Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27165 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 23/10/2019), n.27165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14778-2018 proposto da:

ENEL PRODUZIONE SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 14, presso lo

STUDIO LEGALE TRIBUTARIO DI TONNO ASSOCIATI, rappresentata e difesa

dagli avvocati ROSAMARIA NICASTRO, ENRICO PAULETTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4527/25/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata

il 09/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che l’Ufficio emetteva un provvedimento di attribuzione della rendita in riferimento ad un’unità immobiliare adibita a centrali elettriche e la Commissione Tributaria Regionale annullava gli atti attributivi emessi dall’Agenzia delle entrate per decadenza della stessa Agenzia;

rilevato che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4124 del 2013, cassava con rinvio ritenendo che il provvedimento fosse sufficientemente motivato e la Commissione Tributaria Regionale in sede di giudizio di rinvio in riforma rigettava il ricorso della società contribuente, la quale lamentava la carenza di prova in relazione ai maggiori valori accertati dall’Ufficio e l’incongruità della rendita catastale;

che in particolare la Commissione Tributaria Regionale evidenziava che il compendio immobiliare non può essere astratto rispetto alla complessità delle parti tecniche e meccaniche, le quali hanno implementato il valore dell’edificio in quanto tali elementi tecnici e meccanici risultano essere incorporati all’opificio e non separabili;

che la società contribuente proponeva ricorso affidato ad un motivo mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la società contribuente denuncia l’illegittimità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto nel precedente grado di giudizio la società ha eccepito, nell’unico motivo del ricorso per riassunzione avanti alla CTR, l’illegittimità dell’atto di rettifica della rendita catastale per carenza della prova in relazione ai maggiori valori attribuiti dall’Ufficio e l’incongruità della rendita catastale attribuita;

ritenuto che il motivo di ricorso è infondato in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente e coerentemente risposto alle doglianze del contribuente, allo stesso tempo rifacendosi ai principi di diritto – che comportavano valutazioni di carattere eminentemente probatorio – statuiti dalla citata sentenza della Cassazione n. 4124 del 2013, in quanto ha esaurientemente motivato in merito all’attribuzione di una nuova rendita di un’unità immobiliare adibita a centrale elettrica evidenziando che il compendio immobiliare non può essere astratto rispetto alla complessità delle parti tecniche e meccaniche, le quali hanno implementato il valore dell’edificio in quanto tali elementi tecnici e meccanici risultano essere incorporati all’opificio e non separabili;

ritenuto peraltro che il motivo di ricorso – formalmente prospettato come violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – nel lamentare la carenza della prova lamenta in realtà un vizio di motivazione (e la Cassazione ha affermato, in questo stesso giudizio, che l’avviso di accertamento nella specie, l’avviso di classamento – è motivato a sufficienza appunto proprio per escludere la sussistenza di un vizio di motivazione) e sottopone alla Corte questioni di fatto o comunque questioni giuridiche che implicano accertamenti di fatto, ed è stato affermato da questa Corte: che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404); che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); che, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione o di una determinata circostanza dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto ed in quale sede e modo la circostanza sia stata provata o ritenuta pacifica, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 21 novembre 2017, n. 27568); del resto nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319);

ritenuto pertanto che il ricorso è infondato e che le spese seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara il ricorso infondato e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 5.000, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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