Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27152 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 23/10/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 23/10/2019), n.27152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21884-2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso

lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA

2, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato IURI CHIRONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1879/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2016 R.G.N. 7474/2013.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

il sig. C.A. si rivolse al giudice del lavoro, chiedendo accertarsi il diritto da egli vantato al trasferimento presso gli uffici postali del Comune di Lecce, ovvero di altro comune a questo vicino, e conseguentemente ordinarsi alla convenuta POSTE ITALIANE S.p.A. di provvedere al suo trasferimento. A sostegno della domanda dell’attore fece presente di essere dipendente di POSTE ITALIANE con contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 4 novembre 2008 e di prestare servizio presso il (OMISSIS) con mansioni di addetto al recapito, di aver ottenuto il riconoscimento dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3 per il proprio figlio minore affetto da handicap grave;

il giudice adito accolse la domanda come da sentenza in data 23 maggio 2013, quindi appellata da POSTE ITALIANE S.p.A. con atto depositato il 22 novembre 2013, ma respinto dalla Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1879 in data 22 – 29 marzo 2016, che condannava altresì la società appellata al pagamento delle spese relative al secondo grado del giudizio, all’uopo liquidate;

la sentenza di appello è stata impugnata mediante ricorso per cassazione da POSTE ITALIANE con atto in data 29 / 30 settembre 2016, affidato a tre motivi, cui ha resistito il C. con controricorso in data 2 – 3 novembre 2016.

In vista dell’adunanza fissata per il 19 marzo 2019 la società ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, n. 3 stesso codice diritto, nonchè nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, contestando la motivazione dell’impugnata sentenza per violazione delle norme dei principi in materia di prova, laddove la corte capitolina aveva confermato la decisione gravata ritenendo che la parte convenuta non aveva dimostrato che i trasferimenti menzionati dal ricorrente erano stati disposti in ottemperanza di ordini giudiziali. Per contro l’attore. Numero 21 del proprio ricorso introduttivo aveva dedotto che fin dal 23 luglio 2012 presso gli uffici postali di (OMISSIS) e provincia erano state effettuate numerose assunzioni, anche in ottemperanza alle numerose sentenze di annullamento di contratti a tempo determinato. La decisione di secondo grado, analogamente a quanto ritenuto dal primo giudicante, aveva osservato che neppure in appello Poste Italiane aveva fornito la documentazione necessaria a dimostrare che nessuno dei posti indicati dal C. era indisponibile al momento della formulazione della graduatoria di mobilità. Secondo la ricorrente tale motivazione muoveva da una premessa errata, per falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., poichè lo stesso attore aveva dedotto che le assunzioni effettuate nella provincia di Lecce erano avvenute anche in ottemperanza delle numerose sentenze di annullamento di contratti a tempo determinato, tra cui quelli di G.P., Gr.Pa. e S.V., senza precisare se detti trasferimenti fossero dipesi da pronunce giudiziali. Pertanto, la società convenuta non era tenuta a contestare alcunchè, in quanto corrispondeva a verità la circostanza secondo cui gli anzidetti lavoratori erano stati applicati presso la provincia di Lecce. Le circostanze dedotte sia in primo che in secondo grado da POSTE ITALIANE, inoltre, non erano state minimamente contestate ex adverso, di modo che le decisioni impugnate risultavano contrarie alle previsioni di cui all’art. 115 c.p.c.. Dunque, la società aveva fornito piena prova in ordine all’unica circostanza messa in dubbio dall’attore, vale a dire il fatto che le assunzioni da quest’ultimo indicate avevano avuto luogo non per far fronte dei posti vacanti, ma esclusivamente per necessità di ottemperare ai provvedimenti giudiziari che le avevano disposte. Peraltro, POSTE ITALIANE aveva formulato la richiesta di prova testimoniale, sulle anzidette circostanze, inerenti al funzionamento e all’attivazione della graduatoria per la mobilità volontaria nonchè all’insussistenza di posti vacanti nella provincia di Lecce. Le relative istanze, tuttavia, erano state immotivatamente disattese, in violazione delle norme e dei principi in materia di prova, con evidente nullità del procedimento;

