Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27197 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. I, 23/10/2019, (ud. 11/06/2019, dep. 23/10/2019), n.27197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9771/2014 proposto da:

Comune di Castelfranco Veneto, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 13,

presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gabriele Maso, giusta

procura a margine del ricorso e del controricorso con ricorso

incidentale;

– ricorrente, controricorrente ai ricorsi incidentali e ricorrente

incidentale –

contro

G.L., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

Sallustio n. 9, presso lo studio dell’avvocato Bartolo Spallina che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Alessio Pizzo,

giusta procura a margine del controricorso e del ricorso incidentale

con controricorso ai ricorsi incidentali;

– controricorrente anche ai ricorsi incidentali e ricorrente

incidentale –

e contro

A.T.E.R. della Provincia di Treviso, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza Sallustio n. 9, presso lo studio dell’avvocato Lorenzo

Spallina che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Roberto Quintavalle, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

V.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via Maria Cristina

n. 8, presso lo studio dell’avvocato Goffredo Gobbi, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Enrico Comacchio,

Giuseppe Del Bene e Michela Giacomazzo giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.K., V.L.F. e V.F., nella

qualità di eredi di V.N., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Maria Cristina n. 8, presso lo studio dell’avvocato

Goffredo Gobbi, che li rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Enrico Comacchio, Giuseppe Del Bene e Michela Giacomazzo,

giusta procura a margine del controricorso e del controricorso ai

ricorsi incidentali;

– controricorrenti anche ai ricorsi incidentali –

avverso la sentenza n. 879/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 16/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/06/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’ATER di Treviso conveniva in giudizio i signori G.L., M.A., Be.Lu. e Be.Gi. chiedendo accertarsi l’intervenuto acquisto per usucapione dei terreni dei convenuti sui quali l’ente aveva realizzato nell’anno 1977 cinque fabbricati, per complessivi duecento appartamenti, all’esito di procedura espropriativa intrapresa con Delib. giunta regionale 13 luglio 1972, n. 42 di approvazione di programmi di edilizia residenziale pubblica e successiva Delib. consiglio comunale di Castelfranco Veneto che delegava lo Iacp della provincia di Treviso, poi Ater, all’esproprio.

Be.Pr., Be.Lu. e Be.Gi., eredi di Be.Fr., costituitisi in giudizio deducevano che il loro dante causa aveva ceduto l’area in questione al signor V.N., eccependo, per l’effetto, il proprio difetto di legittimazione passiva.

V.N., costituitosi per atto di intervento volontario, assunta la propria qualità di proprietario dei terreni contraddistinti ai mappali n. (OMISSIS), chiamava in giudizio il Comune di Castelfranco Veneto.

L’intervenuto chiedeva la retrocessione dell’area in suo favore e, ancora, per l’ipotesi di accertata l’impossibilità di rimozione dei beni ivi edificati, la condanna dell’Amministrazione comunale al pagamento di una somma compensativa della perdita del diritto di proprietà, pari al valore venale dell’immobile, e di mancato godimento del bene nonchè dell’indennità di occupazione, articolando in via subordinata domande di adempimento di delibere di acquisizione delle aree di proprietà dell’istante e di cessione, di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, del prezzo di cessione dell’area riliquidato L. n. 359 del 1992, ex art. 5-bis del risarcimento del danno per ritardato pagamento. In via di ulteriore subordine il V. chiedeva la condanna del Comune al risarcimento danni per inadempimento contrattuale con riferimento alle cessioni/acquisizioni di cui alle delibere n. 159/9570 del 1976 e nn. 8 e 9/1642 del 06.031981 o comunque per arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.

Il Comune, costituitosi, eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l’incompetenza del Tribunale sulla domanda di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione legittima, l’estinzione di ogni diritto per prescrizione e comunque l’infondatezza delle domande.

L’Amministrazione comunale chiedeva ed otteneva di chiamare in giudizio l’ATER della Provincia di Treviso ed i signori G.L., M.A., Be.Pr., Be.Lu., Be.Gi., perchè si accertasse che l’area era divenuta di proprietà del Comune o per occupazione appropriativa o per usucapione.

1.1. Il Tribunale rigettava la domanda di usucapione dell’ATER e dichiarava inammissibile quella di occupazione appropriativa, rigettava la domanda di usucapione proposta dal Comune di Castelfranco Veneto, in ragione di delibere consiliari che, finalizzate alla conclusione di un accordo di cessione con il privato, avrebbero riconosciuto del privato la proprietà rispetto ai beni.

