Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27148 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. I, 06/10/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 06/10/2021), n.27148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17527/2019 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vera

Augusto n. 41, presso lo studio dell’avvocato Pelosi Antonella, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Co.Pa., C.L., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Raffaele Garofalo n. 81, presso lo studio dell’avvocato Fagioli

Fiammetta, rappresentati e difesi dall’avvocato Guercini Luana,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 32307/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 13/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/05/2021 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – C.A. ricorre per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in relazione all’art. 395, numero 4, c.p.c., nei confronti di Co.Pa. e C. Luca, contro l’ordinanza del 13 dicembre 2018, numero 32307, con cui questa Corte ha respinto il ricorso dell’odierno ricorrente avverso sentenza della Corte di appello di Roma, che, in controversia concernente l’impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio dallo stesso promossa in primo grado per difetto di veridicità, aveva confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda.

2. – Co.Pa. e C.L. resistono con controricorso. Sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – L’impugnazione investe l’ordinanza impugnata nelle parti dedicate alla trattazione: a) del primo motivo; b) del quinto e sesto motivo; c) del settimo motivo.

RITENUTO CHE:

4. – Scrive il ricorrente nella memoria illustrativa: “L’atto denominato controricorso e depositato dagli intimati è formalmente irrituale e sostanzialmente non delibabile, perché non munito, con l’annessa procura speciale, del prescritto attestato di conformità, obbligatoriamente da sottoscrivere da parte del Difensore in modalità autografa, poiché tale dichiarazione di conformità non era al tempo del deposito ammessa la firma digitale, che invece, come la procura speciale, dovevano essere asseverati in forma autografa, per il che si demanda all’Ecc.ma Corte l’ammissione del controricorso e dell’eventuale memoria, soprattutto con riferimento alla procura speciale, che, per essere ritenuta valida, avrebbe dovuto contenere in originale l’attestazione di conformità, a nulla rilevando la contestazione sul punto della controparte, perché onere esclusivo del Giudice verificare la regolare costituzione delle parti”.

Tale eccezione è infondata.

Non è dato comprendere quale sia il riferimento normativo che ha indotto il ricorrente ad affermare che “al tempo del deposito” del controricorso, e cioè al luglio del 2019, non sarebbe stata “ammessa la firma digitale” in calce al menzionato “attestato di conformità”. Ma è certo che le cose stanno diversamente.

Occorre muovere dall’art. 83 c.p.c., comma 3 nel testo successivo alla L. n. 69 del 2009, il quale stabilisce infatti, nel suo periodo finale, che: “Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica”.

E’ del resto cosa ovvia che, se, come nel caso in esame, la procura rilasciata in cartaceo, e dunque sottoscritta in forma autografa tanto dal conferente, quanto dal difensore che certifica l’autenticità della sottoscrizione, è digitalizzata, attraverso una scansione per immagini, la firma del documento digitale che racchiude la procura cartacea digitalizzata, con l’atto cui essa accede, non può che essere una firma digitale.

Il D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, ha poi chiarito – ponendo fine ad un dibattito del quale qui non interessa dar conto, attinente all’impiego del formato pdf immagine – che: “La procura alle liti si considera apposta in calce all’atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l’atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine”.

Sicché non v’e’ dubbio sulla validità della procura, come nel caso in esame, rilasciata su foglio separato, scansionata e allegata alla busta telematica che contiene l’atto principale cui si riferisce (v. p. es. la nota Cass., Sez. Un. 27 aprile 2018, n. 10266, pronunciatasi sulla validità delle firme CAdES e PAdES).

5. – L’impugnazione è inammissibile in ragione dell’inammissibilità delle singole censure.

6. – Vale in generale premettere quanto segue.