con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione/falsa applicazione degli artt. 2103,1175 e 1375 c.c. nonchè artt. 41 e 3 Cost., poichè la Corte distrettuale non aveva tenuto conto di quanto dedotto da essa società appellante in ordine all’accordo nazionale sottoscritto il 28 gennaio 2010, che disciplinava un nuovo sistema di gestione della mobilità territoriale finalizzata a regolamentare le domande di trasferimento, con l’istituzione di un’apposita graduatoria di mobilità nella quale il dipendente occupava la 44a posizione, sicchè avendo egli aderito all’accordo il suo trasferimento sarebbe stato disposto non appena si fosse verificata la disponibilità di un posto. Inoltre, per espressa pattuizione intervenuta tra la società e le organizzazioni sindacali, l’unica deroga rispetto ai criteri e alle modalità di trasferimento di cui al suddetto accordo 28 gennaio 2010 era stata prevista per i lavoratori affetti dalle patologie di particolare gravità di cui all’art. 43 del c.c.n.l. 2007, mentre non era stata contemplata alcuna deroga con riferimento ai soggetti beneficiari della L. n. 104 del 1992. Parimenti risultava violata la libertà in capo all’azienda di adottare lo strumento più idoneo a far fronte ad una determinata esigenza produttiva, nella specie provata proprio tramite il citato accordo sindacale. Del resto, lo stesso giudice, secondo giurisprudenza consolidata, può limitarsi ad effettuare il controllo giudiziale sulle ragioni oggettive addotte da parte datoriale, ma non può, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost., valutare il merito dell’opportunità dello stesso provvedimento. Il sindacato del giudice non può certo spingersi sino ad annientare ogni discrezionalità del datore di lavoro, sostituendosi ad esso, qualora tale discrezionalità si svolta in conformità ai principi espressi dagli artt. 1175 e 1375 c.c.. Ogni ulteriore valutazione infatti rappresenterebbe una illegittima intromissione nel campo proprio del potere organizzativo dell’imprenditore;

con il terzo motivo l’impugnata sentenza è stata censurata per violazione/falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. Infatti, la società convenuta aveva evidenziato che il coniuge dell’attore aveva richiesto ed ottenuto indennità di accompagnamento, come sentenza del tribunale di Latina (“allegata sub. doc. 2 del fascicolo di controparte – qui riprodotta sub P”). Di conseguenza, la circostanza si poneva in pieno contrasto con il principio affermato dal Consiglio di Stato (sentenza n. 3237 del 21 maggio 2010), secondo cui ai fini della fruizione del beneficio del trasferimento per prestare assistenza ad un congiunto disabile spetta al dipendente pubblico dimostrare, mediante dichiarazioni, atti o riferimenti oggettivi, che altri parenti e affini non sono in grado o comunque non sono disponibili ad occuparsi dell’assistenza del disabile, occorrendo tra l’altro in particolare la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psicofisici connotati da una certa gravità, idoneo a giustificare l’indisponibilità solo nella misura in cui risultino tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati. Al riguardo la ricorrente ha sostenuto di aver, altresì, evidenziato che il C. e sua moglie fino a 2012 risiedevano a (OMISSIS), mentre decidevano di trasferirsi a (OMISSIS) dopo circa due anni dalla nascita del proprio figlio e per ragioni del tutto estranee alle esigenze di cura di quest’ultimo, sicchè non vi era un’esigenza assoluta è legata allo stato di handicap del figlio minore che imponeva al nucleo familiare di trasferirsi presso il Comune di Lecce piuttosto che in località prossima alla sede di lavoro del ricorrente. La Corte d’Appello, tuttavia, non aveva tenuto in considerazione la circostanza, per cui spettava innanzitutto alla controparte l’onere di provare, da una parte la necessità di modificare la propria residenza e, dall’altra, che dovesse essere necessariamente esso C. a prestare assistenza a suo figlio;

tanto premesso, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso in forza delle seguenti ragioni;

in primo luogo, la società ricorrente ha omesso – contrariamente alle allegazioni prescritte a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, specialmente sub n. 6, – di riprodurre adeguatamente, in particolare, il ricorso introduttivo del giudizio, la memoria difensiva di costituzione per la parte convenuta, la sentenza di primo grado confermata da quella d’appello (mediante anche integrazione delle rispettive motivazioni), nonchè il ricorso d’appello (nemmeno è stato chiarito il tenore dell’accordo sindacale in data 28.1.2010, cui si riferisce il secondo motivo di ricorso, parimenti dicasi per la sentenza del Tribunale di Latina, appena menzionata con la terza doglianza in ordine all’indennità di accompagnamento, laddove inoltre tutte le altre circostanze ivi vagamente allegate non trovano nemmeno alcun preciso riscontro nella integrale lettura della sentenza qui impugnata, la quale per altro verso faceva riferimento ad un solo articolato motivo di appello nell’interesse della società istante “per contraddittoria/insufficiente motivazione per travisamento dei fatti di causa e/o erronea interpretazione degli stessi e per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. rilevando il vizio di omessa istruttoria”, comunque senza minimamente accennare all’accompagnamento ed alle vicende coniugali di cui sommariamente parla il terzo motivo);

il riscontrato difetto di autosufficienza e di specificità (a nulla rilevando il mero deposito della relativa documentazione, deposito utile ai fini della sola procedibilità ex art. 369 c.p.c. per le conseguenti verifiche del caso, ma sempre che siano state in via preliminare soddisfatte le allegazioni di rito occorrenti a norma del cit. art. 366, comma 1, anche per quanto concerne gli errores in procedendo) non consente quindi il controllo di legittimità, nei limiti rigorosamente fissati dall’art. 360 c.p.c., secondo la c.d. critica vincolata ivi ammessa, poichè la difettosa enunciazione degli atti e del pregresso iter processuale osta alla cognizione da parte di questa Corte suprema circa la fondatezza o meno dei vizi denunciati (v., tra le altre, Cass. V civ. n. 26174 del 12/12/2014, secondo cui il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte. In senso analogo Cass. lav. n. 2966 del 7/2/2011.

