Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2719 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 28/01/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 28/01/2022), n.2719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5464-2020 proposto da:

E.J., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati TIZIANA ARESI, MASSIMO CARLO SEREGNI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1178/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/07/2019 R.G.N. 1566/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

07/12/2021 dal Consigliere Dott. CINQUE GUGLIELMO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 1178 del 2019, ha confermato l’ordinanza con cui il Tribunale della stessa sede aveva respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale ed umanitaria, proposte dal ricorrente in epigrafe indicato, cittadino della Nigeria (Edo State).

2. Il richiedente aveva dichiarato che, con la sua famiglia, composta da padre, madre e fratello, viveva a Ujogba; che l’11.4.2011 avrebbero dovuto tenersi le elezioni che furono rinviate al 28.4.2011 per non essere giunte in tempo le schede elettorali; che la sera dell’11.4.2011 appartenenti al partito dell’ACN avevano esultato e avevano anche offeso suo padre, leader del partito opposto, il PDP; che ne era nata una rissa a cui egli aveva partecipato restando ferito in varie parti del corpo; che colui che l’aveva ferito era il figlio del chairman; che in conseguenza di tali avvenimenti, il chairman, suo figlio e alcuni membri del partito erano stati arrestati; che in occasione delle elezioni del 14.7.2012, vinte dall’ACN, membri di questo partito si erano mossi alla volta della sede del partito del PDP dove egli e suo padre si trovavano insieme ad altre persone e ne era scoppiata una rissa; che, essendo presenti dei machete nella sede, esso richiedente ne aveva preso uno e, ricordandosi delle ferite subite, aveva a sua volta ferito il suo vecchio aggressore al collo, con l’intenzione di ferirlo; che costui, invece, era caduto a terra sanguinante ed era poi deceduto; che si era dato subito alla fuga giungendo nel Niger State, ove era rimasto per due anni; che suo fratello, autista di minibus, l’aveva sostenuto economicamente fino a quando era deceduto, nell’aprile del 2014, a seguito dello scoppio di una bomba nel parcheggio degli autobus di Nyanya; che non avendo più nessuno che lo avrebbe potuto aiutare economicamente, decise di andare in Libia e da qui in Italia; aveva precisato di temere la condanna a morte, in caso di rientro in Nigeria, per omicidio volontario.

3. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha rilevato la inattendibilità del racconto del richiedente perché contraddittorio, illogico e lacunoso in relazione alle circostanze narrate: inattendibilità che rendeva infondata ogni pretesa di richiesta di protezione internazionale ed umanitaria; inoltre ha escluso anche la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c).

4. Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, per non avere la Corte di merito valutato il periodo di permanenza nei paesi in cui era transitato né le ragioni che lo avevano poi indotto a fuggire anche dalla Libia.

3. Con il secondo motivo, si censura la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e art. 14, lett. c), per non essere stato valutato il racconto di esso richiedente con le modalità previste dalle citate disposizioni e per non essere stata attivata la relativa cooperazione istruttoria.

4. Il primo motivo è infondato.

5. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, con la conseguenza che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani (Cass. n. 28781/2020).

6. Nella fattispecie il richiedente, nella formulazione della censura, non ha assolto tale onere con riferimento alla propria situazione personale per cui la doglianza si rivela non meritevole di accoglimento.

7. Il secondo motivo e’, invece, fondato e va, pertanto, accolto.

8. Va preliminarmente sottolineato che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto, da parte del richiedente asilo, il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale che evidenzi aspetti contraddittori idonei a metterne in discussione la credibilità, poiché è finalizzato al necessario chiarimento di realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri Paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione. (Cass. n. 24010/2020).

9. Inoltre, deve specificarsi che, ai fini del riconoscimento della misura della protezione sussidiaria, il grave danno alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), può essere determinato dalla sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti con riferimento alle condizioni carcerarie e, al riguardo, il giudice è tenuto a fare uso del potere-dovere d’indagine previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone di procedere officiosamente all’integrazione istruttoria necessaria al fine di ottenere informazioni precise sull’attuale condizione generale e specifica del Paese di origine (Cass. n. 16411/2019).

10. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, sebbene abbia evidenziato che la causa dell’allontanamento del richiedente (pag. 3 della motivazione) era stata indicata anche nel rischio di subire una condanna a morte, prevista in Nigeria per il reato di omicidio volontario, non risulta però avere svolto, in osservanza del suddetto dovere di cooperazione istruttoria, alcuna indagine specifica sullo stato del sistema giudiziario e carcerario della regione di provenienza del richiedente.

11. L’accertamento del rischio di sottoposizione alla pena di morte o quello di subire trattamenti inumani o degradanti nelle carceri non può essere, infatti, ignorato dal giudice nazionale (cfr. Cass. 20.9.2013 n. 21667) in conformità con la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, secondo la quale l’eventuale messa in esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il paese di appartenenza può costituire violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, quando non vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca in quel Paese trattamenti contrari proprio all’art. 3 della Convenzione, essendo irrilevante il tipo di reato di cui è ritenuto responsabile il soggetto da espellere, poiché dal carattere assoluto del principio affermato dal citato art. 3 deriva l’impossibilità di operare un bilanciamento tra il rischio di maltrattamenti ed il motivo invocato per l’espulsione (per tutte Corte CEDU sent. 28.2.2008 e Cass. 22.2.2019 n. 5358).

12. La suddetta questione può rilevare anche sotto l’aspetto della protezione umanitaria la quale, infatti, quale prevista dal D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: Cass. Sez. Un. 13.11.2019 n. 29460), è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione o debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 32044 del 2018; Cass. n. 23604 del 2017).

13. La Corte di merito avrebbe dovuto procedere, pertanto, avvalendosi dei propri poteri di accertamento di ufficio, alla verifica, oltre che della sicurezza socio-politica, anche dello stato del sistema giudiziario e carcerario presente in Nigeria.

14. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al secondo motivo, rigettato il primo, con rinvio alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione che, attenendosi ai principi sopra esposti, procederà all’ulteriore esame del merito della controversia, provvedendo, altresì, anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

 

 

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