Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27188 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27188 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: CRUCITTI ROBERTA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GAUDENZI MARCO,

rappresentato e difeso per procura in

calce al ricorso dall’Maurizio Terenzi ed elettivamente
domiciliato a Roma, via Ponzio Cominio n.85 presso lo
studio dell’Avv.Marianna Contaldo.
-ricorrentecontro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore

generale pro tempore, elettivamente domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi n.12 presso l’Avvocatura
Generale dello Stato che la rappresenta e difende
-controricorrente-

avverso la sentenza n.189/2/06 della Commissione

Data pubblicazione: 04/12/2013

Tributaria Regionale delle Marche, depositata in data
8.1.2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10.10.2013 dal Consigliere Roberta
Crucitti;

chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per la controricorrente l’Avv.Marco La Greca che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott.Federico Sorrentino che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Regionale delle Marche,
con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva
l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso
la decisione di primo grado con la quale era stato
accolto il ricorso proposto da Marco Guadenzi nei
confronti dell’avviso di accertamento relativo ad
Irpef per l’anno di imposta 1997.
L’atto impositivo conseguiva a processo verbale di
contestazione,redatto dalla Guardia di Finanza di
Pesaro, a seguito di verifiche effettuate presso
società ritenute “fantasma” che, ad avviso dei
verbalizzanti, avevano emesso fatture per operazioni

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udito per il ricorrente l’Avv.Maurizio Terenzi che ha

inesistenti consentendo ad altre società tra cui la
Tonelli s.r.1., della quale il Gaudenzi era socio, di
contabilizzare quali costi deducibili i relativi
importi.
La Commissione Tributaria Regionale, accogliendo il

ha ritenuto la legittimità dell’accertamento operato
nei confronti del Gaudenzi, socio della Tonelli s.r.1.,
siccome conseguenziale a quello emesso nei confronti
della società, formante oggetto di altri giudizi
svoltisi innanzi alla medesima Commissione e conclusisi
sempre con l’accoglimento degli appelli proposti
dall’Ufficio. In particolare, i Giudici di appello
hanno ribadito che, nella specie, la presunzione
dedotta dall’Ufficio di fatture emesse da società
cosiddette “cartiere” per detrarre iva e dedurre costi
gestionali, si basasse su elementi gravi, precisi e
concordanti essendosi in presenza di operatori
economici privi di locali, dipendenti e contabilità.
Per la cassazione della sentenze ha proposto
ricorso, affidati a quattro motivi, Marco Gaudenzi.
L’agenzia delle Entrate ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE.

l. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa

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ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria,

e/o insufficiente motivazione su un fatto decisivo
della controversia, in relazione all’art. 360 n.5
c.p.c., n. 5.
1.1. In particolare, si deduce che il Giudice di
appello avrebbe, nel caso di specie, deciso la

perciò, sostanzialmente inesistente. La Commissione
tributaria marchigiana avrebbe, invero, apoditticamente
affermato che le false fatturazioni, poste a fondamento
dell’atto impositivo, emergevano dagli accertamenti
della Guardia di Finanza, senza in alcun modo valutare
il materiale probatorio offerto dal ricorrente. Del
tutto inconferente sarebbe, del resto -secondo la
prospettazione difensiva- la deduzione dell’inesistenza
delle fatture di sponsorizzazione esaminate dalla
Guardia di Finanza, operata dall’Ufficio in via
presuntiva, alla stregua di una presunzione dotatasecondo l’amministrazione- dei requisiti della gravità,
precisione e concordanza, e fondata sull’assenza di una
adeguata struttura aziendale in capo alla società
emittente.
1.2. Il motivo è inammissibile sotto un duplice
profilo.
In primo luogo, manca in ricorso la formulazione di
un’indicazione riassuntiva e sintetica, contenente la

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controversia con una motivazione del tutto apparente e,

chiara indicazione del fatto controverso in relazione
al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.,
comma 2, (applicabile alla fattispecie ratione
temporis), a tenore del quale la formulazione della

contenere un “momento di sintesi” omologo del quesito
di diritto, che costituisca un quid pluris rispetto
all’illustrazione del motivo operata dalla parte
ricorrente (Cass. 8897/08, Cass. S.U. 11652/08). Nel
medesimo ordine di idee, questa Corte ha più volte – ed
anche di recente – avuto modo di puntualizzare che il
motivo di ricorso con il quale si denunci l’omessa,
insufficiente, o contraddittoria motivazione, deve
indicare il fatto controverso o decisivo in relazione
al quale la motivazione si assume carente. Al riguardo
si è, inoltre, precisato che per “fatto” deve
intendersi, non una “questione” o un “punto” della
sentenza (come prevedeva il testo previgente dell’art.
360 c.p.c., n. 5), bensì un fatto vero e proprio, ossia
un fatto principale ex art. 2697 c.c., che dia luogo
alla costituzione, modificazione o estinzione di una
situazione giuridicamente rilevante (fatto di per sè
decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), ovvero
un fatto secondario, dedotto, cioè, in funzione di

