Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27157 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. III, 06/10/2021, (ud. 12/04/2021, dep. 06/10/2021), n.27157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele G. A. – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27457-2018 proposto da:

S.W.H.G., rappresentato e difeso dall’avvocato

FABIO TULONE ed elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLE

NAVI, 30, presso lo studio dell’avvocato ORESTE MICHELE FASANO, pec:

fabiotulone.pecavvpa.it;

– ricorrente –

contro

W.A., rappresentata e difesa dall’AVVOCATO ELENA MORO ed

elettivamente domiciliata presso lo studio della medesima Pec:

elena.moro.cert.ordineavvocatibarcello na.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 570/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2021 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che:

1. W.A., con atto notificato in data 9/4/2003, intimò sfratto per morosità a W.S. e lo citò per la convalida dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, esponendo che il convenuto non aveva mai provveduto a pagare il pattuito canone per la locazione di un immobile sito in Leni, di cui essa W. era proprietaria.

2. Nel contraddittorio con il convenuto l’adito Tribunale, con sentenza n. 25/2004, rigettò la domanda, ritenendo che la W. non avesse fornito prova del titolo per subentrare nel contratto di locazione stipulato da W.S. con terzi, né avesse dato prova del proprio diritto di proprietà sul bene.

3. Ad eguale conclusione pervenne anche la Corte d’Appello di Messina, che, nel contraddittorio tra le parti, con sentenza n. 102/2006, rigettò l’impugnazione proposta dalla W. e compensò le spese del grado.

4. La sentenza fu cassata da questa Corte, con pronuncia n. 13883/2010, con la quale si ritenne che, a causa di un parziale esame dei documenti probatori, la Corte di merito fosse pervenuta ad un erroneo convincimento circa l’esistenza del rapporto di locazione.

5. Con atto di citazione notificato il 26/01/2011 nelle forme previste dall’art. 143 c.p.c., la W. riassunse la causa dinanzi alla Corte d’Appello di Messina chiedendo che, dichiarata sussistente la morosità, fosse convalidato lo sfratto o comunque dichiarata la risoluzione del contratto di locazione stante il grave inadempimento dello S..

Lo S. si costituì giudizio in data 25/11/2015 eccependo la nullità della notifica dell’atto di riassunzione e chiedendo che fosse conseguentemente dichiarata l’estinzione del giudizio e disposta la cancellazione della causa dal ruolo. Nel merito chiese che fosse dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta usucapione del bene.

6. La Corte d’Appello di Messina, con sentenza n. 570 del 18/7/2017, ha accolto le domande proposte dalla W., dichiarando la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento del conduttore, ordinando l’immediato rilascio del bene e condannando lo S. al pagamento dei canoni scaduti e a scadere. Per quanto ancora qui di interesse la Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di estinzione del processo ed ha, sul punto, ritenuto che la notifica effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., costituisse espressione dell’ordinaria diligenza della notificante e che, in ogni caso, la nullità della notifica era stata sanata dalla costituzione del convenuto ai sensi del combinato disposto degli artt. 160 e 156 c.p.c.. Nel merito ha ritenuto che la W. fosse subentrata nel lato attivo del rapporto di locazione, che fosse pacifico ed incontestato tra le parti che lo S. non avesse mai corrisposto il canone con la conseguente sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, per la condanna al rilascio del bene e per il pagamento dei canoni scaduti e a scadere.

7. Avverso tale sentenza W.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. W.A. ha resistito con controricorso.

8. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 140,143 e 392 c.p.c., comma 1, – parte ricorrente assume che, stante la mancata effettuazione delle ricerche presso l’Ufficio Consolare di cui al L. n. 470 del 1988, art. 6, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere inesistente la notifica dell’atto di citazione in riassunzione eseguita da controparte ai sensi dell’art. 143 c.p.c. e, pertanto, avrebbe dovuto dichiarare l’estinzione del processo, in ragione dell’inutile decorso del termine perentorio stabilito dall’art. 392 c.p.c., comma 1, per la riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio.

