Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27146 del 28/12/2016
Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 27/10/2016, dep.28/12/2016), n. 27146
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10167/2010 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, entrambi
elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Biagio Lauri ed
elettivamente domiciliato in Roma, via appropriazione n. 27, presso
lo studio dell’Avv. Daniela Allocca, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Campania, – sezione staccata di Salerno, n. 91/9/2009, depositata il
04/03/2009.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27
ottobre 2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;
udito l’Avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per la ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Zeno Immacolata, la quale ha concluso per l’accoglimento.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza depositata in data 4/3/2009, la C.T.R. della Campania, sezione staccata di Salerno, rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti da S.G. avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’ufficio aveva sinteticamente determinato, per gli anni d’imposta 1998 e 1999, a fini Irpef e addizionale regionale, un maggior reddito imponibile sulla base degli indici di una maggiore capacità contributiva, desunti dal possesso di una autovettura e dagli incrementi patrimoniali per rilevanti acquisti di beni immobili.
Secondo i giudici d’appello, infatti, le censure svolte dall’ufficio in merito alle valutazioni espresse dal primo giudice circa l’infondatezza delle presunzioni ricavate dagli incrementi patrimoniali suindicati, non erano supportate “da elementi probatori atti a confutare le motivazioni addotte dal contribuente e accolte dai primi giudici”. Rilevavano, inoltre, i giudici a quibus, che agli avvisi di accertamento non risultavano allegati nè l’accertamento operato dall’ufficio ai fini dell’imposta di registro, nè la documentazione inerente all’accertato maggior valore dell’immobile il cui acquisto è stato ritenuto indice di maggiore capacità contributiva.
2. Avverso tale decisione propone ricorso l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi, cui resiste il contribuente depositando controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate – denunciando “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” – lamenta vizio di ultrapetizione per avere la C.T.R. posto a fondamento della sentenza il rilievo della mancata allegazione agli atti impugnati dell’accertamento operato dall’ufficio ai fini dell’imposta di registro e della documentazione inerente all’accertato maggior valore dell’immobile, in mancanza di alcuna doglianza a riguardo da parte del contribuente.
4. Con il secondo motivo l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta che nella sentenza impugnata non si dà conto del percorso logico giuridico seguito per giungere al convincimento secondo cui gli accertamenti sintetici oggetto di giudizio fossero stati emessi senza i dovuti riscontri e ne fosse derivata una presunzione di capacità di spesa inverosimile.
5. La censura posta a fondamento del secondo motivo – di rilievo preliminare – è inammissibile.
Manca infatti, completamente, l’illustrazione richiesta dalla seconda parte dell’art. 366-bis c.p.c. (norma applicabile nella specie ratione temporis) che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. tra le altre Cass. n. 8897 del 2008).
E’ poi appena il caso di rilevare che nella specie non solo manca la suddetta illustrazione ma in ogni caso manca completamente l’indicazione specifica di qualsivoglia fatto in relazione al quale la motivazione possa ritenersi viziata e, a fortiori, manca qualsiasi elemento idoneo ad evidenziare la decisività di tale fatto.
A ben vedere la ricorrente, pur denunciando un vizio di motivazione, sembrerebbe dolersi piuttosto della mancanza (o apparenza) della motivazione medesima, tuttavia non denuncia il corrispondente vizio di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (e ciò ad onta del principio di tassatività dei motivi di censura del ricorso per cassazione: v. tra le altre Cass. n. 18202 del 2008) nè, in ogni caso, espone il prescritto quesito di diritto, richiesto in tale diversa prospettiva.
7. Valendo la motivazione in tal modo inammissibilmente censurata a sorreggere da sola la decisione impugnata, diviene ultroneo l’esame del primo motivo di ricorso impingente la alternativa ratio decidendi sopra esposta.
L’accoglimento del motivo, infatti, non priverebbe comunque la sentenza del suo alternativo fondamento, sicchè la censura si appalesa non decisiva.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.400,00, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016