Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27178 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 28/12/2016, (ud. 11/11/2016, dep.28/12/2016),  n. 27178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23669-2014 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

MIRABELLO 17, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ZARDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CUPINI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MA.PA.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

AMBROSIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO COLLALTI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4907/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato ANTONIO CUPINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Avendo Ma.Pa.Gi., con atto notificato il 7 dicembre 1994, intimato sfratto per morosità e citato per la convalida davanti al Pretore di Frosinone M.F. in relazione a un immobile ad uso non abitativo sito nel Comune di (OMISSIS), ed essendosi opposto il M., con ordinanza del 23 febbraio 1995 il Pretore rigettava la richiesta di convalida disponendo la riassunzione della causa davanti al Tribunale di Frosinone. Tempestivamente la riassumeva davanti a quest’ultimo il Ma.Pa., chiedendo l’accertamento della sua proprietà dell’immobile e che per l’effetto controparte fosse condannata al rilascio dell’immobile stesso e al pagamento dei canoni locatizi dal luglio 1989. Il M. si costituiva, chiedendo riconvenzionalmente di accertare la sua proprietà dell’immobile per successione al padre M.L. – che a suo dire aveva acquistato l’immobile venticinque anni prima – o per usucapione.

Con sentenza del 3 febbraio 2006 il Tribunale rigettava le domande di rilascio e di pagamento dei canoni proposte dall’attore, ritenendone non provata la proprietà dell’immobile, e rigettava altresì la domanda riconvenzionale del M. perchè sarebbe emersa prova documentale che fino al 1976 l’immobile era nel possesso dei Pacifici, per cui non poteva essersi verificato un possesso ultraventennale dei M.. Avendo il Ma.Pa. proposto appello principale perchè fosse accertata la sua proprietà dell’immobile per successione o usucapione e “per l’effetto” controparte fosse condannata al rilascio e al pagamento dei canoni locatizi, e avendone il M. chiesto il rigetto e in subordine proposto appello incidentale perchè fosse dichiarata la sua proprietà dell’immobile acquisita per usucapione, chiedendo in ulteriore subordine la quantificazione delle opere che egli vi avrebbe effettuate, con sentenza 14 aprile-21 luglio 2014 la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello principale, dichiarando risolto per inadempimento del conduttore il contratto locatizio e condannando quindi il conduttore al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni da luglio 1989 a marzo 2007, e rigettando l’appello incidentale.

2. Ha presentato ricorso il M. sulla base di sei motivi, sviluppati anche in memoria ex art. 378 c.p.c.; si è difeso con controricorso il Ma.Pa..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum e degli art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. quanto al giudicato interno.

La corte territoriale ha ritenuto irrilevante la qualità di proprietario ai fini di stipulare quale locatore un contratto di locazione, ma il Ma.Pa., secondo il ricorrente, non avrebbe impugnato il capo della sentenza dove il Tribunale dichiarava che la legittimazione a stipulare il contratto locatizio compete soltanto al proprietario della res locata, per cui su di essa si sarebbe creato giudicato interno. Per dimostrare ciò, il ricorrente riporta le pagine da 3 a 8 dell’atto d’appello principale.

Effettivamente, come risulta anche dallo svolgimento del processo descritto dal giudice d’appello, l’appellante ha chiesto accertarsi la sua proprietà dell’immobile per successione o usucapione e “per l’effetto” condannare controparte al rilascio dell’immobile e al pagamento dei canoni. Peraltro, pur in questo modo oggettivamente non lineare, l’appellante principale ha chiesto rilascio dell’immobile e canoni locatizi, il che logicamente significa fondarsi non sulla sola proprietà, bensì ancora sul contratto di locazione in base al quale il Ma.Pa. aveva intimato lo sfratto per morosità. Il principio del tantum devolutum quantum appellatum come espresso dall’art. 342 c.p.c., peraltro, deve essere interpretato non attraverso criteri meramente formali, bensì in modo logico, solo così potendosi attingere il suo reale e completo significato. La natura implicita di elementi che però sono connessi con quelli esplicitati come devoluti non comporta, quindi, la estromissione dall’ambito devolutivo dei primi (v. Cass. sez. 1, 26 gennaio 2016 n. 1377; Cass. sez. 3, 11 gennaio 2011 n. 443; Cass. sez. 1, 10 febbraio 2006 n. 2973; Cass. sez. 5, 8 settembre 2004 n. 18095; Cass. sez. 2, 16 gennaio 2002 n. 397; e cfr. pure Cass. sez. 3, 29 settembre 2015 n. 19229). Il motivo è quindi infondato.

