Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27146 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 27/11/2020), n.27146

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7690/2014 R.G. proposto da:

M.U., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale

alla lite, dall’Avv. Ferrari Paola Maddalena, con domicilio eletto

presso lo studio dell’Avv. Borrelli Caterina in Roma, via

Pinturicchio, n. 45;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia, n. 142/38/2013, depositata in data 25 settembre 2013

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Cataldi Michele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il contribuente Dott. M.U. ha presentato all’Agenzia delle entrate, il 30 maggio 2008 ed il 24 gennaio 2008, domanda di rimborso dell’importo di Euro 47.378,00, che assumeva indebitamente versato, a titolo di Irap, per gli anni d’imposta dal 1998 al 2009, affermando l’insussistenza del presupposto dell’autonoma organizzazione dell’attività professionale di medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.), esercitata nei medesimi periodi.

2. Avverso il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione sulle istanze di rimborso, il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecco, deducendo di aver svolto la propria attività avvalendosi esclusivamente di uno studio dove riceveva i pazienti, di un computer e di un telefax; di essersi avvalso di una segretaria, part-time, per fissare gli appuntamenti, solo dal 2004, con costi minimi, risultanti dai quadri RE allegati al prodotto Modello Unico; e di aver fatto ricorso a prestazioni di terzi, con modesti costi, esclusivamente per servirsi di un sostituto medico per periodi di ferie e di assenza, oltre che per l’assistenza di un commercialista.

La CTP ha respinto il ricorso del contribuente, ritenendo che il ricorrente svolgesse un’attività autonomamente organizzata, in quanto utilizzava capitali e personale, come risultava dai quadri RE delle sue dichiarazioni.

3. Il contribuente ha quindi proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, deducendo di aver dato la prova dell’insussistenza dell’autonoma organizzazione.

La CTR, con la sentenza n. 142/38/2013, depositata il 25 settembre 2013, ha respinto l’appello, ritenendo che il contribuente appellante non avesse assolto all’onere della prova circa l’insussistenza dell’autonoma organizzazione, presupposto dell’imposizione.

4. Il contribuente ha allora proposto ricorso per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando tre motivi. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita.

Questa Corte, con ordinanza interlocutoria, ha disposto la rinnovazione della notifica del ricorso all’Agenzia delle entrate, che era stata effettuata, tempestivamente, presso l’Avvocatura di Stato, che non rappresentava l’ufficio nei gradi di merito, ed era quindi nulla.

All’esito della rinnovata notifica, l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta:” erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per mancata ed errata valutazione delle prove offerte con conseguente mancato esame delle stesse nonchè per la mancata ed insufficiente, mancata ed illogicità e motivazione della sentenza”.

2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta:” erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro e mancata valutazione di fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, (2) (3) in quanto per contrasto con la L. 23 dicembre 1978, n. 8333 artt. 1 e 25 con la convenzione a.c.n. per la medicina generale, in particolare artt. 5, 6, 26, 36, 46 e 59 e con la Circ. Agenzia delle Entrate 28 maggio 2010, n. 28/e”.

3. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta:” erroneità ed infondatezza della motivazione della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa interpretazione di legge ed in particolare art. 50 TUIR e per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., al fine di affermare che il reddito del medico di medicina generale, in quanto presidio del servizio sanitario nazionale, rientra tra quelli descritti nell’art. 50 TUIR e quindi come lavoro subordinato”.

4. Preliminarmente, deve rilevarsi che – come eccepito anche dalla controricorrente Amministrazione- tutti e tre i motivi di ricorso sono inammissibili, per le plurime ragioni che infra verranno illustrate a proposito di ciascuno di essi. Per mera comodità espositiva, appare opportuno peraltro rilevare che vi è una ragione di inammissibilità comune a tutti i motivi, costituita dall’indissolubile commistione – non solo nella rubrica, ma anche nel corpo di ognuno di loro- tra vizi diversi (ed in particolare, tra quelli di cui ai numm. 3 e 5 e, e per il primo motivo, anche all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Deve infatti ritenersi inammissibile il motivo che consista nella contemporanea prospettazione delle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, se, come nel caso di specie, la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che da luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).

