Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27161 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 27161 Anno 2013
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

Imposte dirette redditi
di
capitale

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCALISE PIETRO, rappresentato e difeso dall’avv. Roberto Modena,
presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma alla via
Monte delle Gioie n. 23;
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,

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presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;
– controcorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
della Liguria, sezione 19, n. 78, depositata il 22 dicembre
2005;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 9 maggio 2013 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito l’avv. Roberto Modena per la ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Giulio Romano, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Data pubblicazione: 04/12/2013

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Pietro Scalise impugnò l’avviso di accertamento con il
quale veniva rettificata la dichiarazione dei redditi relativa
all’anno 1997, recuperandosi a tassazione, ai fini dell’IRPEF e
dell’ILOR, redditi di capitale, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917, relativi ai rendimenti di somme
affidate per investimenti a tale Sig. Carlo Mereta,
successivamente fallito ed inquisito per truffa ai danni dei
La Commissione tributaria provinciale

di

Genova ha accolto

il ricorso del contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Liguria, invece,
accogliendo in parte l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha
riconosciuto la legittimità del recupero, ma soltanto con
riferimento alle somme ritenute effettivamente percepite dalla
contribuente (“limitatamente agli importi degli assegni incassati
dal contribuente e depositati in atti”). Non potevano assurgere a
prova della produzione del reddito le sole scritture contabili
del Mereta, in mancanza di ulteriori conferme, come ad esempio
l’esistenza di prelevamenti suffragati da corrispondenti assegni.
Nei confronti della sentenza il contribuente propone
ricorso sulla base di due motivi, illustrati con successiva
memoria.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
MOTIVI DEILADECISICNE

Va anzitutto disatteso il giudicato esterno, opposto dal
contribuente, costituito da decisioni di merito – delle quali non
si documenta la definitività relative all’accertamento di
imposte dirette per periodi d’imposta diversi, e quindi a fatti
non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da anno
ad anno (Cass. sez. un., 16 giugno 2006, n. 13916).
Con il primo motivo del ricorso, denunciando violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e
dell’art. 42 del tuir, nonché vizio di motivazione, il
contribuente prospetta una censura di merito, come tale
inammissibile, relativa alla valutazione di attendibilità della
documentazione contabile del Mèreta, in base alla quale il
giudice d’appello avrebbe ritenuto provato che alcune somme siano

2

risparmiatori.

state corrisposte allo Scalise a titolo di interessi. Il motivo è
anche infondato nella parte in cui denuncia la contraddittorietà
della motivazione, laddove dopo avere ritenuto inattendibile la
documentazione del Mereta, dà credito alla tesi della
corresponsione degli interessi, sulla base della indicazione
degli assegni con i quali sono stati effettuati i versamenti, a
differenza delle somme imputate soltanto in contabilità. E
evidente, infatti, che mentre la semplice annotazione in
registrazioni, il pagamento può considerarsi provato sulla base
della produzione della fotocopia del relativo assegno, non
contestata.
Questa Corte ha infatti affermato che “in tema di IRPEF,
gli interessi maturati periodicamente sulle somme affidate in
gestione patrimoniale ad un promotore finanziario e che non siano
materialmente percepiti dal cliente, ma soltanto contabilizzati a
credito in schede nominative e tabulati riferiti a detto
creditore, non costituiscono reddito di capitale, desumendosi
dall’art. 42 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo
“ratione temporis” vigente) che gli interessi entrano a far parte
del reddito imponibile solo se messi nella disponibilità concreta
ed effettiva del creditore, il quale li abbia materialmente
incamerati o ne abbia comunque disposto o sia stato messo nelle
condizioni di farlo a suo piacimento” (Cass. n. 9202 del 2011, n.
22980 del 2010).
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., 1823, 1825,
1834 e 1852 cod. civ., 41 e 42 tuir, assume che le schede
nominative ed i tabulati rinvenuti presso il promotore
finanziario non sarebbero idonei a far presumere la percezione di
interessi, utili o altri proventi.
La censura non coglie nel segno, atteso che il giudice
d’appello non ha ritenuto idonea la presunzione di percezione
basata sui documenti contabili del promotore, ma ha ritenuto
effettivamente percepite solo le somme risultanti anche dagli
assegni incassati, e depositati in atti.
Il ricorso va pertanto rigettato.

3

contabilità non può costituire prova se non contro l’autore delle

2 I n6
– N. 5

Ai

MATERIA TRIBUTARIA

In considerazione della peculiarità della fattispecie,
dalla quale traspare la natura della vicenda, le spese del
giudizio vanno compensate fra le parti.
P .Q .M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma il 9 maggio 2013.

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