Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27195 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 28/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.28/12/2016),  n. 27195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21861/2014 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO,

7 SC B, presso lo studio dell’avvocato CRESCENZO MACCHIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALERIA MARIA RUSSO,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO, MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5452/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

6/06/2014, depositata il 02/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

uditi gli Avvocati Macchia e Russo difensori della ricorrente che si

riportano agli scritti;

udito l’Avvocato Mauro Ricci difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio e non infirmata dalla memoria depositata dalla parte ricorrente.

2. C.M. ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio, ha confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda volta ad ottenere l’assegno di invalidità, per carenza del requisito sanitario.

3. La Corte territoriale ha ritenuto le conclusioni dell’ausiliare officiato in sede di gravame non validamente contraddette dai rilievi delle parti, rimarcando come le note critiche depositate dall’attuale ricorrente fossero una riproposizione dei motivi di gravame. In ogni caso ha evidenziato che la forma ipertensiva non aveva comportato danni d’organo rilevanti (come indirettamente confermato dall’assenza di qualsiasi documentazione medica); che risultava di modica rilevanza l’artrosi; infine, che la forma depressiva era tale da non aver compromesso la vita di relazione in modo significativo.

4. Il ricorso è affidato a due motivi con i quali, deducendo omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (primo motivo) e vizio motivazionale sub specie di omessa motivazione, motivazione apparente, manifesta illogicità e nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 (secondo motivo così rubricato), il ricorrente si duole che la sentenza impugnata, aderendo alle conclusioni dell’ausiliare, non avrebbe tenuto in considerazione documentazione medica e fatti storici decisivi per il giudizio e avrebbe trascurato le critiche alla CTU.

5. In particolare, il ricorrente contesta la mancata considerazione, da parte del CTU, dell’incidenza di altre patologie diagnosticate (cardiovascolare, ipertensiva e artrosica) e documentate in giudizio (contrariamente alla rilevata carenza di documentazione, come asserito in sentenza) e denuncia la nullità della sentenza, nei profili dell’apparenza, omissione e manifesta illogicità della motivazione, per la pretermissione delle predette patologie e delle relative certificazioni nell’accertata percentuale di invalidità inferiore alla soglia di legge.

6. L’INPS ha resistito con controricorso.

7. Il ricorso è qualificabile come inammissibile, esaminati congiuntamente i due mezzi d’impugnazione con i quali si devolvono, in sostanza, vizi motivazionali, riproponendo le medesime censure.

8. Premessa l’adeguata formulazione nel rispetto dell’onere di “specifica indicazione” enunciato dall’art. 366 c.p.c., n. 6, la parte ricorrente, specificando collocazione e contenuto dell’atto di appello, pur riprodotto per sintesi e in passaggi significativi, e delle relative allegazioni e contestuali produzioni documentali, ha criticato la sentenza impugnata per non avere tenuto conto della patologia cardiovascolare oggetto di discussione tra le parti e per avere soltanto accennato, in motivazione, ad una forma ipertensiva e all’assenza di danni d’organo, avendo tratto di ciò conferma dalla pretesa assenza di qualsiasi documentazione medica.

9. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, e con specifico riferimento alle controversie in materia di prestazioni previdenziali e assistenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell’assicurato, il difetto di motivazione della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.

10. Al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (v., tra le altre, Cass. n. 4570/2013, n. 26558/11, n. 9988/2009 e n. 8654/2008).

11. Tale affermazione deve essere ora correlata alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, nel senso chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. SU n.8053 del 2014 e successive conformi).

12. In particolare è stato precisato che il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia), ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

13. In breve, la suddetta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014 e successive conformi).

14. Nel caso di specie, da un lato, l’impugnazione del ricorrente, secondo cui le patologie di cui era portatore, e rilevanti ai fini della decisione, non sono state prese tutte in considerazione dalla Corte di merito, che pure avrebbe trascurato documentazione sanitaria allegata, non è stata altresì suffragata dalla decisività della censura nel senso che il riconoscimento della dedotta classe superiore della cardiopatia ipertensiva, rispetto a quanto accertato dall’ausiliare (con attribuzione della classe inferiore), in concorso con le discopatie e osteofitosi che pure si assumono non esaminate, avrebbe escluso anche le capacità lavorative residue, implicando un diverso esito della controversia, posto che, per il diritto al beneficio preteso, non rileva soltanto l’attività di metalmeccanico, in concreto svolta dall’attuale ricorrente, ma occorre, alla stregua del consolidato orientamento di legittimità, l’impossibilità di svolgere anche attività diverse non richiedenti energie motorie e sforzo fisico.

15. Dall’altro, tenuto conto del tenore delle ulteriori doglianze, la sentenza, recependo le conclusioni dell’ausiliare e ritenendole non validamente contrastate dai rilievi critici di parte, ha dato conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni poste a base del clecisum, e la motivazione non è assente o meramente apparente, nè gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori, sicchè si pongono al di fuori dell’area di rilevanza del vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis.

16. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

17. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, non sussistendo le condizioni previste dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, per l’esonero dal pagamento.

18. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass. Sez. Un. 22035/2014 e alle numerose successive conformi).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, oltre Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del quindici per cento. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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