Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27167 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 28/12/2016, (ud. 26/10/2016, dep.28/12/2016),  n. 27167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SETINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6955-2015 proposto da:

COMUNE DI CAMPOBASSO, in persona del Sindaco pro tempore

B.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MATTEO CARMINE

IACOVELLI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA MOLISE CENTRALE, Ente in liquidazione, in persona

del Commissario Liquidatore, legale rappresentante p.t. avv.

M.D., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ITALO

SPAGNUOLO VIGORITA, GIUSEPPE MANCINI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 344/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 27/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato MATTEO IACOVELLI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MANCINI;

udito l’Avvocato ITALO SPAGNUOLO VIGORITA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Essendosi il Comune di Campobasso opposto alle ingiunzioni di pagamento nn. 257 e 258 del 16 gennaio 2008 che la Comunità Montana (OMISSIS) aveva emesso nei suoi confronti ai sensi del R.D. n. 639 del 1910 e del D.Lgs. n. 51 del 1998 per il pagamento dei canoni per il servizio di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani asseritamente del Comune nella discarica della Comunità (per la somma di Euro 420.684,31 oltre interessi nell’ingiunzione n. 257 e per la somma di Euro 1.929.099,77 oltre interessi nell’ingiunzione n. 258) venivano instaurati due giudizi davanti al Tribunale di Campobasso, poi riuniti e decisi con sentenza del 6 giugno 2011 che accoglieva le opposizioni, ritenendo fondata la tesi dell’opponente per cui la Comunità Montana non avrebbe il potere di determinare unilateralmente la tariffa per tali prestazioni, per cui avrebbe dovuto invece stipulare una convenzione con il Comune.

Contro tale sentenza la Comunità Montana proponeva appello, e il Comune si costituiva resistendo; con sentenza dell’11 agosto – 27 novembre 2014 la Corte d’appello di Campobasso ha accolto l’appello, respingendo quindi le opposizioni e condannando l’appellato, tenuto conto di quanto nel frattempo aveva pagato alla Comunità, a pagare all’appellante la somma di Euro 1.249.784,08, oltre interessi e spese dei gradi.

2. Ha presentato ricorso il Comune di Campobasso, sulla base di due motivi. Si difende con controricorso la Comunità Montana (OMISSIS).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato.

3.1 I primo motivo – che, a ben guardare, è l’unica effettiva censura, poichè il secondo si limita a trarre le conseguenze dell’accoglimento del primo in termini di spese processuali denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17 e 15 e L. n. 241 del 1990, art. 11 D.P.R. n. 158 del 1999, art. 3, D.Lgs. n. 36 del 2003, artt. 14 e 15, D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 195 e 238 (Codice dell’ambiente), D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 117, 194 e 42 (TUEL) e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49.

Lamenta il ricorrente che il giudice d’appello ha attribuito alla Comunità Montana il potere di determinare autonomamente la tariffa in questione riferendosi a norme di cui però nessuna le riconoscerebbe tale potere di determinare il corrispettivo del Comune – che conferisce i rifiuti nella discarica – per il servizio; e in genere nessuna di tali norme conferirebbe il potere di obbligare un altro ente pubblico senza stipulare un apposito contratto scritto. Vengono richiamati il R.D. n. 2440 del 1923, art. 16 – che nei primi quattro commi regola la stipulazione dei contratti da parte di un pubblico ufficiale in rappresentanza della P.A. – e R.D. n. 2440 del 1923, art. 17 che regola le forme dei contratti a trattativa privata, oltre a quelli di forma pubblica amministrativa di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 16 -. Viene altresì invocato la L. n. 241 del 1990, art. 15 laddove statuisce che “le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”, accordi che, in forza dell’art. 11 alla stessa legge, necessitano forma scritta. Ancora, si richiama l’art. 30 TUEL trovandovi di ciò conferma, in quanto stabilisce: “Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni”. Ad avviso del ricorrente tutte queste norme sarebbero state violate dalla sentenza impugnata.