In tema di revocazione per errore di fatto, rammentata la distinzione (per la quale v. Cass. 30 luglio 2014, n. 17402; Cass. 29 aprile 2016, n. 8472) tra giudizio di fatto (tutto ciò che attiene all’accertamento della verità di “fatti bruti”, fatti, dunque, accaduti nel mondo fenomenico, ai quali si addice per l’appunto il predicato di “vero” o “falso”), e giudizio di diritto (tutto quanto attiene all’applicazione di norme e, così, all’individuazione della norma applicabile al caso concreto; alla sua interpretazione; alla sussunzione dei fatti, come ricostruiti, entro la fattispecie astratta; all’individuazione delle conseguenze da quella norma previste), deve in generale osservarsi che l’errore revocatorio ricorre in presenza di una falsa percezione della realtà: di un errore, cioè, obbiettivamente ed immediatamente percepibile, che attiene all’accertamento o alla ricostruzione della verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di uno specifico accadimento, al quale la parte interessata intende ricollegare effetti giuridici a sé favorevoli, all’esito della sua sussunzione entro una fattispecie generale ed astratta determinata.

L’errore revocatorio deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive e, meno che mai, della ricognizione dell’attività ermeneutica svolta (Cass., Sez. Un., 10 agosto 2000, n. 561; Cass. 1 marzo 2005, n. 4295; Cass. 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. Un., 7 marzo 2016, n. 4413). Detto errore non può perciò mai consistere in un’inesatta valutazione delle risultanze processuali (integrando essa, semmai, un vizio motivazionale), giacché la valutazione implica di per sé una ponderazione tra più possibili letture, e dunque esclude in radice la configurabilità dell’errore in discorso.

Ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore revocatorio, il quale ricorre quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, si svela nel contrasto – tale da presentarsi in termini di esclusione reciproca – tra la rappresentazione di un fatto (o di un complesso di fatti) univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto (o complesso di fatti) posta a base della decisione del giudice: si tratta insomma di una falsa percezione della realtà, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia condotto il giudice, per effetto di una sorta di abbaglio, ad affermare l’esistenza di un fatto decisivo invece incontestabilmente escluso dagli atti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo, che dagli stessi atti risulti al contrario positivamente accertato (Cass. n. 6669/2015; Cass. n. 321/2015; Cass. n. 17443/2008). Occorre ancora, alla stregua del dato normativo, che il fatto oggetto dell’errore non sia stato oggetto del dibattito processuale su cui la pronuncia impugnata abbia deciso (Cass. n. 9416/1997; Cass. n. 12194/1993).

Inoltre, il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la decisione ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 15 dicembre 2011, n. 27094).

7. – L’impugnazione concernente l’errore revocatorio in cui la Corte sarebbe incorsa nel trattare del primo motivo è inammissibile.

7.1. – L’ordinanza impugnata ha così trattato del primo motivo: “2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 70 c.p.c., e si sostiene che la sentenza sarebbe nulla per l’omessa reiterazione della comunicazione degli atti al P.M. in vista dell’udienza di discussione, rinviata su richiesta di quest’ultimo per la precisazione delle conclusioni, ed inoltre che ciò avrebbe comportato anche la mancata integrità dei contraddittorio ex art. 332 c.p.c. nei confronti della parte pubblica.

2.2. Il motivo è infondato. 2.3. L’art. 70 c.p.c. sancisce l’obbligatorietà dell’intervento del Pubblico Ministero nelle cause riguardanti la capacità e lo stato delle persone (art. 70 c.p.c., comma 1, n. 3), e l’art. 71 c.p.c. l’obbligo per il giudice di disporre la comunicazione degli atti. Orbene nel caso di specie la comunicazione era avvenuta, come dà conto lo stesso ricorrente, ed il PM aveva solo lamentato che il tempo a sua disposizione per l’esame era stato breve, chiedendo ed ottenendo un congruo termine per l’esame: ne consegue che, essendo stato già correttamente espletato l’adempimento afferente alla comunicazione, non era richiesta la rinnovazione dello stesso; inoltre la circostanza che in sentenza si sia dato atto dell’acquisizione del parere dei P.M., lungi dal costituire una formula di stile, come sostenuto dal ricorrente, attesta anche l’effettivo intervento del P.M. in causa, di guisa che la questione risulta nel complesso priva di decisività. Ne consegue l’insussistenza della violazione denunciata”.

