudici di secondo grado, d’altra parte, non affrontano in alcun modo la questione indicata, limitandosi ad affermare che la propria decisione sul merito lascerà “impregiudicate le sorti del processo esecutivo”, di cui postulano la necessità di disporre la prosecuzione, evidentemente in applicazione della lettera della norma, ma non potendo precludere al giudice dell’esecuzione, dopo la riassunzione, la doverosa applicazione delle norme proprie di questo, anche in ordine alla non proseguibilità delle azioni esecutive individuali in caso di fallimento del debitore.

1.5 Nella segnalata confusione espositiva del ricorso, potrebbe forse anche ritenersi dedotto, in qualche modo – almeno implicitamente – che la questione era stata riproposta in secondo grado, ma di certo non viene chiaramente, adeguatamente e specificamente richiamato il contenuto dell’atto di appello, nella parte in cui sarebbe stata contestata la decisione di primo grado con riguardo alla affermazione di proseguibilità del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo nonostante il sopravvenuto fallimento del debitore esecutato: l’esposizione ha carattere assertivo e non solo non è espresso in modo percepibile un preciso richiamo del contenuto di eventuali passi dell’atto di appello, ma neanche è individuata l’esatta allocazione nel fascicolo processuale del suddetto atto di appello.

Sotto il profilo in esame, dunque, ogni censura non può che ritenersi inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

1.6 Tanto meno, poi, viene specificamente dedotta dalla ricorrente un’eventuale omissione di pronunzia da parte della corte di appello in relazione ad un siffatto specifico motivo di gravame, nè nelle rubriche, nè nella relativa esposizione, sebbene – come già sottolineato – manchi del tutto, in realtà, una decisione in secondo grado, con riguardo a tale questione.

1.7 Il difetto di specificità delle censure di cui ai motivi di ricorso in esame, con riguardo alla questione di diritto di cui si sono delineati i termini nei paragrafi precedenti (così come, per altro verso, la loro manifesta infondatezza, sotto gli unici aspetti in relazione ai quali esse potrebbero eventualmente ritenersi invece formulate in modo adeguato), emerge poi anche sotto altro profilo.

Va certamente escluso che il fallimento del debitore esecutato possa di per sè comportare l’improseguibilità del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, direttamente ai sensi della L. Fall., art. 51: tale disposizione sancisce infatti l’improseguibilità del processo esecutivo in forma individuale e non dei giudizi contenziosi, quale deve qualificarsi quello previsto dall’art. 549 c.p.c., nella formulazione vigente anteriormente alle riforme di cui alla L. n. 228 del 2012 (applicabile nella specie).

Dunque, l’unica effettiva conseguenza che potrebbe aversi, in caso di dichiarazione di fallimento del debitore successiva all’instaurazione del giudizio contenzioso di accertamento dell’obbligo del terzo, in relazione a tale giudizio, è la cessazione della materia del contendere, per il venir meno, in corso di causa, dell’interesse del creditore procedente (cioè dell’unica parte legittimata a chiederne l’instaurazione: cfr. in proposito Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6449 del 23/04/2003, Rv. 562417 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 19059 del 05/09/2006, Rv. 593963 – 01; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 9364 del 31/01/2017, non massimata), a conseguire la relativa pronunzia, non potendo più egli, a causa dell’inevitabile improseguibilità dell’esecuzione individuale che consegue al fallimento del debitore, ottenere l’assegnazione in proprio favore del credito da accertarsi (in tal senso, si veda la stessa già richiamata Cass., n. 9624 del 2018, in motivazione, la quale poi giunge peraltro ad escludere in concreto la cessazione della materia del contendere, sulla base della segnalata ricostruzione “in senso ampio” dell’oggetto del giudizio di accertamento). Tanto premesso, non può farsi a meno di osservare che, sotto tale ultimo aspetto e, in particolare, sotto il profilo della allegazione di una eventuale cessazione della materia del contendere nel presente giudizio, il ricorso non contiene specifiche allegazioni e, tanto meno, specifiche censure.

Neanche sotto tale profilo, pertanto, possono individuarsi censure che consentano di prendere in esame la questione nella presente sede.

1.8 In effetti la A.S.L., nel presente ricorso, ribadisce (ripetutamente) che “non aveva alcuna responsabilità” e che in realtà non poteva affatto disporre delle somme pignorate, come dichiarato al giudice dell’esecuzione.

Essa sembra in realtà, in tal modo (per quanto è dato intendere), sostenere essenzialmente la correttezza e la legittimità della propria dichiarazione di quantità in senso negativo.

Peraltro, va certamente escluso che una siffatta conclusione possa in qualche modo farsi discendere dalla dichiarazione di fallimento del debitore esecutato, la quale è pacificamente intervenuta in epoca successiva alla dichiarazione di quantità e quindi non può avere rilievo ai fini della valutazione della sua correttezza.

In ogni caso, anche con riguardo alla sussistenza del credito pignorato, in realtà, le censure avanzate nel ricorso non risultano sufficientemente specifiche e non paiono cogliere adeguatamente il senso delle argomentazioni poste dalla corte di appello a fondamento della sua decisione, le quali sono peraltro integralmente da condividere, se non altro con riferimento alla irrilevanza, nell’ambito del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, di ogni questione attinente alla pignorabilità dei crediti oggetto dell’azione esecutiva (cfr., per tutte, in proposito: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3987 del 12/02/2019, Rv. 652487 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01).

2. Con il terzo motivo si denunzia “Manifesta contraddittorietà nella applicazione della normativa in materia, in riferimento allo stesso giudicato, ove il Giudice ha dichiarata la nullità della Sentenza del Tribunale di Benevento n. 2517/2014”.

Anche questo motivo è inammissibile.

Le censure con esso avanzate non sono agevolmente comprensibili e comunque difettano certamente di sufficiente specificità, non mostrando di cogliere adeguatamente la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata in relazione alla questione processuale che pare agitata, cioè quella relativa alla dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado con successiva decisione nel merito della controversia, per l’insussistenza di una delle tassative ipotesi di rimessione della causa al primo giudice da parte di quello di appello, ai sensi dell’art. 354 c.p.c. (disposizione che, ad ogni buon conto, è da ritenersi correttamente applicata dalla corte territoriale).

3. Con il quarto motivo si denunzia “ingiusta condanna al pagamento delle spese di giustizia”.

Neanche questo motivo può trovare accoglimento.

La corte di appello ha correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che la soccombenza della azienda ricorrente nel giudizio di merito sia stata integrale.

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U., Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01; in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

Nè – ovviamente – la cassazione del capo della decisione impugnata relativo alle spese processuali potrebbe discendere dalla fondatezza dei precedenti motivi di ricorso, che non hanno trovato accoglimento.

4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo giusti motivi a tal fine, soprattutto in considerazione della complessità ed oggettiva controvertibilità delle questioni di diritto (oggetto di decisioni non uniformi da parte di questa stessa Corte) poste dalla sottostante vicenda processuale, di cui si è dato conto in motivazione.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dell’ente ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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