Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27145 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 27/11/2020), n.27145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2053/2014 R.G. proposto da:

S.G., difeso e rappresentato, per procura speciale in

atti, dall’Avv. Pace Fabio, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Milano, corso di Porta Romana, n. 89/B;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Molise, n. 43/01/2013, depositata l’11 giugno 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Cataldi Michele.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha proceduto ad indagini finanziarie, ed in particolare bancarie, nei confronti di S.G.. All’esito di queste ultime, sulla base dei versamenti sui conti correnti non giustificati nel previo contraddittorio, ha notificato al medesimo contribuente tre distinti avvisi d’accertamento – rispettivamente relativi agli anni d’imposta 2005, 2006 e 2007- con i quali ha accertato, per ciascuna annualità, i maggiori imponibili in materia di Irpef, determinando la maggiore imposta, gli interessi e le sanzioni.

2. Avverso ciascun avviso d’accertamento il contribuente ha proposto autonomo ricorso dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Isernia che, dopo averli riuniti, li ha respinti.

3. Contro la sentenza di primo grado ha quindi proposto appello il contribuente dinnanzi la Commissione Tributaria Regionale del Molise che, con la sentenza n. 43/01/2013, depositata l’11 giugno 2013, lo ha rigettato.

4. Avverso la sentenza d’appello ha infine proposto ricorso per cassazione lo stesso contribuente, affidandolo a cinque motivi.

5. L’Ufficio si è costituito con controricorso.

6. Il contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contribuente lamenta la violazione o la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e dell’art. 24 Cost., per la mancata allegazione agli avvisi d’accertamento dell’autorizzazione alle indagini finanziarie.

Il motivo è infondato.

Infatti, in tema di accertamento delle imposte, l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, nonostante il nomen iuris adottato, esplica una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, ed ha natura di atto meramente preparatorio che, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo e non richiede motivazione (cfr. Cass. n. 19564 del 24/07/2018, anche in motivazione; Cass. 3 agosto 2012, n. 14026). Pertanto, la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 10/02/2017, n. 3628, in materia di Iva, ma sulla base della medesima funzione, organizzativa ed incidente nei rapporti tra uffici, dell’autorizzazione alle indagini).

L’inesistenza dell’autorizzazione in questione non è stata allegata dal ricorrente, che ne ha censurato solo la mancata allegazione all’accertamento impugnato.

La motivazione della stessa autorizzazione, come rilevato dalla citata giurisprudenza di legittimità, non è necessaria, pertanto la mancanza o la carenza di essa non determina l’invalidità del successivo accertamento conseguente alle attività autorizzate.

Tanto premesso, già sufficiente al rigetto del motivo, deve aggiungersi, con riferimento alle ulteriori deduzioni sul punto del ricorrente nella memoria, che le pretese carenze dell’autorizzazione non hanno comunque impedito al contribuente di difendersi ampiamente, nei gradi precedenti ed in questa sede, con riferimento al merito dell’atto impositivo, e che le questioni relative alla qualificazione dell’accertamento e del reddito accertato sono, infatti, oggetto di successivi ulteriori motivi di ricorso, sui quali infra.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contribuente lamenta la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 38, per insussistenza, rispetto agli atti impositivi controversi, dei presupposti dell’accertamento sintetico “e/o” dell'”accertamento bancario”, che la sentenza impugnata avrebbe peraltro erroneamente confuso tra loro.

Nella sostanza, nell’articolato motivo, il ricorrente premette di aver contestato nei giudizi di merito che, nel caso di specie, ricorressero i presupposti dell’accertamento sintetico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, applicabile ratione temporis, sia sotto il profilo dello scostamento, nella misura di almeno un quarto, del reddito dichiarato rispetto a quello complessivo netto accertabile sinteticamente; sia sotto il profilo del possesso, da parte del contribuente, di beni indicativi di capacità contributiva, rispetto ai quali il reddito dichiarato non risulti congruo per due o più periodi d’imposta.

Infatti, secondo il ricorrente, gli accertamenti controversi trovavano fondamento esclusivamente nei risultati delle indagini finanziarie effettuate dall’Amministrazione. Tuttavia, sempre a dire del contribuente, nel caso sub iudice difettavano i presupposti per poter ricorrere allo strumento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7. E comunque, aggiunge il contribuente, l'”accertamento bancario” di cui a tale norma non potrebbe essere esperito a carico di qualsiasi contribuente, solo perchè titolare di un conto corrente bancario, ma presupporrebbe, a differenza dell’accertamento sintetico, l’indicazione specifica e la prova, offerta aliunde da parte dell’Amministrazione, della fonte e della categoria del reddito evaso ripreso a tassazione, che gli esiti delle indagini finanziarie consentirebbero solo di quantificare, una volta dimostratone altrimenti l’an.