Inoltre – rileva il ricorrente – dovrebbe tenersi conto che è in questione il servizio di smaltimento di rifiuti in discarica reso dalla Comunità Montana come rapporto giuridico tra Comunità e Comune, e non – come in sostanza avrebbe frainteso il giudice d’appello – il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani che presta il Comune ai suoi cittadini, cui attiene l’art. 238 Codice dell’ambiente, invocato nella sentenza. La corte territoriale ha invocato altresì il D.P.R. n. 158 del 1999, che riguarderebbe invece, agli artt. 3-6, il rapporto tra utente-produttore ed ente gestore del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti, e dunque non concernerebbe il rapporto tra il Comune, titolare di quest’ultimo servizio nel suo territorio, e l’ente gestore di discariche di smaltimento. A quest’ultimo rapporto si riferirebbe, trattando dei “costi di smaltimento dei rifiuti nelle discariche”, solo il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 15 che per lo smaltimento si riferisce a un “prezzo corrispettivo”, indicandone i criteri di determinazione, ma senza attribuire alcun potere impositivo. L’art. 117, comma 2 TUEL sulle tariffe dei servizi – nota ancora il ricorrente – attiene poi a contratti di programma poliennale, e l’art. 201 TUEL si limita a dettare criteri per la determinazione delle tariffe dei servizi. D’altronde, a differenza di quanto pure ritiene il giudice d’appello, il ricorrente nega di aver mai riconosciuto il potere della Comunità Montana quando ha versato ad essa alcune somme.

3.2 La questione addotta dal motivo, e costituente l’oggetto della controversia che è stato valutato in modo opposto dai giudici di merito, è se la Comunità Montana ha o meno il potere di imporre unilateralmente al Comune una tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani che il Comune raccoglie da chi li ha prodotti nel suo territorio e li trasporta appunto per lo smaltimento alla discarica di proprietà e gestione della Comunità Montana (la discarica, si nota per inciso, che in base alla normativa regionale è obbligatorio sia la destinazione dei suddetti r.s.u. e quindi luogo del loro smaltimento).

Il centro della questione, che è stato in effetti frainteso dalla corte territoriale, è proprio la identificazione dell’attività – e del discendente rapporto – della Comunità Montana nei confronti del Comune.

Il giudice d’appello, in sintesi, rileva che la gestione dei rifiuti urbani costituisce un pubblico servizio e che la Comunità Montana (OMISSIS), in forza della L.R. Molise n. 6 del 1984, ha il compito di realizzare e gestire i propri impianti di smaltimento (di tale Comunità, che ha comunque – nota la corte territoriale – una propria personalità giuridica, faceva parte fino al 31 dicembre 2001 il Comune di Campobasso). Quindi la Comunità effettua l’esercizio della “potestà tariffaria che le compete quale ente pubblico” (e non semplice gestore) e proprietario della discarica. Richiama il dato che, prima del c.d. Decreto Ronchi – il D.Lgs. n. 22 del 1997 -, il contributo dell’utente del servizio pubblico (tale è lo smaltimento dei rifiuti) era normativamente qualificato “tassa”, e sostiene che il regime tariffario di cui all’art. 49 del suddetto decreto, recepito poi nell’art. 238 Codice dell’ambiente, non l’ha trasformato in un mero corrispettivo. Afferma altresì che il sistema non lascia discrezione neppure alla pubblica amministrazione e che “logico corollario della qualificazione dell’attività di smaltimento come servizio pubblico” è la spettanza del potere di determinare la tariffa, in difetto di Autorità di Ambito, all’ente pubblico titolare del servizio, secondo i criteri di cui al D.P.R. n. 158 del 1999, art. 3, D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 15 art. 238 Codice dell’ambiente nonchè artt. 117 e 201 TUEL. Ne deduce che non vi è spazio per alcuna convenzione, come invece ritenuto dal Tribunale erroneamente interpretando il D.P.R. n. 158 del 1999, art. 3.

Il giudice d’appello, peraltro, pretermette un dato logicamente, prima ancora che giuridicamente, centrale: e cioè che il pubblico servizio viene prestato al produttore dei rifiuti solidi urbani, nei confronti del quale, pertanto, l’ente pubblico che lo esercita ha il potere tariffario, sul cui esercizio – di pubblica potestà, appunto – il produttore dei rifiuti non può incidere. La normativa, infatti, che viene invocata dalla corte territoriale per sostenere la pretesa potestà della Comunità Montana nei confronti del Comune di Campobasso concerne proprio – lo illustra ampiamente nel ricorso il Comune – la potestà tariffaria nei confronti del produttore dei rifiuti urbani.

