Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27190 del 04/12/2013
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27190 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAUDENZI MARCO,
rappresentato e difeso per procura in
calce al ricorso dall’Maurizio Terenzi ed elettivamente
domiciliato a Roma, via Ponzio Cominio n.85 presso lo
studio dell’Avv.Marianna Contaldo.
-ricorrentecontro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore
generale pro tempore, elettivamente domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi n.12 presso l’Avvocatura
Generale dello Stato che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza n.182/2/06 della Commissione
Data pubblicazione: 04/12/2013
Tributaria Regionale delle Marche, depositata in data
8.1.2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10.10.2013 dal Consigliere Roberta
Crucitti;
chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avv.Marco La Greca che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott.Federico Sorrentino che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Commissione Tributaria Regionale delle Marche,
con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva
l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso
la decisione di primo grado con la quale era stato
accolto il ricorso proposto da Marco Guadenzi.
L’avviso di accertamento impugnato con detto ricorso
conseguiva a processo verbale di contestazione redatto
dalla Guardia di Finanza di Pesaro a seguito di
verifiche effettuate presso società ritenute “fantasma”
che, ad avviso dei verbalizzanti, avevano emesso
fatture per operazioni inesistenti consentendo ad altre
società tra cui la Tonelli s.r.1., della quale il
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udito per il ricorrente l’Avv.Maurizio Terenzi che ha
Gaudenzi era socio, di contabilizzare quali costi
deducibili i relativi importi.
La Commissione Tributaria Regionale, accogliendo il
ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria,
ha ritenuto la legittimità dell’accertamento operato
di appello hanno rilevato che, nella specie, la
presunzione dedotta dall’Ufficio di fatture emesse da
società cosiddette “cartiere” per detrarre iva e
dedurre costi gestionali, si basasse su elementi gravi,
precisi e concordanti essendosi in presenza di
operatori economici privi di locali, dipendenti e
contabilità.
Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso, affidato a quattro motivi, Marco Gaudenzi.
L’agenzia
delle
Entrate
ha
resistito
con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa
e/o insufficiente motivazione su un fatto decisivo
della controversia, in relazione all’art. 360 n.5
c.p.c., n. 5.
1.1. In particolare, si deduce che il Giudice di
appello avrebbe,
nel caso di specie,
deciso la
controversia con una motivazione del tutto apparente, e
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nei confronti della società. In particolare, i Giudici
perciò sostanzialmente inesistente. La Commissione
tributaria marchigiana avrebbe, invero, apoditticamente
affermato che le false fatturazioni, poste a fondamento
dell’atto impositivo, emergevano dagli accertamenti
della Guardia di Finanza, senza in alcun modo valutare
tutto inconferente sarebbe, del resto -secondo la
prospettazione difensiva- la deduzione dell’inesistenza
delle fatture di sponsorizzazione esaminate dalla
Guardia di Finanza, operata dall’Ufficio in via
presuntiva, alla stregua di una presunzione dotatasecondo l’amministrazione- dei requisiti della gravità,
precisione e concordanza, e fondata sull’assenza di una
adeguata struttura aziendale in capo alla società
emittente.
1.2. Il motivo è inammissibile sotto un duplice
profilo.
In primo luogo, manca in ricorso la formulazione di
un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente la
chiara indicazione del fatto controverso in relazione
al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,
comma 2, (applicabile alla fattispecie ratione
temporis), a tenore del quale la formulazione della
censura ai sensi dell’art. 360 n.5 c.p.c. deve
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il materiale probatorio offerto dal ricorrente. Del
contenere un “momento di sintesi” omologo del quesito
di diritto, che costituisca un quid pluris rispetto
all’illustrazione del motivo operata dalla parte
ricorrente (Cass. 8897/08, Cass. S.U. 11652/08). Nel
medesimo ordine di idee, questa Corte ha più volte – ed
motivo di ricorso con il quale si denunci l’omessa,
insufficiente, o contraddittoria motivazione, deve
indicare il fatto controverso o decisivo in relazione
al quale la motivazione
assume earentu. Al riguardo
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si è, inoltre, precisato che per “fatto” deve
intendersi, non una “questione” o un “punto” della
sentenza (come prevedeva il testo previgente dell’art.