V. parimenti Cass. V civ. n. 14107 del 7/6/7017: il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto.

Cass. Sez. 6 – 3, n. 19985 del 10/08/2017: il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. Conforme Cass. n. 17915 del 2010.

Cfr., ancora, Cass. V civ., n. 22880 del 29/09/2017: l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare – a pena, appunto, di inammissibilità – il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità. Conforme Cass. n. 20405 del 2006.

V. pure, similmente, Cass. V civ. n. 19410 del 30/09/2015: l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale. Conforme Cass. n. 23420 del 2011.

Cfr. anche Cass. lav. n. 896 del 17/01/2014, secondo cui quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare si lamenti l’indeterminatezza dell’oggetto della domanda proposta in primo grado, il giudice di legittimità non deve limitarsi a vagliare la sufficienza e logicità della motivazione con cui quello di merito ha statuito sul punto, ma ha il potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata ritualmente formulata, rispettando, in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto l’esame diretto degli atti e dei documenti è circoscritto a quelli che la parte abbia specificamente indicato ed allegato);

peraltro, nel caso qui in esame i fatti di causa devono ritenersi, definitivamente ed insindacabilmente, accertati nei sensi di cui alla doppia conforme qui impugnata decisione, sicchè non è ammessa la deducibilità di alcun omesso esame di fatto rilevante e decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, operando nella specie ratione temporis l’art. 348-ter c.p.c., u.c., non avendo del resto parte ricorrente allegato, nè altrimenti ritualmente dimostrato, diversità in punto di fatto tra la pronuncia di primo grado, in data 23 maggio 2013, e quella di secondo (risalente all’anno 2016), che la confermava mediante il rigetto del gravame interposto in data 22 novembre 2013 (cfr. Cass. I civ. n. 26774 del 22/12/2016: nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, – applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 -, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Conforme, tra le altre, Cass. II civ. n. 5528 del 10/03/2014.

Cfr. altresì Cass. Sez 6 – 3, n. 26097 in data 11/12/2014, secondo cui è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3,24 Cost. e art. 111 Cost, comma 7, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 ter c.p.c., commi 1 e penultimo, c.p.c., nella parte in cui prevedono, rispettivamente, la succinta motivazione dell’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. e l’esclusione della ricorribilità in cassazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del provvedimento di primo grado allorchè l’inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, atteso che, un secondo grado di giudizio di merito dinanzi al giudice ordinario non è oggetto di garanzia costituzionale e, quanto alla prima questione, la definizione semplificata del giudizio di appello e la limitazione del controllo di legittimità, in caso di “doppia conforme” in fatto, non solo non impediscono, nè limitano l’esercizio del diritto di difesa, ma contribuiscono a garantirne l’effettività. Inoltre, con la stessa pronuncia n. 26097/14, è stato condivisibilmente affermato che in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme” in fatto a cognizione sommaria, ex art. 348 ter c.p.c., comma 4, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili. Principio che, evidentemente, vale anche nel caso di ricorso avverso la sola pronuncia di appello, però di conferma della sentenza di primo grado, per identità di ragioni in fatto, secondo l’ipotesi di cui al succitato art. 348-ter, commi 5 e u.c. con conseguente esclusione, anche in questa evenienza, della possibilità di dedurre motivi ex art. 360, n. 5);

dalle anzidette riscontrate inammissibilità, nella fattispecie in esame, deriva l’impossibilità di valutare e di sindacare in questa sede quanto difformemente in punto di fatto opinato dalla ricorrente circa le contestate violazioni della normativa di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33. Ne consegue che vale il motivato apprezzamento espresso in proposito dai giudici di merito, non risultando quest’ultimo abnorme ovvero del tutto implausibile (cfr., del resto, tra le altre, Cass. I civ. n. 640 del 14/01/2019, secondo cui le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto,, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra, invece, nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. In senso analogo, Cass. I civ. n. 24155 del 13/10/2017, nonchè Cass. lav. n. 195 in data 11/01/2016);

pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al pagamento delle relative spese, liquidate come da seguente dispositivo;

sussistono, quindi, anche i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, atteso l’esito interamente negativo della qui proposta impugnazione.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in complessivi Euro =5000,00= (cinquemila/00) per compensi professionali ed in Euro =200,00= (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione agli avv.ti Aiello Filippo e Iuri Chironi, procuratori anticipatari costituiti per il controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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