7.2. – Questo in proposito il contenuto dell’impugnazione: “la Corte di legittimità… ha statuito in modo errato circa la concessione da parte della Corte territoriale di “un congruo termine per l’esame”; dagli atti non risulta alcuna disposizione della Corte di merito, se non l’annotazione sul frontespizio del fascicolo d’ufficio del reinvio al P.G. degli atti per l’espressione del proprio parere; disposizione non eseguita e parere non espresso a motivo della mancata trasmissione del fascicolo al P.G. del rinvio disposto all’udienza del 5/5/2016 (doc. 11 nel fascicolo del ricorso per cassazione della sentenza d’appello). L’errore è direttamente percepibile, siccome risultante dagli atti interni al grado di cassazione, posto che, a seguito dell’istanza ex art. 369 c.p.c., era stato richiesto ed acquisito il fascicolo d’ufficio dell’appello (doc. 2 della corrente impugnazione per revocazione). L’errore è certamente decisivo, poiché l’accertamento del difetto denunciato in seno al motivo sub 1 del ricorso per cassazione originario avrebbe comportato l’annullamento ed il rinvio alla Corte di merito per rinnovare la fase decisoria, previo avviso tempestivo al P.G. A nulla vale l’annotazione che è stata offerta nell’Ordinanza impugnata, secondo cui “espletato l’adempimento afferente alla comunicazione, non era richiesta la rinnovazione dello stesso”, poiché nella motivazione dell’ordinanza impugnata è anche e contestualmente dato atto che tale adempimento avrebbe dovuto essere rinnovato. Conferma dell’errore contestato si rinviene nell’ulteriore specificazione che la sentenza resa in appello “attesta anche l’effettivo intervento del P.M. in causa”. Tale specifica è gravemente lesiva dei diritti costituzionalmente sanciti a favore delle parti. Non sembra infatti condivisibile una giurisdizione che ondeggi tra più soluzioni al solo scopo di sanzionare una parte”.

7.3. – Orbene, l’ordinanza impugnata si è debitamente misurata con il tema dibattuto, e come tale fatto oggetto del primo motivo di ricorso per cassazione, sulla base di una motivazione non in facto, ma in iure. E cioè:

-) il ricorrente per cassazione aveva sostenuto che il giudizio fosse nullo per “l’omessa reiterazione della comunicazione degli atti al P.M. in vista dell’udienza di discussione”;

-) la Corte ha replicato, in iure, che “essendo stato già correttamente espletato l’adempimento afferente alla comunicazione, non era richiesta la rinnovazione dello stesso”.

La residua motivazione (“inoltre la circostanza che…”) è palesemente svolta ad abundantiam, sicché l’ipotetico errore di percezione sarebbe comunque ininfluente.

Resta da dire che non può darsi seguito alla frase contenuta nell’odierno ricorso: “A nulla vale l’annotazione che è stata offerta nell’Ordinanza impugnata, secondo cui “espletato l’adempimento afferente alla comunicazione, non era richiesta la rinnovazione dello stesso”, poiché nella motivazione dell’ordinanza impugnata è anche e contestualmente dato atto che tale adempimento avrebbe dovuto essere rinnovato”. Non risulta affatto che la Corte di cassazione abbia:

– “anche e contestualmente dato atto che tale adempimento avrebbe dovuto essere rinnovato”. L’ordinanza impugnata afferma anzi l’esatto contrario: “non era richiesta la rinnovazione dello stesso”, né si rinviene nella motivazione dell’ordinanza medesima, un’affermazione di segno diverso.

8. – L’impugnazione concernente l’errore revocatorio in cui la Corte sarebbe incorsa nel trattare del quinto e sesto motivo è inammissibile.

8.1. – L’ordinanza impugnata ha così trattato del quinto e sesto motivo: “6.1. Con il quinto motivo si denuncia la motivazione apparente in riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere ritenuto valida ed utilizzabile la perizia ed il supplemento di perizia, senza tener conto dei motivo di impugnazione e per non avere accolto la richiesta di rinnovazione della CTU, senza motivare in proposito. 6.2. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 193,194,195 e 196 c.p.c. e art. 91 disp. att. c.p.c., comma 2 sostenendo la nullità della CTU e la violazione del contraddittorio. In particolare il ricorrente si duole del supplemento di perizia e sostiene che senza lo stesso, svolto illegittimamente, sarebbe stato impossibile raggiungere il risultato finale, comunque contestato. 6.3. I motivi quinto e sesto possono essere trattati congiuntamente per connessione; sono infondati e vanno respinti. 6.4. La Corte di appello con motivazione articolata, volta ad illustrare tutti i passaggi argomentativi, ha sottolineato che l’esito della consulenza, ancor prima della contestata integrazione – conseguita, peraltro, proprio a richieste della Consulente di parte del ricorrente -, era sufficiente al fondare il rigetto dell’appello e della impugnativa per difetto di veridicità, senza che alcuna specifica contestazione risulti svolta avverso detta ampia motivazione. Rimarcato che non si ravvisa alcuna nullità della CTU, atteso che l’esame era stato autorizzato anche su reperti biologi diversi dal sangue, le doglianze vertono su accertamenti di merito che si rivelano insindacabili”.