3.2 I secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1571 c.c. e ss. e dei principi relativi alla legittimazione alla concessione in godimento di immobile.

Il locatore, insegna la giurisprudenza, per stipulare deve avere la disponibilità dell’immobile in base a un titolo giuridico, e non solo una mera disponibilità di fatto: e il giudice d’appello avrebbe omesso di verificare se il Ma.Pa. “si trovava in situazione di disponibilità di diritto della res locata”.

Il motivo è infondato, ben potendo – come ha rilevato la corte territoriale – nel contratto di locazione immobiliare essere locatore anche chi non sia proprietario dell’immobile, ma ne abbia soltanto la disponibilità di fatto, purchè sulla base di un titolo non contrario all’ordine pubblico (v. Cass. sez. 3, 20 agosto 2015 n. 17030; Cass. sez. 3, 22 ottobre 2014 n. 22346; Cass. sez. 3, 14 luglio 2011 n. 15443; Cass. sez. 3, 11 aprile 2006 n. 8411).

3.3 D terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. in relazione agli artt. 1371 c.c. e ss. quanto al perfezionamento del contratto locatizio, degli artt. 1140 – 1141 c.c. e dei principi relativi all’acquisto del possesso e all’eccezione “possideo quia possideo”, degli artt. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c. nonchè art. 2729 c.c. e del divieto di presunzioni a catena; denuncia altresì omesso esame su fatto decisivo e discusso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il motivo è proposto mettendo “in disparte” le doglianze dei due motivi precedenti.

Afferma il ricorrente che la motivazione “è in più punti meramente apparente, in altri perplessa ed infarcita di salti illogici”, laddove accerta che il Ma.Pa. e il defunto padre del ricorrente, Luigi M., avrebbero stipulato oralmente dal 1976 una locazione ad uso non abitativo per un canone mensile di un milione di Lire. Ma la corte non avrebbe tenuto conto che tale presunto canone sarebbe rimasto uguale per quindici anni, nonostante l’alta inflazione dell’epoca. Si tratterebbe dunque di un elemento manifestamente illogico e assurdo, dimostrante anche la inattendibilità dei testi su cui la corte si fonda, cioè il geometra F.F. e B.L.; e se non viene provata con certezza la misura del canone, deve rigettarsi la domanda di pagamento dei canoni arretrati ex art. 2697 c.c.

Il giudice d’appello non tiene conto, adduce poi il ricorrente, di elementi evidenziati nella sua conclusionale di primo grado: il mancato aggiornamento del canone per vent’anni, l’assenza di stipulazione scritta nonostante si trattasse di un contratto così oneroso e sproporzionato, l’incredibilità del dato che un commerciante come il M. non abbia preteso la registrazione del contratto per scaricare fiscalmente il canone, il passaggio di ben sei anni prima che il Ma.Pa. abbia fatto valere l’asserita morosità. E l’incertezza probatoria avrebbe dovuto gravare sull’attore.

Ancora, la corte territoriale viene censurata per aver omesso di valutare, ai fini dell’attendibilità del teste F., che egli, dopo avere testimoniato in primo grado, aveva redatto una perizia giurata allegata dal Ma.Pa. all’atto di appello. La consulenza tecnica di parte non ha valore probatorio, bensì di allegazione difensiva, per cui il consulente tecnico di parte riveste ruolo analogo a quello del difensore; nella comparsa di costituzione in appello l’attuale ricorrente aveva addotto la inattendibilità del F. anche per la sua redazione della perizia giurata. Nella motivazione della sentenza impugnata la testimonianza del F. è stata, ad avviso del ricorrente, decisiva, per cui sussiste “il nesso causale tra il rilevato gravissimo vizio di motivazione e l’erroneità ed ingiustizia della sentenza”.