1.1 Il motivo è infondato.

Risulta che la W. aveva innanzitutto tentato (a mezzo servizio postale, in data 3/12/2010) di notificare l’atto in riassunzione allo S. all’indirizzo in via (OMISSIS) del Comune di Leni, risultante dal certificato di residenza rilasciato il 22/11/2010 dall’ufficiale di anagrafe del Comune; essendo lo S. risultato irreperibile a detto indirizzo e avendo l’ufficiale giudiziario acquisito presso il Comune di Leni il provvedimento di cancellazione dello S. dall’anagrafe della popolazione residente, l’attrice in riassunzione aveva allora proceduto alla notifica ex art. 143 c.p.c., anche in considerazione del fatto che lo S. non aveva lasciato un nuovo indirizzo o richiesto il trasferimento di residenza in altro Comune o tantomeno all’estero.

A tal riguardo, va chiarito che la non opponibilità ai terzi in buona fede del trasferimento di residenza, che non sia stato annotato nei registri anagrafici del Comune, postula che il notificante non sia in grado, usando l’ordinaria diligenza, di conoscere o di essere in grado di conoscere l’effettiva residenza, domicilio o dimora del soggetto al quale l’atto deve essere notificato. In particolare, è consentito procedere alla notificazione secondo il rito degli irreperibili previsto dall’art. 143 c.p.c., quando, dal punto di vista soggettivo, risulti l’ignoranza incolpevole del richiedente circa la residenza, domicilio o dimora del destinatario dell’atto e, dal lato oggettivo, l’esito negativo di tutte le indagini necessarie od opportune al riguardo condotte, indagini che non possono fondarsi sulle mere risultanze di una certificazione anagrafica rilasciata dal Comune. Invero, non è dubbio che il procedimento notificatorio debba soddisfare opposte esigenze che vanno bilanciate: se, da un canto, va tutelata la posizione del notificante, a favore del quale infatti opera il principio della scissione temporale fra il momento del perfezionamento rispetto a quello dell’efficacia – principio che è preordinato ad evitare eventuali decadenze non imputabili al suo comportamento – dall’altro, deve essere assicurata l’effettiva conoscenza del processo da parte del convenuto, dovendo tale finalità essere realizzata quando, indipendentemente dal difetto di annotazioni anagrafiche, sia comunque possibile la ricerca del destinatario dell’atto, usando l’ordinaria diligenza.

Quel che assume rilievo decisivo nella specie è che l’attrice in riassunzione, in assenza di annotazione nei registri d’anagrafe, avrebbe dovuto svolgere, secondo l’ordinaria diligenza, ulteriori ricerche presso l’Ufficio Consolare prima di procedere alla notificazione nelle forme dell’art. 143 c.p.c. (cfr. Cass., 3, sent. n. 17307/2015), costituendo tale Ufficio” non solo il tramite istituzionale attraverso il quale il contenuto informativo dell’adempimento degli obblighi di dichiarazione del soggetto all’estero perviene alle amministrazioni competenti alla tenuta dei menzionati registri, ma anche l’organo cui competono poteri sussidiari di accertamento e rilevazione, intesi a porre rimedio alle lacune informative derivanti dall’inerzia suddetta (cfr. Cass., 3, sent. n. 1608/2012). Ciò è tanto più vero se si considera che lo S. era notoriamente di nazionalità tedesca e, in presenza di tale informazione circa l’origine estera della persona destinataria della notifica, doveva ritenersi rientrare nell’ordinaria diligenza, esigibile da parte del notificante quale espressione di lealtà processuale, un’attività di indagine coerente con l’informazione disponibile e che avrebbe dovuto essere svolta presso l’ufficio consolare di riferimento per la verifica della nuova residenza. Per converso, non è possibile accordare rilevanza al deposito, all’interno del fascicolo di parte del giudizio di rinvio, del certificato storico rilasciato allo S. in Germania, attestante che dall’1/09/2010 egli aveva stabilito la propria residenza in (OMISSIS), atteso che tale documento, peraltro prodotto in idioma straniero e non oggetto di traduzione, era stato versato in atti successivamente all’instaurazione del giudizio di rinvio e che, comunque, il certificato di residenza rilasciato dal comune di Leni attestava che parte ricorrente fosse ancora residente in Rinella alla data del 22/11/2010.