8.2. – Questo in proposito il contenuto dell’impugnazione, in particolare riferita alla frase “senza che alcuna specifica contestazione risulti svolta avverso detta ampia motivazione”: “Tale ultima affermazione denuncia l’errore consumato in sede di richiesta cassazione della sentenza d’appello. L’appellante, ora ricorrente per revocazione, ha destinato alla contestazione delle modalità procedimentali della CTU e dei suoi esiti, ben 13 pagine (22/35) del ricorso in sede legittimità, che, per quanto asserito in sede di precorsa giurisprudenza, costituisce atto interno al giudizio da cui l’impugnata ordinanza per errore circa l’esclusione di un fatto, la cui verità è invece positivamente stabilita”.

Il tutto è seguito dalla menzione degli argomenti spesi nell’originario ricorso per cassazione a supporto dei due motivi in discorso.

8.3. – Anche in questo caso la Corte è posta dinanzi ad una censura che si colloca al di fuori dell’ambito di operatività dell’errore revocatorio, ossia dell’erronea percezione di un fatto, giacché l’ordinanza impugnata non ha negato che vi fossero contestazioni indirizzate contro la parte di sentenza d’appello secondo la quale al rigetto dell’impugnazione era sufficiente la consulenza tecnica nella sua originaria stesura, senza i successivi chiarimenti, ma ha negato che vi fossero “specifiche contestazioni”, ossia contestazioni dotate del requisito della specificità, richiesto ai fini dell’ammissibilità dei motivi di cassazione (Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; Cass. 12 marzo 2005, n. 5454; Cass. 29 aprile 2005, n. 8975; Cass. 22 luglio 2005, n. 15393; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1315; Cass. 14 marzo 2006, n. 5444; Cass. 17 marzo 2006, n. 5895; Cass. 31 marzo 2006, n. 7607; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2540; Cass. 28 agosto 2007, n. 18210; Cass. 28 agosto 2007, n. 18209; Cass. 31 agosto 2015, n. 17330), idonee ad infirmare il ragionamento del giudice di merito: e dunque l’ordinanza impugnata non ha travisato un fatto, ma ha espresso un giudizio.

E ciò esime dall’osservare che il rigetto del quinto e sesto motivo è sostenuto da una ulteriore autonoma ratio decidendi che il ricorso non attinge: “Rimarcato che non si ravvisa alcuna nullità della CTU, atteso che l’esame era stato autorizzato anche su reperti biologi diversi dal sangue, le doglianze vertono su accertamenti di merito che si rivelano insindacabili”. Il che determina un ulteriore profilo di inammissibilità della doglianza.

9. – L’impugnazione concernente l’errore revocatorio in cui la Corte sarebbe incorsa nel trattare del settimo motivo è inammissibile.