La corte territoriale avrebbe poi omesso sostanzialmente l’esame delle deduzioni e delle argomentazioni dell’attuale ricorrente sulla inattendibilità dei testi F. e B.; e la valutazione dell’attendibilità dei testi non è sindacabile dal giudice di legittimità solo se è corredata da una motivazione sufficiente e logica.

Adduce altresì il motivo che il giudice d’appello ha omesso l’esame delle testimonianze di P.P. e S.A. sui colloqui tra M.L. e il Ma.Pa. riguardo la formalizzazione in atto scritto della vendita dell’immobile dal Ma.Pa. a M.L., vendita già stipulata verbalmente e pertanto nulla, ma rilevante per il possesso ad usucapionem. Il giudice d’appello avrebbe invece verificato soltanto la questione della esecuzione di opere edili, come se non emergesse nulla di contrastante dalle altre testimonianze rispetto alle testimonianze di B. e F., benchè sussistessero le testimonianze di P. e S.; d’altronde l’amicizia e la lunga frequentazione tra le parti renderebbero verosimile la cessione orale dell’immobile.

Il giudice d’appello ha omesso poi di esaminare i fatti verificatisi tra l'(OMISSIS) (quando morì M.L.) e il (OMISSIS) (quando il Ma.Pa. notificò l’intimazione di sfratto), fatti “evidentemente decisivi”. Invero “sarebbe stato necessario indagare il comportamento” del ricorrente dopo la morte del padre, dato che egli da allora “si è comportato uti dominus” rifiutando di pagare alcunchè al Ma.Pa.. Ciò sarebbe idoneo a far sorgere in capo a lui il possesso dell’immobile, incompatibile con un rapporto locatizio. E significativa sarebbe pure la prolungata inerzia del Ma.Pa.. Valutando tutto questo la corte territoriale “avrebbe dovuto necessariamente concludere” che quando fu intimato lo sfratto non sussisteva un contratto locatizio. Pertanto la corte avrebbe violato le norme sul possesso.

Si è riportato in misura particolarmente dettagliata l’ampio contenuto del motivo poichè la sua mera lettura ne fa risaltare l’inammissibilità. Invero, tutto è diretto – pur tentando talora il ricorrente di insinuarvi questioni di diritto che, in realtà, sono soltanto oggetto di doglianze apparenti proposte per coprire, appunto, la vera natura del motivo – ad ottenere dal giudice di legittimità una revisione dell’accertamento di merito, adducendo una serie di elementi tratti dal compendio probatorio di cui si prospetta una valutazione alternativa a fronte di quella adottata dal giudice d’appello. Il giudizio di legittimità, in tal modo, viene utilizzato come terzo grado di merito, non riuscendo il ricorrente neppure ad evincere dalla motivazione della sentenza impugnata il vizio come ora conformato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal momento che la pronuncia gode di un apparato motivazionale ictu oculi sussistente e non qualificabile come apparente. Nè, d’altronde, la carenza motivazionale è identificabile nella mancata menzione di tutti gli elementi probatori, valendo a renderla congrua anche in tal caso il principio della motivazione implicita (v. p. es. Cass. sez. L, 7 gennaio 2009 n. 42, per cui appunto “la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti”; e cfr. sulla stessa linea Cass. sez. 1, 23 maggio 2014 n. 11511, Cass. sez. L, 15 luglio 2009 n. 16499, Cass. sez. 3, 16 gennaio 2007 n. 828, Cass. sez. 3, 24 maggio 2006 n. 12362, Cass. sez. L, 1 settembre 2003 n. 12747 e Cass. sez. 3, 11 agosto 2000 n. 10719).