Nel ricorso per cui si procede, dunque, i distinti vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (e, nel caso del primo motivo, anche al n. 4), già cumulati nelle relative rubriche di ogni motivo di ricorso, risultano, anche nel contenuto di ciascun motivo, censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, se non tramite un ipotetico, ma inammissibile, intervento di selezione e ricostruzione di ciascun mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.

5. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile anche per ulteriori ragioni.

Infatti, l’evocazione di un vizio in procedendo, effettuata tramite il richiamo del num. 4 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, è indeterminata nel contenuto e priva di un concreto riferimento alla fattispecie processuale.

Allo stesso modo, la denuncia di una pretesa violazione di legge, ai sensi del richiamato num. 3 della stessa disposizione, è inammissibile perchè priva sia di puntuale riferimento (fosse anche necessariamente implicito) a qualsiasi norma; sia di specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 15/01/2015, n. 635; Cass. 29/11/2016, n. 24298, ex plurimis).

Inoltre, le censure di erroneità, infondatezza, insufficienza ed illogicità della motivazione, contemporaneamente evocate dal ricorrente nel primo motivo, non integrano vizi della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, che prevede esclusivamente l'” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Infine, il motivo, nel suo complesso, appare invero sostanzialmente finalizzato a sollecitare un’inammissibile nuova valutazione in fatto dell’assolvimento dell’onere probatorio, in ordine all’assenza del presupposto dell’autonoma organizzazione dell’attività del contribuente. La CTR, infatti, pur premettendo che non era stata depositata documentazione o che essa era solo di provenienza unilaterale, ne ha poi comunque valutato espressamente in fatto l’insufficienza ad assolvere il predetto onere probatorio, rimesso, senza contestazioni al riguardo, al ricorrente, che agisce per ottenere il preteso rimborso.

6. Anche il secondo motivo è inammissibile per ulteriori ragioni, oltre che per la premessa commistione di vizi denunciati.

Infatti, esso evoca norme di settore sul sistema sanitario nazionale, articoli della convenzione con i medici di famiglia e circolari dell’agenzia delle Entrate, senza tuttavia correlare tali fonti (peraltro alcune, come la prassi dell’Amministrazione finanziaria, anche prive di valenza normativa) alla fattispecie concreta sub iudice e, soprattutto, alla decisione impugnata, della quale quindi non attinge la ratio decidendi.

Infine, anche il preteso vizio della motivazione, laddove menziona la “mancata valutazione di fatti decisivi per il giudizio”, oltre ad essere frammisto in maniera inestricabile a valutazioni giuridiche, non evidenzia nella sostanza specifiche circostanze concrete, essendo formulato in termini astratti e generali e non riferiti puntualmente alla motivazione della sentenza impugnata ed al caso specifico sub iudice, e risultando pertanto inammissibile anche per tale ragione.

7. Infine, anche il terzo motivo è ulteriormente inammissibile. Infatti, premessa la già rilevata inammissibilità per la commistione tra i diversi vizi in esso denunciati, esso è inammissibile anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa (cfr. Cass., Sez. U., 21/03/2017, n. 7155).

Infatti, con il mezzo in esame il ricorrente assume, nella sostanza, che il medico di medicina generale, convenzionato con il servizio sanitario nazionale, sia a priori escluso dall’imposizione dell’Irap, in quanto lavoratore subordinato.

Per quanto qui rileva ai fini fiscali, ovvero in ordine alla pretesa esclusione in radice del medico generico convenzionato con la sanità pubblica dal novero dei soggetti passivi rispetto all’Irap, tale affermazione è in contrasto con l’orientamento costante di questa Corte, secondo il quale anche tale categoria di contribuenti è assoggettata alla predetta imposta, beninteso ove in concreto sia accertato nel merito il presupposto della fattispecie impositiva, ovvero l’autonoma organizzazione della relativa attività, declinata nelle varie componenti (di beni utilizzati e di impiego del lavoro di terzi) rilevanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 10240 del 28/04/2010; Cass. 05/02/2014, n. 2589; Cass. 27/01/2015, n. 1542; Cass. 29/03/2019, n. 8818). Non sussiste, pertanto, l’esclusione a priori dall’imposta, alla quale pare riferirsi il motivo in esame.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13d, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

 

 

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