Gli accertamenti in questione avrebbero quindi violato il predetto D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, per aver imputato al contribuente, che svolgeva l’attività di amministratore e socio al 99% della Sp Cost.ruzioni generali s.r.l., un maggior reddito determinato in maniera sintetica, esclusivamente sulla base degli esiti delle indagini bancarie e senza la specifica indicazione della fonte e della categoria dello stesso. Il motivo è infondato.

Invero, quanto alla qualificazione degli atti impositivi, ai fini dell’applicazione dell’invocata disciplina, è lo stesso ricorrente che, nel corpo del motivo (e passim nel ricorso tutto e nella memoria) espressamente esclude che, nella fattispecie concreta sub iudice, l’Amministrazione abbia di fatto eseguito degli accertamenti sintetici, ai sensi del quarto e del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 38, comma 5 applicabile ratione temporis (ovvero antecedente alla novella di cui al D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, convertito nella L. 30 luglio 2010, n. 122).

Rileva infatti il ricorrente che “dall’avviso di accertamento si evince che alcun maggior reddito accertabile scaturisce dall’applicazione degli indici di capacità contributiva ai fini della determinazione del reddito sintetico, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, commi 4 e 5” (pag. 29 del ricorso), che “con riguardo agli elementi di capacità contributiva dedotti ma non specificati dall’ufficio (…) non è stato dedotto alcuno scostamento rilevante ai fini dell’accertamento sintetico rispetto al reddito dichiarato” (ibidem) e che “Di fatto l’accertamento si è fondato – unicamente- sulle contestazione delle movimentazioni sul conto corrente del contribuente” (pag. 26 del ricorso).

Pertanto, dato atto che il ricorrente assume che, nella sostanza, gli atti impositivi integrino un “accertamento bancario”, nel senso che esso è fondato essenzialmente sulle indagini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, occorre valutare le pretese violazioni di tale disposizione che lo stesso contribuente individua nel motivo in trattazione.

Deve premettersi, al riguardo, che il chiaro dato testuale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, – secondo il quale ” (…) I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’art. 33, commi 2 e 3, o acquisiti ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 18, comma 3, lett. b), sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41(…) ” – evidenzia già la relazione funzionale che può intercorrere tra le indagini ed i conseguenti provvedimenti impositivi, nel senso che le prime costituiscono un potere istruttorio che consente di acquisire dati da porre a base dei secondi, quindi anche della rettifica del reddito delle persone fisiche di cui al predetto art. 38, che disciplina nel secondo e comma 3 anche l’accertamento del reddito con metodo analitico, e solo nei successivi l’accertamento sintetico.

2.1. Tanto premesso, deve innanzitutto escludersi che possa rilevare l’asserita “omessa motivazione e prova”, negli atti impositivi, dei presupposti dell'”accertamento bancario” (cfr. pag. 29 del ricorso), ovvero del ricorso alle indagini bancarie.

Infatti, per quanto già rilevato in ordine alla natura delle indagini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, la censura deve intendersi riferita alla pretesa mancanza di motivazione dell’attivazione del potere istruttorio in questione e coincide quindi, nella sostanza, con la mancata allegazione agli avvisi d’accertamento della relativa autorizzazione alle indagini finanziarie, censurata già con il primo motivo. Si deve pertanto ribadire che l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo, non richiede motivazione (cfr. Cass. n. 19564 del 24/07/2018, anche in motivazione; Cass. 3 agosto 2012, n. 14026, ex plurimis) e non deve necessariamente essere esibita all’interessato ed allegata all’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che è illegittimo solo ove l’autorizzazione difetti materialmente e ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 10/02/2017, n. 3628).

Non sussisteva, pertanto, uno specifico obbligo dell’Amministrazione di motivare in ordine alle ragioni della richiesta di autorizzazione alle indagini espletate, ovvero rispetto ai presupposti del legittimo (perchè autorizzato) ricorso a tale potere istruttorio, che comunque ha lo scopo di ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale del soggetto sottoposto a controllo, specie in presenza di elementi di capacità contributiva in contrasto con i redditi dichiarati (cfr. anche Circolare Agenzia delle Entrate, 6 agosto 2014, n. 25/E).

2.2. Quanto poi all’estensione soggettiva delle risultanze dell’esercizio del potere istruttorio di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, e delle risposte del contribuente invitato, a norma del precedente num. 2, a fornire dati e notizie relativamente ai rapporti ed alle operazioni acquisiti dall’Ufficio, questa Corte, con orientamento cui si intende dare continuità, ha ritenuto che “In tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti.” (Cass.16/11/2018, n. 29572. Nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 20/01/2017, n. 1519; Cass. 28/02/2017, n. 5152 e n. 5153; Cass. 09/08/2017, n. 19806; Cass. 09/08/2016, n. 16697 del 2016; Cass. 02/10/2013, n. 22514, in motivazione, secondo cui la limitazione dell’ambito applicativo della presunzione in esame ai soli soggetti esercitanti attività d’impresa commerciale, agricola, artistica o professionale è priva di qualsivoglia riscontro normativo; contra Cass. 30/11/2009, n. 25132, in motivazione, secondo cui il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, “non è però norma che di per sè legittima l’accertamento a carico di qualunque soggetto che abbia intestato un conto corrente”, e Cass. 11/11/2009, n. 23852, entrambe citate dal ricorrente).