3.4 n quarto motivo denuncia nullità della sentenza per omesso esame, in violazione dell’art. 112 c.p.c., di “eccezione sollevata” dal ricorrente “a contestazione del dedotto rapporto locativo” ex art. 360, comma 1, n. 4; in subordine, denuncia omesso esame di fatto decisivo e discusso ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella comparsa di risposta davanti al Tribunale, l’attuale ricorrente aveva dedotto che da oltre venticinque anni suo padre aveva acquistato l’immobile per un corrispettivo di ottanta milioni di Lire e l’aveva pacificamente, pienamente ed esclusivamente posseduto, e poi lo aveva posseduto il figlio. Di tale “eccezione” la corte territoriale avrebbe omesso l’esame violando l’art. 112 c.p.c. Se non fosse violato l’art. 112 c.p.c., vi sarebbe comunque un omesso esame di fatti decisivi e discussi. Trascrive il motivo dal verbale dell’udienza 10 giugno 2002 davanti al Tribunale le dichiarazioni del teste S. (che il ricorrente dichiara di avere poi trascritta anche nella conclusionale del primo grado) e dal verbale dell’udienza davanti al Tribunale del 19 gennaio 2001, le dichiarazioni del teste P..

Il motivo non è riconducibile, in realtà, all’art. 112 c.p.c.: si tratterebbe infatti di una “eccezione” relativa a una stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare nullo per difetto di forma scritta, ma non per addurre la nullità del contratto, bensì, paradossalmente, per far valere il contratto stesso. Quanto all’ulteriore profilo del vizio motivazionale, poichè le testimonianze in relazione alle quali sussisterebbe attengono a tale contratto nullo, esso risulta del tutto privo di pregio, poichè, a tacer d’altro, non si ravvisa come esso possa fungere da fatto decisivo così da “neutralizzare” il contratto locatizio.

3.5 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1140 c.c. e delle norme e dei principi relativi all’acquisto di possesso ad usucapionem, dell’art. 2729 c.c. e del divieto di presunzione a catena, dell’art. 1167 c.c.; inoltre denuncia omesso esame di fatto decisivo e discusso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il giudice d’appello avrebbe rigettato l’appello incidentale con una “motivazione frettolosa” e per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado: ma si può motivare per relationem se il giudice d’appello esprime, seppur sinteticamente, le ragioni di conferma rispetto ai motivi di impugnazione. In questo caso la motivazione sarebbe “oltremodo laconica e meramente apparente”. Confuta poi il ricorrente il contenuto della motivazione della sentenza del Tribunale, anche trascrivendo in parte un verbale dei vigili urbani per dedurne la non significatività, sostenendo poi che ritenere si fosse dimostrato in forza del verbale che la madre del Ma.Pa. fosse possessore dell’immobile nel 1976 violerebbe la necessità di gravità, concordanza e precisione della prova presuntiva e la regola che vieta presunzione a catena, perchè l’immobile non sarebbe sufficientemente identificato nel verbale. Su questo il motivo adduce anche violazione ex art. 1167 c.c., perchè M.L. sarebbe già stato possessore nel 1976, e il suo possesso non si sarebbe interrotto per oltre un anno.

Il sesto motivo, poi, denuncia nullità della sentenza per omesso esame, in violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’appello incidentale quanto alla data di acquisto del possesso dell’immobile, ed alla relativa “eccezione atta a contrastare la domanda attorea fondato sul contratto di locazione”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. In subordine, si lamenta omesso esame di fatto decisivo e discusso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: non sarebbe stata esaminata la questione della data di acquisto del possesso dell’immobile, “verosimilmente” perchè la corte territoriale ha attribuito valore decisivo alla prova documentale “che nel 1976 l’immobile era nel possesso dei P.” come avrebbe attestato rapporto dei vigili urbani; la si sarebbe dovuta invece esaminare per quanto esposto nel precedente motivo a proposito dell’art. 1167 c.c. Pertanto sarebbe stato violato l’art. 112 c.p.c. Qualora non si ritenesse violato quest’ultimo, sussisterebbe comunque vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo e discusso: e si richiamano le testimonianze dello S. e di Ma.Gi. per provare che M.L. aveva acquisito il possesso dell’immobile anteriormente al 1976.

I due motivi possono essere vagliati congiuntamente: come emerge chiaramente dalla loro dettagliata sintesi, sono entrambi di natura fattuale, diretti a perseguire il terzo grado di merito. Omette d’altronde il ricorrente di considerare che il giudice d’appello motiva sulla esistenza del contratto di locazione, ritenendola accertata, e con ciò fa cadere, logicamente, ogni questione di possesso dei M., incluso il dies a quo del preteso possesso.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis cit. art..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 8000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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