360 c.p.c., n. 5), bensì un fatto vero e proprio, ossia
un fatto principale ex art. 2697 c.c., che dia luogo
alla costituzione, modificazione o estinzione di una
situazione giuridicamente rilevante (fatto di per sè
decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), ovvero
un fatto secondario, dedotto, cioè, in funzione di
prova di un fatto principale, purché sia, a sua volta,
controverso e decisivo (cfr. Cass. 12990/09, 2805/11).
Per converso, nel caso concreto, il ricorrente si è
limitato ad esporre, in maniera assolutamente
generica, una serie di ragioni per le quali la sentenza
sarebbe affetta dal denunciato vizio motivazionale,
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anche di recente – avuto modo di puntualizzare che il
talune
delle
quale
neppure
aderenti
decidendum, ed altre palesemente attinenti,
al
thema
come di
qui a poco si dirà, a questioni di merito, indeducibili
in questa sede.
In secondo luogo, va,
poi, rilevato che la deduzione
con ricorso per cassazione conferisce alla Corte, non
già il potere di riesaminare il merito dell’intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì
soltanto quello di operare una verifica della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale
dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito,
al quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento, scegliendo – dopo avere valutato
l’attendibilità e la concludenza delle prove assunte tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a
comprovare i fatti in discussione (cfr, ex plurimis,
Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09, 6288/11).
Ora,
nel caso di specie, la Commissione Tributaria
Regionale ha illustrato, in maniera congrua e chiara,
le ragioni per le quali appare attendibile l’assunto
dell’Ufficio, in quanto fondato su consistenti elementi
presuntivi, a loro volta desunti dall’assenza, nelle
società emittenti le fatture considerate false (ed.
ditte “cartiere”), di una qualsivoglia struttura
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di un vizio di motivazione della decisione impugnata
imprenditoriale, tale da indurre a ritenere certo il
compimento delle operazioni commerciali sottese alla
falsa fatturazione. A fronte di tali considerazioni di contro – la generica critica mossa dal ricorrente al
percorso decisionale seguito dal giudice di appello si
revisione del giudizio di fatto operato dal Giudice di
merito, del tutto inammissibile in questa sede, per le
ragioni suesposte.
2. Con il secondo motivo di ricorso, Marco Gaudenzi
deduce la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in
relazione all’art. 360, I comma n.3 c.p.c..
2.1. Il ricorrente lamenta il fatto che la Commissione
regionale marchigiana abbia apoditticamente affermato
che le presunzioni, cui l’amministrazione ha fatto
ricorso nell’atto impositivo de quo, siano fondate su
elementi gravi, precisi e concordanti, in asserita
violazione del disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c..
2.2.Senonché, va rilevato che il relativo quesito di
diritto, formulato ai sensi dell’art.366 bis c.p.c.,
si palesa del tutto inidoneo, in relazione allo scopo
perseguito dalla norma citata.
Infatti, il principio di diritto che la parte è tenuta
a formulare a pena di inammissibilità, deve consistere
in una chiara sintesi logico-giuridica della questione
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traduce, in buona sostanza, in una richiesta di
sottoposta al vaglio del giudice di legittimità,
esposta in modo tale che dalla risposta (affermativa o
negativa) che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento o il rigetto del gravame (Cass. 4044/09,
S.U. 3519/08, S.U. 20360/07).
con
conseguente inammissibilità del relativo motivo di
ricorso, il quesito formulato – come nel caso concreto
– in modo generico e limitatamente alla riproduzione
del contenuto del precetto di legge, senza alcun
riferimento al concreto thema decidendum, poiché del
tutto inidoneo ad assumere una qualsiasi rilevanza ai
fini della decisione del corrispondente motivo (Cass.
S.U. 18759/08).
2.3. Nella specie, il ricorrente, nel proposto quesito
ex art. 3660 c.p., si limita a chiedere
“se nel
processo tributario il Giudice che decide in base a
presunzioni, debba o meno avvalersi di elementi
indiziari privi dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza, ovvero gli stessi debbano o meno avere i
requisiti di cui all’art. 2729 c.c.”.
Com’è del tutto
evidente, pertanto, il proposto quesito si palesa del
tutto generico e limitato alla riproduzione del
contenuto della norma di cui all’art. 2729 c.c., per
cui il medesimo è certamente insuscettibile di avere
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Ne deriva che non può ritenersi adeguato,
una qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del
relativo motivo di ricorso che, pertanto, non può che
essere dichiarato inammissibile.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p.,
3.1.In particolare,
il
ricorrente
deduce
che
successivamente alla sentenza emessa in prime cure, ma
prima della decisione di appello impugnata in questa
sede – sarebbe intervenuta la sentenza del Tribunale di
Pesaro n. 655/04, passata in cosa giudicato, con la
quale il legale rappresentante della società Tonelli
s.r.l. – era stato assolto, con formula piena, in
relazione alla medesima vicenda oggetto del processo
tributario.
