Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27154 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/10/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 23/10/2019), n.27154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14996-2014 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE

155, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO POLITO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI MARMINA;

– ricorrente –

contro

COMUNITA’ MONTANA “ASPROMONTE ORIENTALE”;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2145/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 11/02/2014 R.G.N. 146/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilità del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 2145/2013, in accoglimento dell’impugnazione della Comunità Montana Aspromonte Orientale, revocava il decreto ingiuntivo ottenuto da F.F. ed avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 18.391,82 a titolo di differenze retributive reclamate sul presupposto che la Comunità Montana non avesse corrisposto al F., pur avendolo riconosciuto e liquidato, il miglior trattamento economico previsto per il personale del Corpo Forestale dello Stato ed applicato al predetto quando era dipendente dell’Azienda Speciale Gruppo Jonico.

Rilevava la Corte territoriale che il F. fosse transitato presso la Comunità Montana provenendo dall’Azienda Speciale Gruppo Jonico ove aveva stolto mansioni di custodia ai sensu della legge regionale n. 4 del 1974 e che con sentenza del TAR di Reggilo Calabria n. 1681/2000 fosse stato riconosciuto in favore del ricorrente il trattamento economico di cui alla contrattazione collettiva per il personale del Corpo forestale dello Stato.

Riteneva, tuttavia, richiamando sul punto la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che detta previsione andasse riferita al trattamento economico globale goduto al momento del passaggio alla Comunità Montana e non comportasse affatto il diritto a continuare a percepire i miglioramenti delle varie voci retributive spettantigli presso il precedente ente, come se avesse continuato ad appartenervi.

Evidenziava che il F., sebbene espressamente sollecitato con ordinanza dell’8/10/2010, non avesse provato l’entità del trattamento economico globale percepito presso la disciolta Azienda Speciale al momento del passaggio alla Comunità Montana nè quale fosse il trattamento economico globale erogato dalla Comunità Montana e che neppure il c.t.u. fosse riuscito a determinare i due trattamenti sulla base della documentazione in atti.

2. Avverso tale decisione F.F. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

3. La Comunità Montata Aspromonte Orientale è rimasta intimata.

4. Non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 342,346,414 e 434 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonchè violazione degli artt. 182 e 299 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la Corte territoriale avrebbe completamente omesso l’esame delle doglianze del ricorrente in ordine alla improcedibilità o nullità dell’atto di appello della Comunità Montana.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Sono denunciate promiscuamente sia violazioni di norme di diritto sia omesso esame di fatti ritenuti decisivi, senza che sia adeguatamente specificato quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile a vizi di così diversa natura lamentati, in tal modo non consentendo una sufficiente identificazione del devolutum e dando luogo alla convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da… irredimibile eterogeneità (v. Cass., Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass., Sez. U., 12 dicembre 2014, n. 26242; Cass. 13 luglio 2016, n. 14317; Cass. 7 maggio 2018, n. 10862).

Infatti il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto così come accertato dai giudici del merito, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte, non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente sussumibile nella norma (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348), sicchè il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti; nei motivi in esame mal si comprende in quali sensi convivano i differenti vizi denunciati, articolati in una intricata commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, argomentazioni giuridiche, frammenti di sentenza impugnata, rendendo i motivi medesimi inammissibili per difetto di sufficiente specificità.

2.2. Il motivo, poi, ha disatteso le indicazioni dell’art. 366 c.p.c. non essendo stati riprodotti, nella loro interezza, la sentenza di primo grado (della quale a pag. 10 del ricorso per cassazione sono riportati solo alcuni passaggi) e l’atto di appello (del quale egualmente sono riportate mere frasi virgolettate accompagnate da una sintesi narrativa evidenziante che l’Ente datore di lavoro aveva ribadito i motivi sollevati durante la prima fase “senza minimamente interloquire sulle statuizioni che erano poste a fondamento della decisione che avversava”) che solo avrebbero potuto consentire a questa Corte di valutare appieno le censure.

2.3. In ogni caso sull’eccezione di inammissibilità formulata dall’appellato vi è stata una decisione implicita laddove, a pag. 3 della sentenza, sono enucleati i rilievi dell’appellante in rapporto alla statuizione di prime cure.