Veniva altresì dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo quanto alla domanda di occupazione appropriativa proposta dal Comune e rispetto a quelle, di retrocessione, risarcimento danni ed adempimento di delibere consiliari finalizzate alla cessione del terreno, proposte da V.N. nei confronti del Comune di Castelfranco Veneto.

1.2. Su appello del Comune di Castelfranco Veneto, di V.N. e dell’A.T.E.R., quanto agli ultimi due in via incidentale, e nella costituzione di G.L., la Corte di merito con la sentenza in epigrafe indicata, dichiarato il giudicato, nell’intervenuta rinuncia dell’Amministrazione comunale sul relativo capo di domanda, sulla giurisdizione del giudice amministrativo, accertava l’infondatezza dell’appello quanto all’intervenuto acquisto per usucapione in favore del Comune dei beni espropriati.

Modificando la motivazione sul punto resa dal primo giudice, la Corte di merito, valorizzando il decisum di cui alla sentenza della Corte di cassazione n. 7757 del 2011, rimarcava come l’animus possidendi necessario per l’usucapione dovesse intendersi quale intento del preteso usucapiente di tenere la cosa come propria mediante attività corrispondente all’esercizio della proprietà, o altro diritto reale, prescindendo dall’esistenza o conoscenza di tale diritto, nella ritenuta incompatibilità tra usucapione ed occupazione acquisitiva.

Nella premessa che in una fattispecie di occupazione acquisitiva, in cui la p.A. apprende il bene nell’esercizio legittimo di poteri ablativi, il privato non possa fruire del rimedio reipersecutorio, ottenendo egli la restituzione dell’area occupata in difetto di residui poteri dominicali in capo all’espropriante – a differenza di quanto accade nella ipotesi di cd. occupazione usurpativa, che, contrassegnata dal difetto in origine di poteri pubblicistici in capo alla p.A. occupante, consente al privato di azionare il rimedio recuperatorio -, la Corte di appello non riconosceva all’Amministrazione occupante la possibilità di acquisire la proprietà attraverso il possesso ad usucapionem.

Per il medesimo ordine di ragioni i giudici di appello escludevano siffatta possibilità all’Ater anche quanto al diritto di superficie e tanto in relazione ad una domanda, in ogni caso, qualificata come inammissibile perchè tardivamente introdotta in giudizio.

2. Ricorrono per la cassazione dell’indicata sentenza di appello, in via principale il Comune di Castelfranco Veneto con cinque motivi, in via incidentale l’Ater di Treviso e, ancora, in via incidentale condizionata, con unico motivo, ciascuno, V.N. – nel cui intervenuto decesso si sono costituiti con controricorso gli eredi, B.K., V.L.F. e V.F. – e G.L..

Il Comune di Castelfranco Veneto e G.L. hanno provveduto a depositare controricorso a quelli in via incidentale introdotti.

Il Comune e gli eredi di V. hanno illustrato con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c. le proprie posizioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Comune di Castelfranco Veneto con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge sostanziale, in relazione agli artt. 1140,1141,1158,1164 e 1165 c.c., in cui sarebbero incorsi i giudici della Corte di appello di Venezia nel rigettare la domanda di usucapione proposta dal Comune.

La Corte di merito, sul punto modificando la motivazione di primo grado, pur ritenendo l’animus possidendi in capo al Comune aveva rigettato la domanda di usucapione rispetto ad una ipotesi, quale era quella di specie, di occupazione acquisitiva invocando sul punto l’esistenza di un orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi invece rispetto ad ipotesi che sarebbero state diversamente riconducibili ad una occupazione appropriativa che veniva in ricorso dedotta come insussistente.

Avrebbe dovuto osservarsi, piuttosto, deduce il ricorrente, quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, e, segnatamente, dalla sentenza n. 9 del 2013 del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana in cui si sostiene che, scaduto il termine di occupazione legittima, si verifica il mutamento della detenzione in possesso ed inizia a decorrere il termine utile per l’usucapione della p.A.

Il percorso motivatorio osservato dai giudici amministrativi non sarebbe stato in contrasto, di contro a quanto ritenuto dalla Corte veneziana, con la pronuncia della Corte di legittimità n. 11147 del 2012, posta invece a fondamento dell’impugnata decisione.

