Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27166 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 27/11/2020), n.27166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 178/2020 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, DIPARTIMENTO PER LE LIBERTA’ CIVILI E

L’IMMIGRAZIONE – DIREZIONE CENTRALE DEI SERVIZI CIVILI PER

L’IMMIGRAZIONE E L’ASILO – UNITA’ DUBLINO, in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12, ope legis;

– ricorrente –

contro

I.M.I.;

– intimato –

avverso il decreto n. 23854/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

20/11/2019 r.g.n. 21398/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

M.I.I. cittadino (OMISSIS), impugnava dinanzi al Tribunale di Roma il provvedimento in data 19/2/2018 notificato il 2/5/2018 con il quale il Ministero dell’Interno aveva disposto il suo trasferimento in. Austria, Stato presso cui aveva in precedenza presentato domanda di protezione internazionale. Costituitosi, il Ministero chiedeva il rigetto del ricorso.

Il giudice adito, con decreto reso pubblico il 20/11/2019, in accoglimento del ricorso, annullava il provvedimento amministrativo de quo e compensava fra le parti le spese di lite.

Nel pervenire a tali conclusioni il giudice collegiale osservava che il Ministero aveva dedotto di aver garantito le informazioni e svolto il colloquio di cui agli artt. 4 e 5 del Regolamento di Dublino, producendo a sostegno della allegazione, un modulo prestampato recante l’intestazione “colloquio personale”, sottoscritto da un mediatore culturale non specificamente identificato. Tuttavia, nel verbale in questione non si dava atto “di aver fornito oralmente al ricorrente le informazioni previste dall’art. 4 del regolamento di Dublino nè di aver consegnato l’opuscolo informativo allegato al regolamento UE di esecuzione del regolamento di Dublino n. 118/2014”.

Il verbale del colloquio da svolgersi in lingua conosciuta dal richiedente secondo il regolamento, e costituito da un modulo prestampato a risposta necessaria da riempire con crocette, non dava conto della lingua nella quale si era svolto il colloquio ed era stato sottoscritto da un mediatore culturale che aveva apposto una firma illeggibile, non identificato nel corpo dell’atto, in assenza di attestazione della lingua nella quale sarebbe stata svolta l’attività di mediazione culturale.

Il documento non consentiva, dunque, al giudicante di verificare il concreto rispetto delle garanzie partecipative sancite dagli artt. 4 e 5 regolamento n. 604/2013, che sancivano rispettivamente il dovere delle competenti autorità di fornire previamente per iscritto in una lingua che il richiedente comprende o si suppone sia a lui comprensibile, una serie di informazioni funzionali alla partecipazione effettiva e consapevole alla procedura relativa al riconoscimento della procedura internazionale (art. 4), e di effettuare un colloquio personale.

Avverso tale decisione il Ministero dell’Interno interpone ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 Reg. U.E. n. 604/2013 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che l’Amministrazione ha pienamente assolto ai propri oneri istruttori mediante l’assunzione delle dichiarazioni verbalizzate in fase di colloquio personale ai sensi dell’art. 5 Regolamento n. 604/2013 e di compilazione del modello C3 Secante le stesse informazioni del modulo sul colloquio personale nonchè ulteriori informazioni rilevanti in fase di formalizzazione della richiesta di protezione internazionale.

Si fa presente di avere consegnato l’opuscolo informativo come previsto dall’art. 4 reg. 604/2013 come confermato dal richiedente mediante la sottoscrizione apposta in calce al modello dal richiedente e dall’interprete.

Si osserva da ultimo che il ricorso avverso il decreto di trasferimento non può fondarsi sulla nullità dell’atto per violazione delle garanzie informative ove tale ipotizzata violazione non abbia comportato, così come nella specie, una reale impossibilità per il ricorrente, di fornire elementi utili che avrebbero portato a stabilire la competenza di un diverso Stato membro. Ciò in considerazione altresì del fatto che il regolamentó UE n. 604/2013 non prevede alcuna sanzione di nullità o inefficacia dei provvedimenti adottati in violazione degli obblighi informativi dallo stesso sanciti.

2. Il motivo è inammissibile.

S’impone l’evidenza del difetto di specificità della censura che non reca la trascrizione dei documenti ivi richiamati (verbale dichiarazioni rese dal ricorrente in fase di colloquio, modello C3 compilato, opuscolo informativo).

Secondo i principi affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, vedi Cass. 13/11/2018 n. 29093, Cass. 4/10/2018 n. 24340).

Il principio di specificità del ricorso, di cui quello di autosufficienza è precipitato processuale, è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne derivai che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro.

3. L’Amministrazione, peraltro, neanche specificamente censura la statuizione con la quale il Collegio giudicante ha riscontrato la mancata indicazione della lingua nella quale era stato condotto il colloquio e la mancata identificazione del mediatore culturale, limitandosi ad argomentare di aver osservato le garanzie informative sancite dall’art. 5 Regolamento UE n. 604/2013 al fine di garantire la comprensione di tutte le informazioni da parte del richiedente nell’ambito di una procedura amministrativa in presenza di un pubblico ufficiale essendo pertanto evidente che “il colloquio si sia svolto in una lingua comprensibile al ricorrente”, alla presenza di un interprete, come dimostrato dalla sottoscrizione del verbale da parte del richiedente.

La critica risulta infatti modulata, genericamente ed inammissibilmente, sull’asserito rispetto delle regole sancite dalle disposizioni di cui agli artt. 4 e 5 del regolamento UE n. 604/2013, che è stato invece, motivatamente escluso dalla richiamata decisione in coerenza con i principi affermati da questa Corte secondo cui la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chiede protezione internazionale ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali (vedi Cass. S.U. 30/3/2018 n. 8044); in tale prospettiva la specifica informativa del richiedente è stata correttamente valorizzata dal giudice del merito che ha ad essa conferito valenza di elemento essenziale al fine di assicurare la comprensione della procedura e consentire una tempestiva impugnazione, con statuizione che non risulta validamente inficiata dalla Amministrazione ricorrente.

4. In definitiva deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione va emessa in ordine alle spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Non sussistono, infine, i presupposti per il versamento, da parte dell’amministrazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi delle norme appena richiamate – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1-bis, non può infatti aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (vedi, per tutte: Cass. 14/3/2014, n. 5955, Cass. 5/11/2014 n. 23514, Cass. 9/8/2016 n. 16667).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

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