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censura ai sensi dell’art. 360 n.5 c.p.c. deve

prova di un fatto principale, purché sia, a sua volta,
controverso e decisivo (cfr. Cass. 12990/09, 2805/11).
Per converso, nel caso concreto, il ricorrente si è
limitato ad esporre, in maniera assolutamente generica,
una serie di ragioni per le quali la sentenza sarebbe

delle quale neppure aderenti al thema decidendum, ed
altre palesemente attinenti, come di qui a poco si
dirà, a questioni di merito, indeducibili in questa
sede.
In secondo luogo, va,

poi, rilevato che la

deduzione di un vizio di motivazione della decisione
impugnata con ricorso per cassazione conferisce alla
Corte, non già il potere di riesaminare il merito
dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo
vaglio, bensì soltanto quello di operare una verifica
della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale dell’iter argomentativo seguito dal giudice di
merito, al quale soltanto spetta di individuare le
fonti del proprio convincimento, scegliendo – dopo
avere valutato l’attendibilità e la concludenza delle
prove assunte – tra le risultanze probatorie quelle
ritenute idonee a comprovare i fatti in discussione
(cfr, ex plurimis, Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09,
6288/11).

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affetta dal denunciato vizio motivazionale, talune

Ora,

nel caso di specie, la Commissione Tributaria

Regionale ha illustrato, in maniera sia pure sintetica
ma congrua e chiara, le ragioni per le quali appare
attendibile l’assunto dell’Ufficio, in quanto fondato
su consistenti elementi presuntivi, a loro volta

fatture considerate false (ed. ditte “cartiere”), di
una qualsivoglia struttura imprenditoriale, tale da
indurre a ritenere certo il compimento delle operazioni
commerciali sottese alla falsa fatturazione. A fronte
di tali considerazioni – di contro – la generica
critica mossa dal ricorrente al percorso decisionale
seguito dal giudice di appello si traduce, in buona
sostanza, in una richiesta di revisione del giudizio di
fatto operato dal Giudice di merito, del tutto
inammissibile in questa sede, per le ragioni suesposte.
2. Con il secondo motivo di ricorso, Marco Gaudenzi
deduce la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in
relazione all’art. 360, I comma n.3 c.p.c..
2.1. Il ricorrente lamenta il fatto che la Commissione
regionale marchigiana abbia apoditticamente affermato
che le presunzioni, cui l’amministrazione ha fatto
ricorso nell’atto impositivo de quo, siano fondate su
elementi gravi, precisi e concordanti, in asserita
violazione del disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c..

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desunti dall’assenza, nelle società emittenti le

2.2.Senonché, va rilevato che il relativo quesito di
diritto, formulato ai sensi dell’art.366 bis c.p.c.,
si palesa del tutto inidoneo, in relazione allo scopo
perseguito dalla norma citata.
Infatti, il principio di diritto che la parte è tenuta

in una chiara sintesi logico-giuridica della questione
sottoposta al vaglio del giudice di legittimità,
esposta in modo tale che dalla risposta (affermativa o
negativa) che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento o il rigetto del gravame (Cass. 4044/09,
S.U. 3519/08, S.U. 20360/07).
Ne deriva che non può ritenersi adeguato,

con

conseguente inammissibilità del relativo motivo di
ricorso, il quesito formulato – come nel caso concreto
– in modo generico e limitatamente alla riproduzione
del contenuto del precetto di legge, senza alcun
riferimento al concreto thema decidendum, poiché del
tutto inidoneo ad assumere una qualsiasi rilevanza ai
fini della decisione del corrispondente motivo (Cass.
S.U. 18759/08).
2.3. Nella specie, il ricorrente, nel proposto quesito
ex art. 366# c.p., si limita a chiedere

“se nel

processo tributario 11 Giudice che decide in base a
presunzioni, debba o meno avvalersi di elementi

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a formulare a pena di inammissibilità, deve consistere

indiziari privi dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza, ovvero gli stessi debbano o meno avere i
requisiti di cui all’art. 2729 c.c.”.