Ed invero, come ritenuto dal giudice amministrativo, il possesso valido ad usucapire si realizza non solo in caso di occupazione di fatto del fondo di proprietà del privato, cd. occupazione usurpativa, ma anche nel caso in cui, in mancanza del decreto di esproprio, scaduto il termine di occupazione legittima, la non restituzione del fondo occupato nella protrazione dei lavori per la realizzazione dell’opera pubblica e la sua utilizzazione possono qualificarsi quali atti di opposizione avverso il privato possessore compiuti dall’Amministrazione ex art. 1141 c.c., comma 2.

In tal caso l’originaria detenzione si sarebbe trasformata in possesso e dalle indicate attività avrebbe potuto maturare il termine per l’usucapione, in piena adesione al principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale l’interversione del possesso avviene anche solo attraverso l’esercizio di attività materiali. L’applicazione di quanto qualificato dalla Corte territoriale in termini di “diritto vivente” avrebbe prodotto l’illogica conclusione che l’Amministrazione non avrebbe potuto opporre al privato nè l’occupazione acquisitiva perchè istituto non più in vigore anche all’esito della giurisprudenza di Strasburgo e neppure l’usucapione, perchè all’epoca dei fatti la giurisprudenza faceva applicazione dell’occupazione acquisitiva, istituto incompatibile con l’usucapione. Richiamata l’affermazione di principio contenuta nella distinta sentenza di questa Corte di legittimità n. 1804 del 2013, la difesa deduce il venir meno di ogni distinzione tra occupazione appropriativa ed usurpativa assistendosi, in entrambe le ipotesi, ad un comportamento mero, insuscettibile di determinare il trasferimento della proprietà in favore della p.A. non preclusivo nè del diritto al risarcimento danni, anche in forma specifica, in favore del privato nè, e per converso, dell’usucapione del diritto di proprietà dell’area su cui l’Amministrazione abbia realizzato l’opera utilizzata per più di un ventennio, per destinarla a finalità di edilizia residenziale pubblica.

Poichè l’opera nella specie era stata ultimata nel 1977, l’usucapione si sarebbe perfezionata nel 1997 tre anni prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado.

La sentenza di appello, non applicativa dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, avrebbe dovuto essere cassata.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge sostanziale in relazione agli artt. 1140,1141,1158,1164 e 1165 c.c.

La Corte di appello aveva ritenuto che l’occupazione appropriativa, preclusiva dell’azione di rivendica ed incompatibile anche con l’usucapione, si sarebbe perfezionata il 12.7.77 poichè l’opera era stata eseguita nel biennio di occupazione legittima, ma il decreto di esproprio non era stato emanato prima della scadenza del biennio.

Nell’anno 1977 epoca in cui avrebbe potuto intervenire, una volta esauriti gli effetti dell’occupazione legittima, l’interversione del possesso, non sarebbe stato applicabile comunque l’istituto dell’occupazione acquisitiva che era stato oggetto di intervento creativo della giurisprudenza di legittimità a far data dalla nota sentenza n. 1464 del 1983.

La realizzazione dell’opera pubblica avrebbe avuto quindi rilevanza ai fini della interversione del possesso in assenza del decreto di esproprio.

3. Con il terzo motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio integrato dalla circostanza che l’istituto dell’occupazione appropriativa, preclusivo dell’usucapione, si sarebbe affermato sette anni dopo l’interversione del possesso maturata a far data dalla realizzazione dell’opera e quindi al 12.07.77.

A detta data in mancanza dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, di squisita creazione giurisprudenziale, sarebbe stato possibile per il privato l’esperimento dell’azione di rivendicazione e quindi, e per converso, dell’azione per usucapione da parte dell’Amministrazione.

4. Con il quarto e quinto motivo si fa valere la nullità della sentenza impugnata per violazione di norma processuale e sostanziale, in relazione ai principi sul giusto processo e quindi degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 101,112,183 e 359 c.p.c.

La ratio della decisione, integrata dalla ritenuta incompatibilità tra occupazione acquisitiva e domanda di usucapione, in quanto questione non sollevata dalle parti ma rilevata d’ufficio ed a sorpresa dalla Corte di appello – che avrebbe dovuto assegnare un termine alle parti per dedurre sul punto -, avrebbe leso il diritto di difesa con conseguente nullità dell’impugnata sentenza.

5. Resistono con controricorso V.N. e G.L. che deducono l’inammissibilità dell’avverso mezzo e propongono ricorso incidentale subordinato.