Il Comune, nel caso in esame, non si rapporta nei confronti della Comunità Montana come diretto produttore di rifiuti solidi urbani, e perciò non fruisce, come suo utente, di un servizio pubblico. Pertinenti alla fattispecie sono, a ben guardare, gli artt. 117 e 34 TUEL.

L’art. 117 TUEL, rubricato “Tariffe dei servizi”, al comma 2 espressamente statuisce: “La tariffa costituisce il corrispettivo dei servizi pubblici; essa è determinata e adeguata ogni anno dai soggetti proprietari, attraverso contratti di programma di durata poliennale, nel rispetto del disciplinare e dello statuto conseguenti ai modelli organizzativi prescelti”. E’ evidente il riferimento – pur essendo qualificati “contratti” anzichè “accordi”: ma la discrasia è qui puramente formale – all’art. 34 TUEL, “Accordi di programma”, che, al comma 1 così recita: “Per la definizione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria prevalente sull’opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma… per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento”. L’originaria configurazione dell’accordo di programma era già rinvenibile nella L. n. 241 del 1990, art. 15 legge abrogata dall’art. 274 TUEL: e come insegna il giudice nomofilattico (v. per tutte S.U. 14 giugno 2005 n. 12725) si tratta di uno strumento che si fonda “sul consenso unanime delle amministrazioni interessate per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata… di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune” (così, in motivazione, l’arresto appena citato).

Emerge dagli atti, invero, che si è dinanzi proprio ad un intervento pubblico di gestione dei rifiuti solidi urbani attuato attraverso più enti pubblici tra cui sono ripartite le funzioni necessarie. L’intervento si compone della raccolta dei rifiuti solidi urbani apprendendoli da chi li produce, cioè dall’utente del servizio (1), del trasporto dei rifiuti stessi nel luogo di smaltimento, cioè la discarica (2) – funzioni, queste, di raccolta e trasporto che sono svolte dal Comune -, e infine dello smaltimento dei rifiuti stessi attraverso l’utilizzazione gestionale della discarica (3) – funzione, quest’ultima, svolta dalla proprietaria della discarica, cioè la Comunità Montana -.

Il Comune di Campobasso, pertanto, non è qualificabile come fruitore, bensì è interveniente nel servizio al pari della Comunità Montana, differendosi le loro posizioni soltanto in rapporto alle funzioni diverse attribuite. Condivisibilmente pertanto il Comune ha chiesto la stipulazione di una convenzione con la Comunità Montana, convenzione che, in base alla normativa appena citata, deve qualificarsi accordo di programma, diretto al migliore funzionamento possibile dell’intervento pubblico, oltre che alla determinazione dei costi dell’intervento stesso e della loro attribuzione agli enti nell’intervento coagenti. Non essendovi stato alcun accordo, bensì avendo la Comunità Montana unilateralmente determinato il costo che avrebbe dovuto sostenere il Comune, risulta chiaro, assorbito ogni altro profilo, che illegittima è stata l’irrogazione da parte della Comunità Montana al Comune delle ingiunzioni cui quest’ultimo si è opposto, laddove al contrario la Comunità Montana avrebbe avuto l’obbligo di stipulare un accordo con l’ente con essa coagente nel pubblico servizio dei rifiuti, cioè, appunto, il Comune di Campobasso.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, cassando la sentenza impugnata: e altresì, sussistendone i presupposti, deve essere assunta decisione nel merito, rigettando quindi l’appello e confermando la sentenza di primo grado che correttamente ha accolto l’opposizione alle due ingiunzioni de quibus, facendole venir meno. Pertanto deve condannarsi il controricorrente – come è stato evidenziato dal ricorrente in quello che impropriamente ha definito secondo motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 denunciante violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., – alla rifusione a controparte delle spese processuali del secondo grado, oltre alla rifusione di quelle del grado presente, tutte liquidate come da dispositivo.

PQM

Cassa l’impugnata sentenza e decidendo nel merito rigetta l’appello, condannando il controricorrente a rifondere a controparte le spese processuali del secondo grado, liquidate in Euro 20.000, per compensi professionali oltre al 15% di spese come per legge, nonchè le spese processuali del presente grado, liquidate in Euro 17.200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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