Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27155 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. III, 06/10/2021, (ud. 12/04/2021, dep. 06/10/2021), n.27155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele G. A. – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21941-2018 proposto da:

P.L., rappresentata e difesa dall’avvocato LEONARDO

MARUZZI e con il medesimo elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE PROVINCE N 23/B, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

MARUZZI, pec: maruzzi.leonardo.avvocatifogcia.legalmail.it;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ S.G.A. S.p.A, in persona della

procuratrice speciale SISTEMIA S.p.A. e del suo legale

rappresentante, rappresentato e difeso dagli AVVOCATI ALDO LAGHI e

CORINNA MESIRCA e con i medesimi elettivamente domiciliato in Roma,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAURIELLO, in via del Tempio

n. 1 pec: aldolaghi.pec.ordineavvocatitreviso.it,

corinnamesirca.pec.ordineavvocatitrevi so.it,

claudiomaurielloordineavvocatiroma.or;

– resistente –

e

BANCA APULIA S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 20/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2021 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che:

1. Banca Apulia SpA, con atto di citazione del 30/4/2010, convenne davanti al Tribunale di Foggia D.V.M., socio e fideiussore della D.V. Motors srl, nei cui confronti vantava un credito di Euro 140.383,02, in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Foggia, non opposto e divenuto definitivo, nonché la moglie P.L., per sentir pronunciare la simulazione relativa e la dissimulazione, nonché in via gradata la revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., di una donazione stipulata in data 20/10/2009 (e dunque successivamente al sorgere del credito della banca nei confronti della società e dei fideiussori), avente ad oggetto la proprietà di beni immobili in asserita esecuzione di obblighi derivanti da separazione consensuale.

2. Il Tribunale di Foggia, con sentenza del 30/12/2011, accolse la domanda dichiarando l’inefficacia dell’atto, con le conseguenziali statuizioni. P.L. propose appello e, solo con la memoria di replica, fu prodotta in giudizio una sentenza di questa Corte dalla quale si evincevala nullità radicale dell’attività difensiva della banca per difetto di ius postulandi dei difensori nominati per il giudizio di appello, in ragione della carenza di potere di chi, in forza di un atto notarile, aveva rilasciato la procura.

3. Con sentenza n. 20 dell’11/1/2018 la Corte d’Appello di Bari ha rigettato l’appello ritenendo, per quanto ancora qui di interesse, che la produzione documentale relativa alla sentenza di questa Corte rilevante circa il difetto dello ius postulandi della banca, era tardiva e che la relativa eccezione, pur costituendo oggetto di rilievo in ogni stato e grado del giudizio, non era stata, nel caso di specie, correttamente eccepita dalla parte cui gravava il relativo onere probatorio di guisa da dover essere ritenuta inammissibile.

4. Avverso la sentenza P.L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Ha resistito con controricorso la Società per la Gestione di Attività S.G.A. S.p.A. quale cessionaria dei crediti di Banca Apulia) che invece non ha svolto attività difensiva.

Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. In via preliminare il Collegio rileva che appare evidente che il giudizio di appello si è svolto in palese violazione dell’art. 331 c.p.c., in relazione all’art. 102 c.p.c., atteso che non vi è stato evocato D.V.M..

Tuttavia, il rilievo di violazione di dette norme, che potrebbe giustificare la cassazione ai sensi dell’art. 383 c.p.c., della sentenza, è impedito dall’esistenza di una palese ragione di inammissibilità dell’unico motivo del ricorso.

1. Con l’unico motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 75 c.p.c., comma 2, art. 82 c.p.c., in relazione all’art. 2328 c.c., – la ricorrente censura la sentenza per non aver rilevato il difetto di ius postulandi della Banca Apulia in ragione di un precedente di questa Corte relativo alla stessa procura in forza della quale erano stati rilasciati i mandati ai legali della banca. La ricorrente assume di non aver potuto formulare l’eccezione nell’atto di citazione introduttivo del giudizio, perché la banca era allora difesa da altri legali, e di non aver potuto sollevare la questione neppure con l’atto di appello perché la conoscenza della procura della banca è avvenuta dopo.

1.1 Il motivo è manifestamente inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2, ed anzi, ancora prima, per manifesta mancanza di interesse della ricorrente, che si risolve nella connotazione del motivo stesso come del tutto inidoneo ad evidenziare una critica giustificante in astratto, cioè ancora prima di verifica in concreto, la cassazione della sentenza.

Occorre infatti evidenziare che viene prospettata l’esistenza di un difetto di ius postulandi della appellata nel giudizio di appello, che sarebbe stato erroneamente disconosciuto dalla corte territoriale, ma si omette di individuare in che termini esso e, dunque, il mancato riconoscimento da parte di quella corte, sarebbe stato rilevante ai fini della pronuncia della sentenza. In particolare non è rappresentato che il procuratore della banca abbia compiuto attività difensiva presa in considerazione dalla Corte d’Appello in senso decisivo per il rigetto del gravame. La Corte d’Appello ha infatti esaminato i motivi di appello, afferenti alla pretesa insussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria, mentre la difesa della banca non ha apportato alcun elemento che sia stato ritenuto decisivo per la definizione del giudizio in un senso piuttosto che in un altro. Comunque, anche se ciò fosse stato, spettava alla ricorrente, in adempimento del dovere di individuare in concreto il motivo di censura della sentenza impugnata, precisare come e perché il preteso vizio della costituzione avesse inciso sul tenore della decisione di merito, mentre nulla, sebbene in via minimale, è detto nel motivo. Si aggiunga che una simile attività non risulta articolata nemmeno sotto il profilo, che spettava sempre alla ricorrente di enunciare expressis verbis, che l’essere stata ritenuta la validità della costituzione della banca ha comportato che ad essa siano state liquidate le spese giudiziali. Infatti, non solo non è stata svolta una simile doglianza, ma nemmeno essa è stata prospettata almeno con le conclusioni, nelle quali si sarebbe potuto e dovuto chiedere la cassazione della sola statuizione sulle spese.

Nella descritta situazione il motivo di ricorso non è riconducibile al paradigma dell’art. 366 c.p.c., n. 4, che esige che la doglianza che viene prospettata come motivo di cassazione della sentenza di merito ne evidenzi l’ingiustizia in rito o nel merito (sebbene nei limiti emergenti dal paradigma dell’art. 360 c.p.c.), il che esige la dimostrazione, facente parte della stessa esposizione di ciò che viene speso come motivo, del come e del perché la doglianza stessa, in quanto denunciante un errore della sentenza, abbia inciso ai fini della sua pronuncia.

2. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti per la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, in quanto la ricorrente ha evidentemente fatto un uso abusivo del processo avendo agito del tutto pretestuosamente. Si dà altresì atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.600 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, la somma di ulteriori Euro 5.600 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello auto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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