Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2716 del 02/02/2017

Cassazione civile, sez. III, 02/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2716

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 538-2014 proposto da:

L.V. (OMISSIS), M.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA T SALVINI 2 A, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI PEDRETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato

ALESSANDRO CIACCIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GENERALI ITALIA SPA conferitaria del ramo d’azienda assicurativo,

della Direzione per l’Italia di ASSICURAZIONI GENERALI SPA, in

persona dei suoi procuratori speciali e legali rappresentanti pro

tempore, sigg.ri P.V. e D.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO GELLI, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 947/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 01/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato GABRIELE DI GENESIO PAGLIUCA per delega;

udito l’Avvocato PILADE PERROTTI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 27 agosto-1 ottobre 2013 la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto da M.R. e L.V. avverso sentenza del 17 gennaio 2007 con cui il Tribunale di Avezzano aveva respinto la loro domanda (proposta in primo grado da M.R. quale legale rappresentante del figlio minorenne L.V.) di condannare Generali Assicurazioni S.p.A. a pagare l’indennizzo contrattualmente stabilito quale derivante da infortunio subito dal minore giocando a pallacanestro a scuola il 28 febbraio 2003, in forza di contratto di assicurazione per infortuni; domanda respinta per decorso della prescrizione annuale ex art. 2952 c.c. del diritto all’indennizzo.

2. Hanno presentato ricorso M.R. e L.V. sulla base di tre motivi sviluppati poi anche in memoria ex art. 378 c.p.c. -, da cui si è difesa con controricorso Generali Italia S.p.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2952 c.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Avrebbe errato il giudice d’appello nell’individuare i criteri di determinazione del dies a quo del termine prescrizionale ex art. 2952 c.c. della assicurazione contro gli infortuni per avere “ritenuto che non fosse l’evento del consolidamento dei postumi (peraltro non del tutto cessati ancor oggi), comunque certificato nella perizia di parte del dott. R. nel luglio 2004, a costituire il momento di inizio della decorrenza… bensì quello diverso della cessazione del invalidità temporanea”. Ciò sarebbe contraddittorio e illogico, perchè “i postumi permanenti sono solo eventuali e suscettibili di ulteriore evoluzione” che la scienza medica non può “quantificare compiutamente”, a parte che tali postumi possono in seguito anche “alleggerirsi”. Irragionevole sarebbe quindi l’identificazione da parte del giudice d’appello del dies a quo.

L’iter seguito dall’assicurato non avrebbe potuto poi esaurirsi nella comunicazione iniziale dell’evento, essendo necessario “accertare in modo definitivo, concreto ed oggettivo, i postumi permanenti dell’infortunio”. Si richiama quindi giurisprudenza nel senso che la decorrenza non si colloca nella data dell’evento dannoso, bensì prende le mosse solo quando si consolidano postumi. Tale regola sarebbe confermata dal principio di ragionevolezza, dal canone di buona fede e correttezza contrattuale e anche dall’art. 7.1 del contratto, per cui “il decorso dall’infortunio deve essere documentato da ulteriori certificati sino a guarigione avvenuta”. Per di più sarebbe possibile che la certificazione di invalidità permanente del 7% effettuata dal dottor R. nel luglio 2004 “e dalla quale decorreva al termine prescrizionale” “fosse foriera…di aggiornamento in senso migliorativo per l’assicurazione, così come in senso peggiorativo”: per questo dovrebbe individuarsi il consolidamento dei postumi come dies a quo.

Il giudice d’appello avrebbe inoltre errato perchè, “ignorando la giurisprudenza più recente, non ha affrontato il problema delle ulteriori risultanze processuali, travisando così la vicenda e i fatti” e non tenendo conto che la compagnia assicuratrice non ha contestato la perizia R. e le altre certificazioni, e non si è avvalsa della facoltà, contrattualmente prevista, di fare visitare da un suo medico l’infortunato. Dovrebbe pertanto applicarsi il principio di diritto per cui la prescrizione decorre “dalla stabilizzazione dei postumi”, che qui la compagnia assicuratrice non avrebbe contestato nel merito, con condotta valutabile ex art. 115 c.p.c..

Il motivo, pur variamente argomentato come si è appena evidenziato, si impernia in realtà esclusivamente sulla identificazione del dies a quo del termine prescrizionale di cui all’art. 2952 c.c. in relazione al diritto dell’assicurato all’indennità da infortunio, identificazione che il giudice d’appello avrebbe errato nel compiere.

Si tratta, a ben guardare, di una riproposizione del primo motivo d’appello, in cui gli attuali ricorrenti sostenevano proprio che la prescrizione del diritto all’indennizzo per invalidità permanente avrebbe potuto decorrere solo dall’accertamento medico-legale svolto con la relazione del 20 luglio 2004 dal dottor R.C., che aveva consentito di individuare precisamente i postumi dell’infortunio. E anche in quella doglianza si adduceva la violazione di disposizioni contrattuali.

La corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui “la fattispecie costitutiva del diritto all’indennizzo si perfeziona solo nel momento in cui l’evento lesivo o morboso si traduca o si evidenzi in uno dei fatti coperti dalla garanzia assicurativa” e per cui altresì, quanto alla invalidità permanente, “il termine iniziale di prescrizione va individuato nella compiuta manifestazione del postumo invalidante, divenuta realtà obiettiva”, che non si identifica quindi nel momento della valutazione di tale grado di invalidità da parte del medico. Da ciò il giudice d’appello ha dedotto che, proprio sulla base di quanto emergente dalla suddetta relazione, essendo derivato dall’infortunio un periodo di malattia di 90 giorni, doveva identificarsi il dies a quo nella conclusione di tale periodo, cioè il 28 maggio 2003, e non quando fu effettuata la valutazione medico legale sull’entità dei postumi, non ostando le disposizioni contrattuali attinenti a diversa fattispecie (motivazione, pagine 5-8).

L’interpretazione dell’art. 2952 c.c. adottata dalla corte territoriale correttamente si rapporta a un inequivoco frutto dell’insegnamento nomofilattico (da ultimo Cass. sez. 3, 15 luglio 2016 n. 14420: “In tema di assicurazione contro gli infortuni, da cui derivino postumi di invalidità di carattere permanente, il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo decorre, ex art. 2952 c.c., comma 2, dal verificarsi dell’evento lesivo previsto dalla polizza e, dunque, dal momento in cui emerga lo stato di invalidità permanente coperto dalla stessa”; conformi Cass. sez. 3, 22 febbraio 2002 n. 2587, Cass. sez. 3, 13 febbraio 1998 n. 1563 e Cass. sez. 3, 17 aprile 1992 n. 4735 – tutte citate anche dal giudice d’appello -; e sulla stessa linea cfr. Cass. sez. 1, 11 maggio 1994 n. 4596). Non si vede, quindi, in che avrebbe errato il giudice d’appello, da ciò discendendo la non accoglibilità del motivo.

3.2 Il secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo. Nessuna delle due sentenze di merito avrebbe menzionato il “motivo di doglianza” proposto “fin dall’atto introduttivo del giudizio” dagli attuali ricorrenti, cioè l’applicazione nel caso di specie dell’art. 4.1 del contratto, che così il motivo riporta: “In caso di invalidità permanente verificatasi – anche successivamente alla scadenza della polizza entro due anni dal giorno dell’infortunio, la società liquida un’indennità calcolandola sulla somma assicurata per invalidità permanente totale (L. 120 milioni) in relazione al grado di invalidità accertato (7%)”. La ratio di questa clausola sarebbe identificabile “nella peculiarità e nella maggiore complessità insita nell’accertamento dei postumi da invalidità permanente, rispetto a quella temporanea” e nel fatto che gli assicurati erano dei consumatori, per cui in ipotesi di dubbio l’interpretazione del contratto dovrebbe essere a loro favore. Il contratto, inoltre, ai sensi dell’art. 1366 c.c., dovrebbe essere interpretato secondo buona fede. Applicando allora “la più favorevole prescrizione biennale prevista dalla suddetta disposizione contrattuale” l’evento dannoso rientrerebbe entro il termine prescrizionale.

Il motivo mira a fondare una determinazione del dies a quo diversa rispetto a quella operata dal giudice d’appello sull’art. 4.1 del contratto, clausola che, appunto, se fosse di dubbio significato, dovrebbe essere intesa a favore dei ricorrenti. Anche qui vi è una riproposizione, almeno parziale, della prima doglianza avanzata nel gravame di merito: e, infatti, si era già notato che il giudice d’appello – cui erano stati proposti l’art. 7 delle condizioni generali di contratto e l’art. 4 del contratto di assicurazione – aveva ritenuto attinenti a diverse fattispecie le disposizioni contrattuali invocate. E invero, è del tutto evidente – e quindi senza comunicare alcun dubbio – che l’art. 4.1 si riferisce all’ipotesi di consolidamento dei postumi permanenti successivi alla scadenza della polizza, rilevando appunto nel caso in cui tale scadenza sia avvenuta, ma rimanendo comunque conforme alla legge nell’identificare il momento del consolidamento in invalidità permanente dei postumi dell’infortunio come dies a quo prescrizionale del diritto all’indennità.

Il motivo è pertanto infondato.

3.3 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle clausole ex artt. 1175 e 1375 c.c..

Avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere irrilevante e infondata la dedotta violazione di tali norme. Si sarebbe creato un legittimo affidamento da parte degli assicurati per non avere Generali disposto accertamento medico-legale. Anche in questo motivo si ribadisce che si trattava comunque di consumatori, e si rimarca che diritti ed obblighi non possono mai prescindere dal rispetto dei canoni di correttezza e buona fede.

Si tratta della riproposizione del secondo motivo d’appello, che comunque non presenta alcuna consistenza, in quanto mira ancora una volta a superare l’insegnamento chiaro e consolidato di questa Suprema Corte sulla identificazione del dies a quo prescrizionale nel momento in cui si realizzano i postumi permanenti.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solidarietà per il comune interesse processuale – alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, stesso art..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 5800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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