Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27178 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27178 Anno 2013
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

TONELLI s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via Ponzio Cominio n. 85, presso l’avv.
Marianna Contaldo, rappresentata e difesa dall’avv. Maurizio Terenzi giusta
delega in atti;

ricorrente

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

controricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n.
191/02/06, depositata 1’8 gennaio 2007.

Data pubblicazione: 04/12/2013

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1° ottobre
2013 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Immacolata Zeno, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Tonelli s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza

con la quale, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, è stata affermata la
legittimità dell’avviso di irrogazione sanzioni notificato alla società per
l’anno 1997, conseguente ad accertamento effettuato a titolo di recupero di
costi indebitamente dedotti, in quanto relativi ad operazioni di
sponsorizzazione inesistenti.
Il giudice d’appello ha ritenuto, in sintesi, che: “si è in presenza di una
reiterata azione finalizzata a rappresentare contabilmente costi fittizi
attraverso fatture emesse per operazioni inesistenti”; la presunzione, adottata
dall’Ufficio, che si fosse in presenza di società cartiere “si basa su elementi
gravi, precisi e concordanti”, trattandosi di “operatori economici privi di
locali, dipendenti, contabilità”; in conclusione, “la società committente ha
utilizzato, per diversi anni, fatture emesse da società fantasma per
sponsorizzazioni che non hanno trovato riscontro giuridicamente rilevante
nemmeno da parte dell’ultimo beneficiario”.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia omessa o insufficiente
motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il motivo è inammissibile perché non risponde ai requisiti prescritti
dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis), come
individuati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la
quale detta norma esige, in ordine alla censura di vizi di motivazione, una
chiara e sintetica indicazione — nella specie completamente mancante – del
fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. nn. 2652 e
8897 del 2008, 27680 del 2009 e numerosissime successive conformi).
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della Commissione tributaria regionale delle Marche indicata in epigrafe,

2. Col secondo motivo la contribuente si duole della violazione dell’art.
2729 cod. civ. e formula, in conclusione, il quesito “se nel processo
tributario il giudice che decide in base a presunzioni, debba o meno
avvalersi di elementi indiziari privi dei requisiti di gravità, precisione e
concordanza, ovvero gli stessi debbano o meno avere i requisiti di cui
all’art. 2729 c.c.”.
La censura è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto.

diritto deve essere formulato, ai sensi del citato art. 366 bis cod. proc. civ.,
in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così
da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris
suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello
deciso dalla sentenza impugnata, al fine, quindi, del miglior esercizio della
funzione nomofilattica: ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso
sorretto da quesito la cui formulazione si rivela inidonea a chiarire quale sia
l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale la
regola da applicare, in relazione alla concreta fattispecie (tra le altre, Cass.,
sez. un., n. 26020 del 2008 e n. 19444 del 2009; Cass. n. 774 del 2011).
3. Con la terza doglianza, la ricorrente denuncia la violazione dell’art.
654 cod. proc. pen., in relazione all’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000:
premesso che nella fattispecie sarebbe intervenuto un giudicato penale che
avrebbe accertato l’esistenza delle operazioni contestate ed altresì che la
sentenza penale sarebbe divenuta irrevocabile il 2 novembre 2004, viene
formulato il quesito “se il giudicato penale può o meno avere rilevanza in
sede di legittimità, quando si è formato dopo l’esaurimento delle fasi di
merito avanti le commissioni tributarie”.
La censura è inammissibile, sia perché il quesito di diritto si rivela
generico, alla stregua del principio sopra enunciato, sia perché essa si basa
su una circostanza di fatto — il formarsi del giudicato penale dopo
l’esaurimento delle fasi di merito — smentita dalla stessa ricorrente, dato che
alla data del 2 novembre 2004 non era ancora iniziato il giudizio di appello.
4. Col quarto ed ultimo motivo, la società lamenta la violazione dell’art.
5 del d.P.R. n. 917 del 1986 in relazione agli artt. 2727 e 2729 cod. civ.:
premesso che “vale spendere qualche parola in relazione ai ricorsi dei
singoli soci”, la ricorrente contesta che essa sia una società a ristretta base
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In base, infatti, alla costante giurisprudenza di questa Corte, il quesito di

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MATERIA TRIBUTARIA
azionaria e chiede a questa Corte “se è sufficiente il mero indizio a che
possa l’Ufficio ritenere in capo ai soci di una società di capitali la
distribuzione di utili, in conseguenza della scoperta di corrispettivi non
contabilizzati”.
Anche quest’ultimo motivo è inammissibile: in primo luogo, infatti, pure
qui il quesito è affetto dalle stesse carenze evidenziate in precedenza; in
secondo luogo, la società propone una questione chiaramente estranea alla

stessa ammette – concernente la pretesa tributaria avanzata nei confronti dei
singoli soci, rispetto alla quale la società è priva di legittimazione a dedurre.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida
in €. 2000,00 per compensi, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 1° ottobre 2013.

ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto – come la ricorrente

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