9.1. – L’ordinanza impugnata ha così trattato del settimo motivo: “5.3. Con il settimo motivo è stata denunciata la violazione degli artt. 112 e 183 c.p.c., in relazione alla pronuncia con la quale la domanda risarcitoria proposta con la memoria ex art. 183 c.p.c. era stata ritenuta inammissibile perché nuova, senza considerare – a parere del ricorrente – che la stessa era conseguita alle difese svolte dalla controparte nel giudizio ed alla richiesta di controparte di condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c. 5.4. Il settimo motivo è infondato. 5.5. Invero la declaratoria di inammissibilità non ha riguardato solo la domanda risarcitoria, ma anche la connessa e presupposta domanda di accertamento della violazione dei diritto paterno ad esercitare la funzione genitoriale, come si evince chiaramente dal tenore letterale della decisione impugnata, che proprio prendendo in considerazione la complessiva causa petendi e il petitum ha ravvisato una inammissibile mutatio libelli. Come già puntualizzato da questa Corte “L’introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria costituisce domanda “nuova”, come tale implicitamente vietata dall’art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest’ultima e la domanda “modificata” – che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell’udienza e delle memorie previste dalla norma citata – va identificato nell’unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività.” (Cass. n. 16807 del 26/06/2018). Nel caso di specie l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità è un’azione di stato strutturalmente ed ontologicamente diversa (Cass. n. 17482 dei 04/07/2018) dalla domanda di accertamento di responsabilità e di risarcimento per violazione dei diritti di genitorialità che il ricorrente ex novo ha aggiunto alla prima nel corso del giudizio, non già modificandola o sostituendola, e rispetto alla quale si differenzia in quanto non ha ad oggetto il medesimo bene della vita (cfr. Cass. n. 18956 del 31/07/2017) e riguarda distinte vicende – l’una l’avvenuto concepimento, l’altra la condotta serbata nel corso degli anni da un genitore nei confronti dell’altro -. Inoltre, la censura non coglie nel segno, laddove richiama la sent. della Cass. n. 29 del 03/01/2017, resa in materia di rito societario ex D.Lgs., n. 5/2003 e, quindi, non pertinente”.

9.2. – Questo in proposito il contenuto dell’impugnazione: “Nel particolare la Corte Suprema, nell’esaminare il motivo sub 7 del ricorso, svolto tra le pagine 35 e 39, non ha affatto tenuto conto di quanto esposto in detto motivo, con riferimento al punto contestato della sentenza d’appello, trattato sub 6 della pagina 6 della sentenza n. 2859/2017, per uno svolgimento di cinque righe In sostanza la Suprema Corte nel respingere il motivo ha dato specificazioni inesistenti nella sentenza impugnata per cassazione. Una tale evenienza dimostra che la Corte di legittimità ha ritenuto come sussistenti dati fattuali esclusi dagli atti, pure acquisiti ex art. 369 c.p.c. Nel particolare: già nella sentenza di primo grado (Trib. Roma n. 12480/2015, a pagina 5, p. 3, in atti nel fascicolo di parte attrice sub 2, ora di nuovo a disposizione della Suprema Corte) si dava atto come “la pretesa risarcitoria avanzata da parte attrice risulti fondata su fatti già dedotti da C.A. nell’atto di citazione al mero scopo di fornire un principio di prova della non veridicità del riconoscimento impugnato”; una tale significazione della svolta domanda risarcitoria è stata puntualmente contestata in appello (pagine 20/22), ove è stato rilevato che da controparte non vi era stata alcuna eccezione di inammissibilità. Dunque, dato atto dei motivi sul punto svolti in atto di appello e ribaditi con il ricordato motivo sub 7 del ricorso per cassazione, poi rigettato, emerge con una dose di consapevole certezza, che tali aspetti non sono stati affatto esaminati nell’Ordinanza qui impugnata per revocazione; considerata la scarna ed insufficiente motivazione data in appello nel confermare l’inammissibilità della domanda in questione. D’altra parte, l’assunto sostenuto a partire dal primo grado, secondo cui la domanda risarcitoria in danno della Sig.ra Co.Pa. sarebbe un quid pluris rispetto all’impugnazione per non veridicità del riconoscimento, è anche in contrasto con il principio della concentrazione e speditezza del giudizio; considerato che la negata frequentazione tra padre e figlio dovrà essere fatta valere in separato giudizio, se non ammessa per il rinvio”.

9.3. – Il Collegio ritiene che sia impossibile, alla lettura di quanto trascritto, individuare, tantomeno con circostanziata esattezza, quali sarebbero i “dati fattuali esclusi dagli atti”, che l’ordinanza impugnata avrebbe considerato, e come tali fatti avrebbero poi inciso sul ragionamento, ancora una volta svolto in iure, secondo cui l’originario attore, dopo aver proposto un’azione di stato, aveva introdotto nel processo ormai pendente una domanda risarcitoria distinta per petitum e causa petendi.

10. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

10. – Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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