Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27182 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 27/11/2020), n.27182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13809/2019 R.G. proposto da:

C.R. (C. F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’Avv. MARIA RITA FELLI, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Val di Fassa, int. 3;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 7396/2018, depositata in data 25 ottobre 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 7 ottobre 2020 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il contribuente C.R. ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’anno 2006 per maggiori ricavi non dichiarati della associazione US Valmontone, da cui era conseguito l’accertamento di maggiori IRES e IRAP, oltre che sanzioni, nei confronti del contribuente quale autore delle violazioni.

La CTP di Roma ha accolto il ricorso e la CTR del Lazio, con sentenza in data 25 ottobre 2018, ha accolto l’appello dell’Ufficio sul rilievo, per quello che rileva in questa sede, della applicabilità nel caso di specie del raddoppio dei termini di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, stante la presenza di fatti che comportano l’obbligo della denuncia penale.

Ha proposto ricorso per cassazione il contribuente affidato a tre motivi; l’ufficio intimato non si è costituito in giudizio.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, censurandosi motivazione apparente nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto sussistenti i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento. Deduce parte ricorrente che la sentenza impugnata si è limitata ad asserire che il raddoppio dei termini si configura per effetto del riscontro di fatti che comportano la denuncia penale. Il ricorrente osserva come non sia stata indicata nella sentenza impugnata la fattispecie criminosa astrattamente applicabile al caso di specie, nè vi è alcun riferimento alla fattispecie concreta. Deduce che la motivazione è, nella specie, al di sotto del minimo costituzionale.

1.1 – Il primo motivo è infondato. E’ principio condiviso quello secondo cui ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benchè graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. VI, 23 maggio 2019, n. 13977); ovvero, qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass., Sez. VI, 7 aprile 2017, n. 9105; Cass., Sez. Lav., 5 agosto 2019, n. 20921); ovvero – ancora – laddove la sentenza si limiti a dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti e atti ad essa allegati, senza riprodurne le parti idonee a giustificare la valutazione espressa (Cass., Sez. III, 23 marzo 2017, n. 7402).

1.2 – Nella specie, la Corte di merito ha accertato, richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte, che “il raddoppio dei termini (..) presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione”, fondando il proprio convincimento sulla sussistenza di fatti costituenti reato, indipendentemente dalla presentazione di una notizia di reato.

1.3 – La deduzione relativa alla mancata individuazione di quale sarebbe la norma penale violata dal contribuente non attiene, invero, alla mancanza nella sentenza di un percorso logico tale da inficiare la sua ricostruzione, bensì alla incompleta ricognizione della fattispecie concreta, che non attiene al denunciato vizio.

2 – Con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella parte in cui la sentenza impugnata non ha esaminato gli elementi idonei a giustificare l’astratta configurabilità di un reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Evidenzia il ricorrente la propria estraneità rispetto alle operazioni contabili compiute e l’impossibilità di rubricare a suo carico una fattispecie delittuosa.

2.1 – Il secondo motivo è inammissibile. A seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che possono essere esaminate e si convertono, all’evidenza, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).

2.2 – Diversamente, il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, richiede l’indicazione di un fatto storico, l’indicazione della circostanza che il fatto storico risulti dal testo della sentenza o anche dagli atti processuali, sicchè occorre l’illustrazione del momento e del luogo in cui quel fatto ha fatto ingresso nel processo, anche al fine di individuare il luogo di discussione tra le parti (Cass., Sez. VI, 3 luglio 2018, n. 17335), ossia il come e il quando tali fatti sono stati oggetto di discussione processuale (Cass., Sez. I, 23 marzo 2017, n. 7472), nonchè infine, la indicazione del giudizio di decisività, dovendo il ricorrente illustrare logicamente come l’esame di tale fatto storico avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

2.3 – Nella specie il ricorrente, pur avendo denunciato il mancato esame dei fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, non ha indicato quali sarebbero i fatti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di appello e, soprattutto, in che termini l’esame di tali fatti avrebbe determinato un diverso decorso dell’iter motivazionale.

2.4 – Di converso, il ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito non avrebbe esaminato la questione, posta dal contribuente, dell’assenza di presupposti tali da rubricare una fattispecie criminosa ascrivibile al contribuente, circostanza che attiene all’omessa valutazione di deduzioni difensive, la quale non è censurabile come omesso esame di un fatto storico a termini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., Sez. II, 14 giugno 2017, n. 14802; Cass., Sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., Sez. VI, 6 settembre 2019, n. 22397).

3 – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento consegue al mero riscontro di fatti che comportano l’obbligo della denuncia penale, indipendentemente dalla presentazione della denuncia, evidenziando come tale interpretazione si pone in contrasto con l’evoluzione normativa e, in particolare, con la novella di cui al D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, che ha richiesto, ai fini del raddoppio dei termini, la preventiva presentazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, della notitia criminis entro il termine ordinario per l’esercizio del potere di accertamento.

3.1 – Il terzo motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente censurato la statuizione della sentenza impugnata secondo cui, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, i termini di cui alla citata disposizione del citato D.P.R., art. 43, sono raddoppiati in presenza di meri indizi di reato “senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi di imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui art. 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio non oggetto di abrogazione – di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015”.

3.2 – La statuizione della inapplicabilità di tali disposizioni è passata in giudicato e preclude l’esame nel merito del motivo.

4 – Il ricorso va rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

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