Con unico articolato motivo fanno valere la violazione dell’art. 1140 c.c. e la motivazione contraddittoria su di un fatto decisivo per il giudizio in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale non apprezzando, al fine di escludere l’animus possidendi della p.A., le delibere – invece a tal fine valorizzate dal Tribunale -, con cui il Comune definiva in via negoziale e bonaria con il V. la procedura di esproprio, riconoscendo il medesimo quale esclusivo proprietario dei mappali nella manifestata volontà di acquisto.

6. L’Ater della Provincia di Treviso propone in via incidentale ricorso con due motivi in sostanziale adesione a quelli già proposti dal Comune di Castelfranco Veneto.

6.1. Con il primo motivo si fa valere la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere l’incompatibilità tra occupazione acquisitiva ed usucapione.

6.2. Con il secondo si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto l’inammissibilità della richiesta di usucapione del diritto di superficie fatto valere dall’Ater di Treviso perchè formulata per la prima volta nella memoria ex art. 183 c.p.c.

In realtà poichè era stata prospettata dal Comune di Castelfranco Veneto una questione sulla usucapione del diritto di proprietà, quello di superficie doveva ritenersi ricompreso nel primo.

7. Premessa di ogni altra valutazione è l’evidenza che l’introdotta questione relativa alla usucapibilità da parte dell’Amministrazione espropriante e del soggetto pubblico delegato alle operazioni di esproprio, beneficiario della procedura, nella specie l’Ater della Provincia di Treviso, rispettivamente della proprietà del privato e del solo diritto di superficie viene, unica, in considerazione dinanzi a questa Corte di legittimità a fronte dell’intervenuto giudicato sulla giurisdizione del giudice amministrativo sul diverso ed alternativo titolo dell’occupazione appropriativa sul quale il Tribunale di Castelfranco Veneto, in primo grado, ha dichiarato con sentenza inoppugnata la giurisdizione indicata.

Resta pertanto estraneo al sindacato di questo Collegio il tema, diverso, dell’applicabilità alla fattispecie in scrutinio della L. n. 458 del 1988 là dove all’art. 3, comma 1, statuisce che, nella finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, dell’utilizzo del terreno, il proprietario ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene.

Tanto nel correlato rilievo che la previsione – poi estesa dalla Corte costituzionale, con la sentenza 27 dicembre 1991, n. 486, al proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica in difetto di provvedimento di esproprio -, con l’escludere la retrocessione (da intendersi nel senso di “restituzione”, come precisato da Cass. 3 aprile 1990, n. 2712), presuppone che alla trasformazione irreversibile dell’area consegua necessariamente l’acquisto della stessa da parte chi ha realizzato le opere (SU n. 735 del 2015) sicchè l’effetto traslativo della c.d. occupazione acquisitiva si realizza ope legis.

8. Ferma l’indicata premessa ad ulteriore definizione dei termini del disputatum, si tratta in questa sede di apprezzare, a governo del regime proprietario, in genere, da riconoscersi al bene oggetto di una procedura ablativa che non sia stata condotta a compimento con l’esproprio intervenuto nei termini di legge, il diverso ed ulteriore titolo di acquisto della proprietà da parte della p.A. integrato dal possesso utile all’usucapione.

9. Deve darsi preliminare trattazione al quarto motivo del ricorso principale facendosi per lo stesso questione circa la mancata adozione di una regola processuale diretta a tutelare i principi sul giusto processo e, segnatamente, a quello del contraddittorio delle parti per avere la Corte di merito rilevato ex officio l’incompatibilità tra la domanda di usucapione e l’istituto dell’occupazione acquisitiva.

Il motivo è inammissibile perchè manifestamente infondato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2).

Il Comune aveva proposto in via alternativa le due domande e tanto vale ad escludere la dedotta violazione.

Il rapporto di incompatibilità tra l’usucapione e l’istituto dell’occupazione acquisitiva è, in ogni caso, una mera argomentazione in diritto per la quale non vengono in valutazione evidenze fattuali che, nuove, avrebbero dovuto sostenere la scelta della Corte territoriale di provocare sul punto il confronto tra e con le parti in lite, attraverso un meccanismo di scambio cartolare mutuato dal novellato art. 101 c.p.c., comma 2.

Va pertanto esclusa la nullità della sentenza per l’estraneità dell’ipotesi al principio, impropriamente dedotto in ricorso a sostegno della nullità, secondo il quale il giudice è tenuto a segnalare alle parti le questioni rilevate “ex officio” ove comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti o una modificazione del quadro fattuale del giudizio, la cui lesione integra la violazione del diritto di difesa delle stesse, private, sul punto, dell’esercizio del contraddittorio (Cass. 06/11/2013 n. 24861).

