Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27152 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 21/11/2016, dep.28/12/2016),  n. 27152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3878-2013 proposto da:

SOTTOVENTO SRL in persona dell’Amm.re e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BENOZZO GOZZOLI 60,

presso lo studio dell’avvocato REMO MONTONE, che lo rappresenta e

difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA GERIT SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 214/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 20/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito per il ricorrente l’Avvocato MONTONI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Sottovento srl ricorre contro per la cassazione della sentenza n. 214/35/11, depositata il 20.11.2011, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle Entrate, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato il ricorso proposto dalla società contro una cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis.

Per giungere a tale soluzione, i giudici di appello hanno richiamato la norma della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 che sanziona con la nullità dell’atto impositivo la violazione dell’obbligo di inviare al contribuente l’avviso bonario ed in particolare, partendo dall’inciso in essa contenuto (sussistenza di “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”), hanno rilevato che nel caso in esame non vi erano incertezze, sicchè l’obbligo dell’invito al contribuente non sussisteva.

2 L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

La ricorrente e l’Ufficio finanziario hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. mentre il concessionario Equitalia GERIT non ha svolto attività difensive in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3: nullità della cartella esattoriale impugnata per omesso invio comunicazione bonaria e/o di qualunque altro atto prodromico all’iscrizione a ruolo. Si osserva che nel caso in esame si è trattato non già di un omesso o carente versamento, ma di un controllo che ha portato ad un risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione, essendo stato disconosciuta l’esistenza di un credito di imposta utilizzato dalla contribuente in compensazione.

1.2 Con un secondo motivo la società ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’insufficienza o contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza delle gravi incertezze della dichiarazione: la CTR, benchè a conoscenza del fatto che le pretese erariali derivavano dal disconoscimento di un credito di imposta ha ritenuto inesistenti le gravi incertezze che giustificano l’invio della comunicazione bonaria.

1.3 Con la terza ed ultima censura si deduce, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 5 criticandosi, attraverso una ricostruzione normativa e giurisprudenziale della fattispecie, la tesi della decadenza dal beneficio dell’agevolazione fatta discendere esclusivamente dalla mancata indicazione del credito di imposta in dichiarazione.

Ad avviso della ricorrente, invece, ai fini dell’acquisizione del diritto al credito di imposta ex lege n. 388 del 2000 è sufficiente il solo e tempestivo invio della comunicazione dei dati attraverso il modello CVS rimanendo assolutamente irrilevante in questo senso l’indicazione di quegli importi nella dichiarazione dei redditi. Sottolinea la ricorrente il dato, assolutamente pacifico, rappresentato dagli avvenuti investimenti nel corso degli anni 2001-2002, nelle aree svantaggiate di cui alla L. n. 388 del 2000 e ritiene pertanto corretto e regolare il credito di imposta per l’anno 2002, documentato dalla tempestiva trasmissione del citato modello CVS. Ritiene altresì emendabile l’omessa indicazione del credito nel quadro RU e si duole anche per questo del mancato avviso bonario, perchè l’amministrazione aveva l’onere di informarla della omessione al fine di correggere la dichiarazione entro l’inizio del periodo di presentazione della dichiarazione relativa all’anno di imposta successivo alla liquidazione delle imposte. Precisa che l’emendabilità è consentita dalla giurisprudenza anche in sede contenziosa e quand’anche sia decorso il termine di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, tenendo conto sia della natura della dichiarazione dei redditi sia dei principio costituzionali della capaicità contributiva e della correttezza dell’azione amministrativa. Ritiene pertanto che i giudici di appello, in presenza dell’errore del contribuente, avrebbero dovuto comunque ridefinire il rapporto tributario.

2 Quest’ultima censura – da cui è bene partire per evidenti ragioni di priorità logica – è meritevole di accoglimento.

La Corte è chiamata a decidere se il contribuente, in caso di imposta sui redditi, abbia la facoltà di rettificare la dichiarazione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 1 e ss. per correggere errori od omissioni solo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo come stabilito dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8-bis, – oppure se, al contrario, quest’ultimo termine sia previsto solo ai fini della compensazione, richiamata dal secondo periodo del comma 8 bis cit., per cui la predetta rettifica sia possibile anche a mezzo di dichiarazione da presentare entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione – a norma del D.P.R. n. 322 cit., art. 2, comma 8, – e, in ogni caso, tanto in sede rimborso, nel rispetto dei relativi termini di decadenza e/o di prescrizione, quanto in sede di processuale, e cioè per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato.

La questione di diritto non è nuova ed è approdata di recente davanti alle sezioni unite che, dirimendo un contrasto sorto tra le sezioni semplici, hanno affermato il principio secondo cui in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016 Rv. 640206).

Come precisato dalle sezioni unite con la citata pronunzia, la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente – secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede – nonchè il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano l’inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa.

Si è altresì precisato che oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente, rilevandosi che, in tal caso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 cit., onde non può escludersi, sulla base dei suesposti principi, il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.

Le sezioni unite hanno quindi riconosciuto la possibilità per il contribuente, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine di cui all’art. 2 cit. (v. Ord. 21740 del 26/10/2015; Sent. 26198/2014; Ord. 10775 del 25/5/2015, Ord. n. 3754 del 18/02/2014; Sent. n. 2226 del 31/01/2011).

A tali principi i giudici di appello non si sono attenuti, essendosi limitati a dare peso decisivo alla mancata indicazione del credito in dichiarazione, sulla scorta di una giurisprudenza riguardante altra ipotesi (mancata comunicazione del contenuto dell’investimento) senza però porsi il problema dell’oggetto del contenzioso giurisdizionale, dell’esistenza in concreto del credito di imposta e della possibilità di emendare la dichiarazione in sede contenziosa: si rende pertanto necessaria la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo in esame, restando così logicamente assorbito l’esame delle altre censure.

Il giudice di rinvio – che si individua in altra sezione della Commissione Tributaria regionale del Lazio – attenendosi ai principi esposti riesaminerà il caso, provvedendo all’esito anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa in relazione al motivo accolto e, rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria regionale de Lazio.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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