Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27154 del 16/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 16/12/2011), n.27154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26638-2008 proposto da:

PULL COMPANY SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. FERRARI 35, presso lo studio

dell’avvocato MARZI MASSIMO FILIPPO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati SARTORI ANTONIO, CLAUDIO CODOGNATO, giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VENEZIA;

– intimato –

nonchè da:

COMUNE DI VENEZIA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA B. TORTOLINI 34, presso lo studio

dell’avvocato PAOLETTI NICOLO’, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MORINO MARIA MADDALENA, BALLARIN MAURIZIO,

ONGARO NICOLETTA, VENEZIAN GIUSEPPE, ANTONIO IANNOTTA, GIDONI GIULIO,

giusta delega a margine;

– controricorrenti incidentali –

contro

PULL COMPANY SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2 008 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 11/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARZI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Pull Company s.r.l. chiese l’estensione della autorizzazione amministrativa per il commercio al minuto della quale era titolare ad altre tabelle merceologiche. Avuta comunicazione del rilascio, con invito a pagare le tasse di concessione, omise il pagamento ed il ritiro dei documenti autorizzativi. Il Comune di Venezia notificò ingiunzione di pagamento degli importi evasi e delle sanzioni per l’inizio abusivo dell’attività. La contribuente contestò la pretesa con ricorso accolto dalla CTP e respinto in appello. Qui ricorre per la cassazione della decisione della CTR con 9 motivi. Il Comune resiste e spiega ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza vanno riuniti (art. 335 c.p.c.). E’ in linea logica preliminare l’esame del ricorso incidentale.

La CTR ha accolto la tesi del contribuente secondo la quale l’ingiunzione di pagamento emessa a norma del R.D. n. 639 del 1910 sarebbe stata illegittima perchè “con l’entrata in vigore del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli Enti Pubblici deve avvenire mediante ruolo, per cui rimane abrogata, ai sensi dello stesso D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, comma 2, ogni disposizione che regolamenta la riscossione coattiva mediante rinvio al R.D. n. 639 del 2010”.

Il Comune lamenta violazione di legge, citando il D.P.R. n. 43 del 1988, art. 69, comma 3 a norma del quale “Qualora la riscossione delle entrate patrimoniali, assimilate e dei contributi non venisse affidata al competente concessionario è fatto divieto agli enti locali di avvalersi, per la riscossione di dette entrate, di enti, organismi e società, comunque strutturati e denominati, diversi dal proprio tesoriere”. Invoca altresì il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, comma 6 il quale dispone che “la riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate di spettanza delle province e dei comuni viene effettuata con la procedura di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, se affidata ai concessionari del servizio di riscossione di cui al D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, ovvero con quella indicata dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639, se svolta in proprio dall’ente locale”.

Dalle disposizioni citate effettivamente risulta che ai Comuni non è inibito procedere direttamente alla riscossione delle entrate patrimoniali in base alla disciplinata del R.D. n. 639 del 1910, purchè non ne abbiano affidato il servizio ad un concessionario (Cass. 1240/2005). Ma il ricorso non può essere accolto perchè quest’ultima circostanza è stata esclusa dalla CTR (a pag. 5 della sentenza) con giudizio di fatto che il ricorrente non ha idoneamente contestato. (Avrebbe dovuto farlo per vizio di motivazione – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – ovvero ex art. 395, n. 4. Non per violazione di legge, che non sussiste, giacchè la decisione impugnata non contrasta con l’interpretazione della normativa di riferimento proposta dal ricorrente).

Coi primi due motivi del ricorso si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130. Si lamenta che la CTR, accolta la tesi della illegittimità dell’ingiunzione quale atto di esecuzione, vi abbia tuttavia ravvisato un atto di accertamento, dichiarando “dovute dalla contribuente le somme accertate nel provvedimento”. La pronuncia sarebbe stata emessa senza corrispondente domanda, e sarebbe erronea, perchè – dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130 – all’ingiunzione fiscale ex R.D. n. 639 del 1910 non potrebbe riconoscersi “natura di atto accertativo”.