In continuità normativa con il sistema anteriore all’introduzione dell’art. 101 c.p.c., comma 2 ed integrato dall’art. 183 c.p.c., comma 3, poi divenuto comma 4, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poichè adottate in violazione del principio della “parità delle armi”, fa carico al giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di puro fatto o miste e con esclusione, quindi, di quelle di puro diritto (arg. ex Cass. 27/11/2018 n. 30716; Cass. 07/11/2013 n. 25054).

Là dove invece la sentenza decida su una questione di puro diritto, rilevata d’ufficio, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (cd. terza via), la stessa non è nulla in quanto da tale omissione può solo derivare un vizio di “error in iudicando”, ovvero di “error in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia poi stato in concreto consumato (Cass. 08/06/2018 n. 15037).

Siffatta affermazione di principio si accompagna alla valutazione dei successivi motivi di ricorso e, segnatamente, del quinto motivo che denuncia, de residuo, in applicazione del sopra indicato principio, l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Venezia nel ritenere la denunciata incompatibilità tra l’istituto dell’occupazione acquisitiva e quello dell’usucapione.

10. Più esattamente i motivi primo, secondo, terzo e quinto possono trovare congiunta trattazione venendo per gli stessi in valutazione il tema del rapporto di compatibilità/incompatibilità tra occupazione acquisitiva ed azione di usucapione della proprietà da parte della p.A., occupante.

I motivi sono infondati.

Resta fermo quanto più sopra rilevato sulla attribuzione al giudice amministrativo di ogni potere di indagine sul fenomeno della cd. occupazione acquisitiva e quindi, e per converso, invece devoluto alla cognizione di questa Corte di legittimità il tema della usucapibilità da parte dell’Amministrazione occupante di un bene oggetto di procedura ablativa che, inizialmente assentita da una dichiarazione di pubblica utilità, sia nel tempo divenuta illegittima per mancata adozione a chiusura della procedura pubblica del provvedimento di esproprio, per l’ipotesi della cd. occupazione appropriativa o acquisitiva.

10.1. Questo Collegio è chiamato, più puntualmente, ad accertare quali siano condizioni e spazi di operatività dell’istituto di diritto privato dell’usucapione nell’ipotesi di occupazione acquisitiva.

Nel tempo la giurisprudenza di legittimità si è assestata nel senso di ritenere la configurabilità di condotte materiali di occupazione e di manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell’Amministrazione, anche ai fini della loro usucapibilità, senza distinzione tra le fattispecie dell’occupazione acquisitiva e di quella usurpativa, che, nel momento stesso della loro insorgenza, nell’un caso quando non intervenga nei termini il provvedimento di esproprio e nell’altro ab origine, integrano un illecito permanente della p.A. che incidente sul diritto di proprietà del privato non può per ciò stesso comportare l’acquisizione del fondo (Cass. n. 1804/2013 e SU n. 735/2015).

A far data dalla configurabilità dell’illecito si definisce, in astratto, la possibilità per l’Amministrazione occupante di maturare un possesso integrativo dell’usucapione in applicazione delle norme di diritto privato là dove però alla condotta materiale dell’illecito si accompagni l’animus possidendi necessario ad usucapire che si manifesta attraverso un atto di interversione del possesso.

Venuto meno l’agire secondo modelli pubblicistici, l’Amministrazione se da una parte incorre con la sua condotta di occupazione, comunque integrata, sia essa acquisitiva che usurpativa, in un illecito di diritto comune lesivo dell’altrui diritto di proprietà, del pari essa ben può acquisire come un qualsiasi privato, in ragione di condotte di occupazione e manipolazione, la proprietà del bene per usucapione con le precisazioni che seguono.

L’occupazione illegittima di un fondo da parte della p.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42-bis cit., costituisce un illecito permanente che, come già ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, è destinato a cessare solo per effetto della restituzione, di una transazione, della rinunzia abdicativa e non traslativa del proprietario al suo diritto che resta implicitamente contenuta nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente, o in un provvedimento amministrativo D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis.

L’indicata evidenza osta a che la suindicata occupazione possa integrare il requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione, sortendosi altrimenti l’effetto di reintrodurre nell’ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu esigenza che avvertita dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Ad. Plen. 2/2016; Cons. di Stato, Sez. IV, n. 3838/2017, n. 329/2016, 3988/2015), conclusione che non può che qui confermarsi (in termini: Cass. 27/04/2018 n. 10289).