Com’è del tutto

evidente, pertanto, il proposto quesito si palesa del
tutto generico e limitato alla riproduzione del

cui il medesimo è certamente insuscettibile di avere
una qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del
relativo motivo di ricorso che, pertanto, non può che
essere dichiarato inammissibile.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p.,
in relazione all’art.20 D.leg.vo 10.3.2000 n.74.
3.1.In

particolare,

il

ricorrente

deduce

che

successivamente alla sentenza emessa in prime cure, ma
prima della decisione di appello impugnata in questa
sede – sarebbe intervenuta la sentenza del Tribunale di
Pesaro n. 655/04, passata in cosa giudicato, con la
quale il legale rappresentante della società Tonelli
s.r.l. – era stato assolto, con formula piena, in
relazione alla medesima vicenda oggetto del processo
tributario.
Tale decisione, a parere del ricorrente, avrebbe
definitivamente accertato l’esistenza dei rapporti
contrattuali

sottesi alle fatture ritenute

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false

contenuto della norma di cui all’art. 2729 c.c., per

dall’Ufficio, fornendo pertanto la prova concreta dei
rapporti contrattuali con le imprese emittenti le
suddette fatture; sicché la sua rilevanza sarebbe del
tutto evidente nel presente giudizio di legittimità.
3.2. Il motivo di ricorso è inammissibile e va
disatteso. Osserva la Corte che il giudicato esterno
può essere provato o rilevato d’ufficio anche in sede
di legittimità, anche qualora risulti da atti non
prodotti nel giudizio di merito, e che siano per la
prima volta prodotti in cassazione, non operando, in
tal caso, la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c., il
quale – riferendosi esclusivamente ai documenti che
avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito
– non si estende a quelli attestanti la successiva
formazione del giudicato. E tuttavia, la deducibilità
del giudicato esterno in cassazione, con produzione
della relativa sentenza, postula pur sempre che il
giudicato medesimo si sia formato dopo l’esaurimento
dei gradi di merito, o dopo il deposito del ricorso per
cassazione, sì che la parte non abbia potuto farlo
valere

nei

precedenti

gradi

del

giudizio

(giurisprudenza di questa Corte consolidata:cfr.,tra le
tante,

Cass.

S.U.

16376/023,

13916/06,

360/06,

11112/08, 26041/10).
Nel caso in esame, lo stesso ricorrente deduce che la

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sentenza penale n.655/04, passata in cosa giudicata,
“non è stata prodotta nel giudizio di merito”, ancorché
il giudicato si sia formato prima della decisione di
appello impugnata in questa sede (p. 15 del ricorso).
Ne consegue l’inammissibilità della censura.

denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.5
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 in relazione agli
artt.artt. 2727 e 2729 c.c..
4.1. Secondo la prospettazione difensiva la Commissione
di seconda istanza avrebbe illegittimamente posto a
carico del contribuente- in via di presunzione ai sensi
degli art. 2727 e 2729 c.c., non applicandosi alle
società di capitali il disposto del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, art. 5 – i maggiori utili accertati nei
confronti della società (nella forma di corrispettivi
non contabilizzati), sulla base di una mera illazione,
costituita dalla ristretta base partecipativa della
Tonelli s.r.1., esclusa, invece, ad avviso del
ricorrente dalla partecipazione alla società di
soggetti estranei al nucleo familiare dei Bellazzecca.
A tal fine, il ricorrente, nel quesito di diritto ex
art. 366 bis c.p.c., chiede alla Corte di accertare “se
è sufficiente il mero indizio a che possa l’Ufficio
ritenere in capo ai soci di una società di capitali la

Il

4. Con il quarto motivo di ricorso, il contribuente

distribuzione di utili, in conseguenza della scoperta
di corrispettivi non contabilizzati”.
4.2. Anche con riferimento al motivo in esame, la Corte
non può che rilevare la totale inidoneità del quesito
ad assumere una qualsiasi rilevanza ai fini della

del tutto generico dello stesso – limitato alla
richiesta di una declaratoria a carattere generale,
senza alcuna inerenza specifica alla fattispecie
concreta – e la conseguente sua inidoneità a chiarire
l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in
relazione alla fattispecie concreta (cfr, ex plurimis,
Cass.S.U. 26020/08, Cass. 4044/09, Cass. 80/11).
5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso
proposto da Marco Gaudenzi non può che essere
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
rimborso delle spese processuali sostenute dalla
controricorrente, nella misura liquidata in dispositivo
sulla base dei parametri di cui al D.M. n.140/2012.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione in favore
dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali che
liquida in complessivi euro 2.000,00 oltre spese
prenotate a debito.

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decisione della relativa censura, atteso il carattere

ESENTE DA.
AI SENSI 1 -)7
N. 131

145

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del

10.10.2013.

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