I motivi sono infondati. Questa corte ha chiarito che l’ingiunzione “anche dopo l’entrata in vigore (1 gennaio 1990) del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 – che ha generalizzato le modalità di riscossione mediante ruolo (già utilizzate per le imposte dirette ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602), attribuendo ai concessionari i compiti in precedenza spettanti agli esattori, compresa la riscossione dei crediti portati dalle ingiunzioni fiscali, disciplinata dal R.D. 14 aprile 1910, n. 639, e l’abrogazione, ad opera dell’art. 130, delle disposizioni regolanti, mediante rinvio al R.D. n. 639 del 1910, la riscossione coattiva dei tributi, ha conservato una precipua funzione accertativa, integrando un atto complesso rivolto a portare la pretesa fiscale a conoscenza del debitore ed a formare il titolo per l’eventuale esecuzione forzata” (Cass. 20361/2006). Non può pertanto sostenersi che la pronuncia sia stata emessa d’ufficio, perchè la domanda di convalida dell’atto di ingiunzione conteneva (come un “minus”) quella di accertamento del debito che ne era oggetto.

Col terzo motivo si deduce violazione di legge (D.L. n. 702 del 1978, art. 8, D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 46, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3). Si sostiene che “la fattispecie qui ricorrente (di mera estensione della originaria licenza commerciale a tabelle in essa non previste) non appare suscettibile di tassazione, in quanto non rientra in alcuna delle voci previste dalla relativa tariffa”, che “si limita a contemplare la sola e diversa ipotesi dell’autorizzazione all’apertura di esercizi di vendita ai minuto”.

Il motivo è inammissibile, perchè riproduce l’analoga doglianza sottoposta al giudice d’appello senza spiegare alcuna specifica censura alle motivazioni con le quali (ai punti 5.4 e 5.5 della sentenza impugnata) essa è stata respinta.

Il quarto motivo lamenta “violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 19 come modificato dalla L. n. 537 del 1993, art. 3”. Si assume che, in base alla norma citata, “l’ampliamento delle licenze commerciali a voci non previste nelle originarie autorizzazioni era soggetta a denuncia di inizio di attività” “senza che l’interessato dovesse chiedere ed ottenere alcun atto autorizzatorio da parte dell’amministrazione”.

Anche tale motivo è inammissibile, perchè non ribatte il rilievo del giudice d’appello secondo il quale il pagamento delle tasse concessione sarebbe stato in ogni caso dovuto in quanto “le autorizzazioni furono in effetti richieste dall’interessata”. Esso è del resto anche infondato, perchè l’ampliamento delle licenze commerciali consentito in base a semplice denuncia di inizio di attività è quella relativa alla estensione degli articoli contemplati dalla stessa tabella merceologica, e non anche la estensione della attività ad articoli di diverse tabelle, la quale presuppone valutazioni discrezionali dell’Amministrazione in ordine alla congruità dell’iniziativa del privato rispetto alla situazione di mercato.

I motivi da 5 a 9 denunciano vizio di motivazione su fatto decisivo e violazione del D.M. 29 novembre 1978 (adottato in attuazione del D.L. n. 702 del 1978, art. 8) sull’assunto che gli atti concessori non sarebbero mai stati ritirati, e che le attività commerciali autorizzate non sarebbero mai state intraprese. Senza criticare le argomentazioni con le quali la CTR ha motivato il giudizio che la tassa dovesse considerarsi dovuta per il solo fatto della emissione del provvedimento autorizzativo richiesto, e senza specificare le risultanze processuali contrarie alla affermazione secondo la quale “dalla documentazione in atti risulta che, almeno dal 30 gennaio 1998, la ricorrente iniziò a svolgere l’attività di vendita di merci comprese nelle tabelle oggetto delle due autorizzazioni estensive”.

Anche tali motivi sono dunque inammissibili.

Vanno pertanto respinti entrambi i ricorsi. La soccombenza prevalente è del contribuente, che dovrà rimborsare al Comune di Venezia le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna il contribuente al rimborso delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1200 di cui 1100 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2011

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