Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27153 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 27/11/2020), n.27153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in Roma, via C.A. Racchia n.

2, presso lo studio dell’Avv. Luca Pellicelli che la rappresenta e

difende, per procura in calce al controricorso, unitamente e

disgiuntamente dall’Avv. Francesco Gaetano Silvagni.

– resistente –

per la cassazione della sentenza n. 2/3/12 della Commissione

tributaria regionale della Emilia-Romagna, depositata il 17 gennaio

2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

ottobre 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre, con due motivi, nei confronti di S.A., che resiste con controricorso, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento, relativo a IVA, IRAP e Irpef dell’anno di imposta 2003, in accoglimento dell’appello proposto dalla contribuente e in riforma della prima decisione (di rigetto del ricorso), aveva annullato l’atto impositivo;

in particolare, il Giudice di appello, riteneva che nell’avviso impugnato non si riscontravano elementi tali da integrare un accertamento induttivo di tipo presuntivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), anche in considerazione del disposto della L. n. 146 del 1998, art. 10 (vigente ratione temporis) che escludeva, per l’anno in contestazione, l’applicabilità degli studi di settore, ai fini dell’accertamento, quando non fossero stati rilevati, a mezzo processo verbale ed in sede di verifica, elementi tali da rendere inattendibili le scritture contabili.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso -rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.L. n. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993, dell’art. 2721 c.c. e della L. n. 146 del 1998, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’Agenzia delle entrate deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere illegittimo l’accertamento giacchè l’invocato art. 62 sexies stabilisce che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore costituisce un elemento sulla base del quale può essere fondatamente basata la pretesa dell’Ufficio, anche in presenza di contabilità formalmente regolare;

2. con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente si duole che la C.T.R. non abbia esplicitato gli elementi dai quali aveva tratto la convinzione che i fatti richiamati (nell’avviso di accertamento) non apparissero nè gravi, nè precisi nè concordanti.

3. le censure, vertendo sotto diversi profili sulla medesima questione, possono trattarsi congiuntamente;

4. in materia è assolutamente consolidato l’orientamento di questa Corte (Cass., Sez. Un., nn. 26635, 26636, 26637 e 26638/09), secondo cui il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa). L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa: in tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (v.Cass. 12 aprile 2017, n. 9484);

nel caso in esame, in ordine all’attivazione del contraddittorio procedimentale, v’è accertamento di fatto nella sentenza impugnata non contrastato dalle parti;

il metodo di accertamento in questione ha, d’altronde, superato il vaglio della giurisprudenza unionale, la quale ha stabilito che la Dir. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonchè i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonchè del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X Dir. 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare (Corte giust. 21 novembre 2018, causa C-648/16, Fontana; ne fanno applicazione, da ultimo, Cass. 29 marzo 2019, n. 8854; 22 maggio 2019, n. 13769, 18 settembre 2019, n. 23252 e 15 luglio 2020 n. 14981);

tali principi, poi, sono stati ritenuti concernere e, quindi, assumere rilevanza anche ai fini delle imposte dirette (v. Cass. n. 8854/2019);

5. ciò posto, va rilevato che la C.T.R., dopo avere affermato che la norma di cui alla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 3, per l’anno oggetto di esame…è chiaramente preclusiva dell’utilizzo del risultato desumibile dagli studi di settore, ha, comunque, dato atto che il contenuto dell’avviso di accertamento, integrante gli estremi di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), postula la gravità, la precisione e la concordanza degli elementi addotti dall’Ufficio a fondamento dell’atto ed ha, quindi, accertato che i fatti richiamati non appaiono nè gravi nè precisi nè concordanti;

ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies (come di recente interpretato, alla luce della sopra illustrata giurisprudenza unionale, da Cass. n. 8854/2019 cit.) gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62 bis;

in materia è principio, anche questo consolidato a seguito di Cass. Sez. U. Sentenza n. 26635 del 18/12/2009, quello per cui “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”;

Si è, cosi, ritenuto (cfr.cass. Sez. 5, Sentenza n. 20060 del 24/09/2014) che “Gli studi di settore costituiscono, come si evince dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, solo uno degli strumenti utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per accertare in via induttiva, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile, il reddito reale del contribuente: tale accertamento, infatti, può essere presuntivamente condotto anche sulla base del riscontro di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, a prescindere, quindi, dalle risultanze degli specifici studi di settore e dalla conformità alle stesse dei ricavi aziendali dichiarati” ed ancora, di recente, (Cass.Sez. 5-, Ordinanza n. 33340 del 17/12/2019) che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”;

6. alla luce di detti principi appare evidente l’errore in diritto in cui è incorsa la C.T.R. laddove, da un canto, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento perchè escluso dalla norma della L. n. 146 del 1998, art. 1, comma 3, e, dall’altro, non ha spiegato le ragioni (senza illustrare sufficientemente i fatti) per cui gli elementi addotti dall’Ufficio (tra cui, per come incontestato, l’antieconomicità della gestione già rilevata dal primo Giudice) non rivestivano i caratteri della presunzione grave, precisa e concordante;

7. ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al Giudice di merito affinchè proceda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

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