Tale decisione, a parere del ricorrente, avrebbe
definitivamente accertato l’esistenza dei rapporti
contrattuali sottesi alle fatture ritenute false
dall’Ufficio, fornendo pertanto la prova concreta dei
rapporti contrattuali con le imprese emittenti le
suddette fatture; sicché la sua rilevanza sarebbe del
tutto evidente nel presente giudizio di legittimità.
3.2. Il motivo di ricorso è inammissibile e va
disatteso. Osserva la Corte che il giudicato esterno
può essere provato o rilevato d’ufficio anche in sede
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in relazione all’art.20 D.leg.vo 10.3.2000 n.74.
di legittimità, anche qualora risulti da atti non
prodotti nel giudizio di merito, e che siano per la
prima volta prodotti in cassazione, non operando, in
tal caso, la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c., il
quale – riferendosi esclusivamente ai documenti che
– non si estende a quelli attestanti la successiva
formazione del giudicato. E tuttavia, la deducibilità
del giudicato esterno in cassazione, con produzione
della relativa sentenza, postula pur sempre che il
giudicato medesimo si sia formato dopo l’esaurimento
dei gradi di merito, o dopo il deposito del ricorso per
cassazione, sì che la parte non abbia potuto farlo
valere nei precedenti gradi del giudizio
(giurisprudenza di questa Corte consolidata:cfr.,tra le
tante, Cass. 16376/023, S.U. 13916/06, 360/06,
11112/08, 26041/10).
Nel caso in esame, lo stesso ricorrente deduce che la
sentenza penale n.655/04, passata in cosa giudicata,
“non è stata prodotta nel giudizio di merito”, ancorché
il giudicato si sia formato prima della decisione di
appello impugnata in questa sede (p. 15 del ricorso).
Ne consegue l’inammissibilità della censura.
4. Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente
denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.5
10
avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in relazione agli
artt.artt. 2727 e 2729 c.c..
4.1. Secondo la prospettazione difensiva la Commissione
di seconda istanza avrebbe illegittimamente posto a
carico del contribuente- in via di presunzione ai sensi
società di capitali il disposto del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, art. 5 – i maggiori utili accertati nei
confronti della società (nella forma di corrispettivi
non contabilizzati), sulla base di una mera illazione,
costituita dalla ristretta base partecipativa della
Tonelli s.r.1., esclusa, invece, ad avviso del
ricorrente dalla partecipazione alla società di
soggetti estranei al nucleo familiare dei Bellazzecca.
A tal fine, il ricorrente, nel quesito di diritto ex
art. 366 bis c.p.c., chiede alla Corte di accertare “se
sufficiente il mero indizio a che possa l’Ufficio
ritenere in capo ai soci di una società di capitali la
distribuzione di utili, in conseguenza della scoperta
di corrispettivi non contabilizzati”.
4.2. A parte il rilievo che la sentenza impugnata non
tratta la questione, oggetto di motivo, va, comunque,
rilevata, anche per detto mezzo, la totale inidoneità
del quesito ad assumere una qualsiasi rilevanza ai fini
della decisione della relativa censura, atteso il
degli art. 2727 e 2729 c.c., non applicandosi alle
ESENTE DA REGISMAZIONit
Al SENSI Da D.?.R. 2′!
N. 131 TAB. ALL. is,. – N. 3
MATERIA TRIBUTARIA
carattere del tutto generico dello stesso – limitato
alla richiesta di
una declaratoria a carattere
generale, senza alcuna inerenza specifica alla
fattispecie concreta – e la conse g uente sua inidoneità
a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza
ex plurimis, Cass.S.U. 26020/08, Cass. 4044/09, Cass.
80/11).
5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso
proposto da Marco Gaudenzi non può che essere
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
rimborso delle spese processuali sostenute dalla
controricorrente, nella misura li q uidata in dispositivo
DE
AM41122CANCE,
sulla base dei parametri di cui al D.M. n.140/2012. e…,…….z4int;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione in favore
dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che
li quida in complessivi euro 1.300,00 oltre spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
10.10.2013.
del
impugnata in relazione alla fattispecie concreta (cfr,