Segnatamente, il possesso che pure si accompagna alla permanenza dell’illecito non può valere, senza soluzione di continuità, agli effetti dell’usucapione destinati ad operare fin dal momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, con estinzione retroattiva della tutela reale ripristinatoria e di quella indennitaria del proprietario del fondo (in termini, invece: Cass. n. 19294/2006; n. 3153/1998).

Sulle indicate esigenze di sistema si è pertanto affermato che, premesso che la condotta illecita della P.A. incidente sul diritto di proprietà non può comportare, quale che ne sia la forma di manifestazione (occupazione usurpativa, acquisitiva o appropriativa, vie di fatto) l’acquisizione del fondo, nei casi in cui il potere di fatto sulla cosa sia esercitato inizialmente dalla P.A. come detenzione – in presenza di validi provvedimenti amministrativi (dichiarazione di p.u., decreto di occupazione d’urgenza, ecc.) -, occorre l’allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile “ad usucapionem”, ex art. 1141 c.c., comma 2, cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti nè il prolungarsi della detenzione nè il compimento di atti corrispondenti all’esercizio del possesso che di per sè denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cass. 27/04/2018 n. 10289).

10.2. Nella specie nessuna allegazione di fatto ai fini dell’interversio suindicata ha fornito il Comune di Castelfranco Veneto.

L’Ente territoriale affida, piuttosto, i proposti motivi al rilievo di un mutamento negli indirizzi giurisprudenziali di legittimità succedutisi a far data dal 1977, anno in cui avrebbe potuto decorrere il possesso necessario ad usucapire, per poi apprezzare dei nuovi approdi la non applicabilità al caso in esame.

L’impropria prospettiva del ricorrente non è infatti quella di un percorso emeneutico di progressivo adattamento dell’istituto dell’usucapione a principi costituzionali e convenzionali presenti nel sistema, ma di una sorta di overruling sostanziale, creativo di un diritto che, destinato a valere per il futuro, non varrebbe a qualificare nei presupposti applicativi, e a disciplinare negli effetti, fattispecie maturate nel pregresso.

L’estraneità della deduzione difensiva ai principi sopra indicati e l’insufficienza dell’allegazione in punto di interversione del possesso – che nato in un quadro di legittimità del modello ablatorio adottato dall’Amministrazione occupante avrebbe dovuto proseguire in discontinuità con i precedenti presupposti prospettando una vera e propria interversio possessionis – sostiene un giudizio di certa infondatezza dei motivi con rigetto del ricorso principale e di quello proposto dall’Ater della Provincia di Treviso formato sulla falsariga di quello del Comune anche là dove relativo ad una pretesa usucapione del diritto di superficie.

10.3. La denuncia del vizio di motivazione per omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 del fatto che l’istituto dell’occupazione appropriativa, negato nella sua operatività nella sentenza impugnata per il rapporto di incompatibilità con l’istituto dell’usucapione, non era stato ancora creato dalla giurisprudenza di legittimità nell’anno 1977 epoca in cui non poteva, per l’effetto, operare alcuna interversione, sortisce l’effetto di dare poi in modo inammissibile un rilievo in fatto ad una squisita questione in diritto.

10.4. Resta esclusa ogni fondatezza poi dell’eccezione sollevata dagli eredi di V.N. sul difetto di procura speciale in capo al difensore di Ater con conseguente inammissibilità del controricorso con ricorso incidentale, nel carattere “generale” dei suoi contenuti.

Il rilascio del mandato difensivo a margine del ricorso per cassazione rende per definizione il primo connotato dei caratteri della specialità ancorchè il mandato difensivo contenga formule generiche poichè l’incorporazione dei due atti in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale riferimento dell’uno all’altro, come richiesto dall’art. 365 c.p.c. ai fini del soddisfacimento del requisito della specialità (in termini sul principio, in una fattispecie in cui il mandato era privo di data: Cass. 27/05/2019 n. 14437).

11. I ricorsi incidentali condizionati restano assorbiti.

12. Conclusivamente i ricorsi, principale ed incidentale, del Comune di Castelfranco Veneto e dell’A.T.E.R. della Provincia di Treviso vanno rigettati ed i ricorrenti, in solido, condannati in favore di ciascuno dei controricorrenti alle spese di lite che vengono liquidate per il giudizio di cassazione in Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi proposti in via principale ed incidentale dal Comune di Castelfranco Veneto e dalli A.T.E.R. della Provincia di Treviso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti delle spese di lite che vengono liquidate in Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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