Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2718 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 05/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 05/02/2020), n.2718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11262/2014 proposto da:

A.M., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GREGORIO VII n. 108, presso lo studio dell’avvocato BRUNO

SCONOCCHIA, rappresentati e difesi dall’avvocato PIERGIORGIO

PARISELLA;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA DI MACERATA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA n. 5, presso lo

studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCO GENTILI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 905/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il di 05/11/2013 R.G.N. 103/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Ancona ha respinto l’appello proposto dai litisconsorti indicati in epigrafe nonchè da D.M.R., G.G. e P.L., avverso la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva rigettato la domanda, formulata nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Macerata, volta ad ottenere l’accertamento del diritto a percepire il medesimo trattamento retributivo riservato ai dipendenti, di pari qualifica e mansioni, originariamente assunti dall’ANAS e poi transitati nei ruoli dell’ente per effetto di trasferimento di attività, e la conseguente condanna della Provincia al pagamento delle differenze stipendiali;

2. la Corte territoriale ha escluso la denunciata violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, rilevando che la differenza retributiva era giustificata dalla diversa storia lavorativa dei dipendenti ed aveva una base normativa, perchè le parti collettive, nel riconoscere ai lavoratori ex ANAS un assegno personale non riassorbibile “trasformato” in retribuzione individuale di anzianità, si erano attenute alle previsioni del D.P.C.M. n. 448 del 2000, emanato ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 2008, art. 7, comma 4;

3. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso A.M. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe, sulla base di due motivi, ai quali l’Amministrazione Provinciale di Macerata ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45” ed assumono che la Corte territoriale non avrebbe ben compreso le ragioni della domanda, con la quale era stato rappresentato, non che la differenza di retribuzione non avesse fondamento normativo, bensì che gli atti legali, regolamentari e contrattuali invocati per giustificare la discriminazione non erano conformi ai principi dettati dal D.Lgs. n. 165 del 2001;

2. la seconda censura addebita alla sentenza gravata la “violazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 7, comma 4, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 2 e 45, artt. 1418 e 1419 c.c., art. 4 preleggi, in relazione al D.P.C.M. 22 dicembre 2000, n. 448, artt. 4 e 5 e all’art. 28 del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti non dirigenti del comparto regioni autonomie locali del 5 ottobre 2001” perchè il giudice d’appello non avrebbe considerato che il superminimo ad personam riconosciuto ai dipendenti provenienti dall’ANAS, in quanto non riassorbibile nei successivi incrementi retributivi, contrasta con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3 e non – può essere giustificato dal richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1998, che prevedeva solo il mantenimento della posizione retributiva goduta presso l’ente;

2.1. i ricorrenti assumono che in tal modo la contrattazione collettiva ha creato un’ingiustificabile discriminazione, eliminabile solo riconoscendo a tutti i dipendenti, a parità di inquadramento, il medesimo trattamento retributivo;

3. i motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico giuridica, sono infondati;

4. il giudice d’appello ha risolto la questione controversa in conformità al principio di diritto, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di pubblico impiego privatizzato, il principio di pari trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali” (Cass. n. 6553/2019 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. n. 19043/2017, Cass. 1037/2014. Cass. 10105/2013, Cass. n. 4971/2012);

5. nè giova ai ricorrenti sostenere che le parti collettive, nell’escludere il riassorbimento dell’assegno ad personam riconosciuto al personale trasferito nei ruoli degli enti locali dallo Stato e dalle altre amministrazioni centrali, avrebbero violato la regola generale sancita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, che costituisce un limite all’autonomia contrattuale;

6. dall’eventuale nullità della disposizione dettata dall’art. 28 del CCNL 5.10.2001 non potrebbe mai derivare l’effetto preteso, ossia il riconoscimento anche al restante personale del beneficio asseritamente in contrasto con la norma di legge, perchè nei casi in cui il datore di lavoro pubblico attribuisca al dipendente un trattamento economico in violazione di norma imperativa, quale è quella invocata dai ricorrenti, è da escludere alla radice la possibilità che altri dipendenti possano rivendicare il medesimo trattamento, perchè l’atto nullo obbliga l’amministrazione al recupero di quanto illegittimamente erogato e, a maggior ragione, non può far sorgere un diritto soggettivo in capo ad altri soggetti che dello stesso atto non siano destinatari (in tal senso Cass. n. 16755/2019);

7. è stato già affermato (Cass. n. 32157/2018), ed al principio il Collegio intende dare continuità, che la parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, da intendersi nei termini richiamati al punto 4, non va confusa con il riallineamento stipendiale, espunto dalla disciplina dell’impiego pubblico con il D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 4, norma, questa, collegata al disegno generale di riforma del pubblico impiego, che ha condotto all’adozione della Legge di Delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 e del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dove, tra l’altro, è stata disposta l’abrogazione di tutte le disposizioni che prevedono “automatismi” suscettibili di influenzare il trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici (L. n. 421 del 1992, art. 2, lett. o e D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 2);

8. è utile rammentare al riguardo che la Corte Costituzionale, nel valutare la legittimità costituzionale della norma con la quale l’istituto del riallineamento è stato soppresso con efficacia retroattiva, ne ha sottolineato la “intrinseca irrazionalità”, evidenziando che priva di giustificazione è “l’estensione di un trattamento riconosciuto ad personam ad una intera categoria di dipendenti conseguente al fatto, del tutto accidentale, che un soggetto dotato di un trattamento “personalizzato” più favorevole venga a inserirsi nell’ambito di tale categoria” (Corte Cost. n. 6/1994);

9. sulla scorta delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

10. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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