Tuttavia, quanto detto non comporta affatto che la notifica eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., fosse tout court inesistente, perché questa Corte ha chiarito che si ha inesistenza soltanto quando le formalità imposte dalla norma siano state espletate in un luogo che non ha alcun collegamento con il destinatario determinando, altrimenti, la mera nullità della stessa (Cass., 3, n. 17307 del 31/8/2015; Cass., 1 n. 16527 del 5/8/2016).

Nel caso in esame non può dirsi che la notifica fu tentata in un luogo privo di alcun collegamento con il destinatario in quanto la stessa, eseguita con il rito degli irreperibili, fece seguito all’infruttuoso tentativo di consegna presso la residenza anagrafica.

Ne consegue che, correttamente, il giudice di merito ha valutato l’anomalia in termini di mera nullità, sanata a seguito della costituzione in giudizio dello S. in data 25/11/2015.

2. Con il secondo motivo di ricorso – omesso esame circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – parte ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia valutato alcuni elementi risultanti dagli atti processuali, tra i quali in particolare l’inadempienza dello S. al pagamento dei canoni locatizi, ai fini dell’interversione nel possesso ad usucapionem del bene.

2.1 Il motivo è inammissibile.

Invero, la censura non risulta rispondente al paradigma imposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la ricorrente non identifica un fatto ovvero i fatti il cui esame sia stato omesso dalla corte territoriale, ma, in modo, peraltro, del tutto generico si duole dell’omessa valutazione di emergenze istruttorie, sicché il motivo non presenta la struttura che deve avere il vizio ai sensi del detto paradigma secondo le note sentenze delle Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 2014, ma si risolve nella sollecitazione ad un riesame della quaestio facti non consentito nella vigenza di quel paradigma.

Si aggiunga che l’illustrazione risulta del tutto assertoria e generica ed inoltre, se si passa alla lettura della sentenza, nemmeno considera la motivazione con cui la corte ha affermato che “incontestata in atti è la circostanza che lo S. non avesse mai corrisposto il canone (…) Non vi è dubbio, allora, che si è di fronte ad un grave inadempimento che di certo legittima la risoluzione del contratto di locazione” (cfr. pagg. 8-9 sent.), nonché là dove ha chiarito che “non comporta poi cessazione alcuna dell’odierna materia del contendere la circostanza che nel 2008 lo S., sul dichiarato presupposto di un possesso ultraventennale, avesse venduto il bene” (cfr. pag. 9 sent.), nonché in generale tutto ciò che la sentenza enuncia appunto nelle pagine 8-9.

Il motivo impinge, dunque, in quanto del tutto generico e non correlato alla motivazione della sentenza impugnata anche, rispettivamente, nelle cause di inammissibilità enunciate dai consolidati principi di diritto affermati da Cass. n. 4741 del 2005 e Cass. n. 359 del 2005, ribaditi, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017.

L’inammissibilità del motivo in esame e’, peraltro, rafforzata dalla palese carenza di osservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che manca l’indicazione specifica delle stesse risultanze genericamente evocate, nonché l’indicazione specifica della sede processuale in cui sarebbero stati oggetto di discussione tra le parti (sede, peraltro nemmeno desumibile dalla narrazione dell’esposizione del fatto del ricorso).

3. Conclusivamente, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 4.100 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

 

 

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