2.4. Si aggiunga che, per quanto si evince dal contenuto della sentenza qui impugnata, alle argomentazioni del Tribunale (che, sempre da quanto si rileva dalla decisione della Corte d’appello, aveva riconosciuto la fondatezza delle pretese sulla base della L.R. n. 44 del 1974, art. 15 e della prevista conservazione in favore del personale della disciolta azienda del migliore stato giuridico e del trattamento economico già acquisito nonchè sulla base dell’equiparazione del personale di custodia della disciolta azienda al personale appartenente al Corpo forestale dello Stato) la Comunità Montana aveva opposto plurime argomentazioni deducendo: – che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il mancato completamento della Det. n. 6 del 2005, (posta a base dell’ingiunzione di pagamento) con l’attestazione della regolarità contabile, facesse venir meno uno dei presupposti del decreto ingiuntivo; – che, in ogni caso, non sarebbero spettate al F. talune indennità presupponenti lo svolgimento dli determinate mansioni; – che l’applicazione della L.R. n. 4 del 1974, art. 15 consentiva solo di evitare un peggioramento del trattamento economico riferito al momento del passaggio alla Comunità Montana, non anche il diritto a percepire i miglioramenti delle voci retributivi spettanti al dipendente presso il precedente ente.

Nella specie rileva l’interpretazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012 e, pertanto, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (v. Cass., Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28057, Cass. 29 novembre 2011, n. 25218; Cass. 12 febbraio 2016, n. 2814).

Per quanto ritenuto dalla stessa Corte d’appello una critica adeguata alla decisione di primo grado vi era stata e le censure erano state chiaramente individuate proprio in rapporto al decisum del Tribunale.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2908,2909 c.c., della L.R. Calabria n. 4 del 1974, art. 15 dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 360, nn. 3 e 5 per violazione del giudicato intervenuto tra le parti, mancata corrispondenza tra il chiesto ed il giudicato, omessa insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia ed ultrapetizione o extrapetizione.

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto, contrariamente al Tribunale di Locri, che la sentenza del Tar di Reggio Calabria non avesse statuito il diritto del F. al mantenimento del trattamento economico goduto presso l’ente di provenienza.

4. Il motivo presenta gli stessi profili di inammissibilità di cui al primo motivo per essere anche in questo caso denunciate promiscuamente sia violazioni di norme di diritto sia vizio motivazionale su punti decisivi della controversia ed ancora vizio (processuale) di ultrapetizione ed extra petizione.

4.1. Inoltre le doglianze non intercettano del tutto il decisum della Corte territoriale più che altro incentrato su una interpretazione del concetto di mantenimento a favore del personale della Comunità proveniente dalla disciolta Azienda del trattamento economico in precedenza goduto (sancito dalla L.R. n. 4 del 1974, art. 15) nei termini già sopra evidenziati.

4.2. In ogni caso nel motivo si fa riferimento a tre sentenze dei giudici amministrativi di Reggio Calabria di cui una sola – la n. 1681/2000 – citata nella sentenza impugnata (peraltro non riprodotta dal ricorrente nella sua interezza nè depositata in uno con il ricorso per cassazione in violazione del principio di specificità del motivo). Delle altre non è chiaro quando ed in che termini le stesse e le relative questioni siano state sottoposte ai giudici del merito.

La formulazione, dunque, si pone in contrasto con i presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, e con i principi di autonomia del ricorso per cassazione (v. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, al n. 6 della predetta disposizione, da cui si desume, nel contesto comune del principio di specificità predetto, l’esigenza che l’argomentare sia idoneo a manifestare la pregnanza (ovverosia la decisività) del motivo, attraverso non solo il richiamo ai documenti che possono sorreggerlo, ma con l’inserimento logico del contenuto rilevante di essi nell’ambito del ragionamento impugnatorio.

L’esame del motivo, per come formulato, imporrebbe viceversa la ricerca dei documenti richiamati, nonchè la verifica diretta di essi anche in relazione all’estrapolazione di quanto necessario per apprezzare gli elementi utili alla tesi del ricorrente, con attività di discernimento ed apprezzamento dei dati istruttori che non appartiene alla sede di legittimità, ove il ricorso deve contenere specifiche e complete argomentazioni.

5. Da tanto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di legittimità non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

7. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, poichè l’obbligo del pagamento dell’ulteriore contributo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi Cass., Sez., Un. 22035/2014).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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