Premessa quindi l’estensione anche ai contribuenti che non esercitino attività d’impresa o di lavoro autonomo della presunzione legale desumibile dalle risultanze dei conti bancari, deve altresì darsi atto che nel caso di specie, per quanto risulta dalle difese delle parti, non si è posta la questione dell’irrilevanza istruttoria delle operazioni bancarie di prelevamento, all’esito della richiamata sentenza della Corte costituzionale 06/10/2014, n. 228, poichè sono tuttora in contestazione quelle di versamento, ovvero quelle che hanno creato disponibilità per il contribuente.

2.3. Infine, per quanto attiene la pretesa necessità (sostenuta dal ricorrente anche sulla scorta della già citata giurisprudenza, fondata tuttavia sul presupposto, superato dal richiamato orientamento di legittimità, dell’inapplicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, a qualsiasi contribuente) che l’Ufficio alleghi e provi, aliunde e preventivamente, la specifica attività dalla quale derivi il maggior reddito presumibile dalle indagini bancarie, che avrebbero quindi esclusivamente la funzione di determinare il quantum del relativo imponibile, deve rilevarsi che invece, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, dando continuità ad un orientamento conforme precedente, ” quando sussistono flussi finanziari che non trovano corrispondenza nella dichiarazione dei redditi, il recupero fiscale non è subordinato alla prova preventiva che il contribuente eserciti una specifica attività; in assenza di contestazione sulla legittimità dell’acquisizione dei dati risultanti dai conti correnti bancari, i dati medesimi possono, infatti, essere utilizzati sia per dimostrare l’esistenza di un’eventuale attività occulta (impresa, arte o professione), sia per quantificare il reddito ricavato da tale attività, incombendo al contribuente l’onere di dimostrare che i movimenti bancari, che non trovano giustificazione sulla base delle sue dichiarazioni, non sono fiscalmente rilevanti.” (Cass. 13/05/2011, n. 10578, e precedenti ivi richiamati. Nello stesso senso, con specifico riferimento all’esclusione della necessità che l’Amministrazione, qualora si avvalga legittimamente della presunzione in parola, sia obbligata a qualificare il reddito corrispondente presunto, Cass. 31/01/2017, n. 2432, in motivazione).

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente contribuente lamenta l'”insufficiente motivazione (…) circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’idoneità delle circostanze dedotte e provate dal contribuente a giustificare la provvista delle movimentazioni bancarie contestate”.

Il motivo è inammissibile, in quanto il vizio che denuncia non è previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, in considerazione della data di deposito della sentenza impugnata.

4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente contribuente lamenta l'”omesso esame (…) circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’idoneità delle circostanze dedotte e provate dal contribuente a giustificare la provvista delle movimentazioni bancarie contestate”.

5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contribuente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 167 c.p.c., “in relazione alla sussistenza della prova giustificativa delle movimentazioni bancarie”.

5.1. Il quarto ed il quinto motivo, sostanzialmente pressochè sovrapponibili e comunque strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono, per la maggior parte del loro contenuto, inammissibili.

Infatti, fatta salva l’eccezione di cui infra si dirà, tanto nella sua rubrica, quanto nel suo corpo, la censura di cui al quarto motivo non attinge uno specifico fatto storico del quale il giudice a quo abbia omesso l’esame, ma pretende di criticare la valutazione della CTR in ordine all'”idoneità delle circostanze dedotte e provate” dal contribuente a superare le presunzioni derivanti dall’indagine bancaria, sollecitando, al pari della sostanza del quinto motivo, una mera rivisitazione del giudizio in fatto, inammissibile in questa sede.

Inoltre, i due motivi sono inammissibili anche perchè non risulta adempiuta, nel corpo degli stessi, la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti (nel caso di specie, di quelli che dovrebbero costituire la prova contraria offerta dal contribuente) sui quali esso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).

Tuttavia, fa eccezione alla rilevata inammissibilità la parte della censura – sostanzialmente reiterata in entrambi i motivi in trattazione-che si riferisce alla disponibilità liquida del contribuente derivante dall’asserita vendita di un quadro, alla quale il ricorrente riconnette tre versamenti bancari specifici. Si tratta, invero, dell’allegazione di fatti storici (la vendita ed i versamenti che ad essa sarebbero correlati) che la sentenza impugnata non prende in esame, ma rispetto alla cui allegazione e documentazione nei giudizi di merito il ricorso, nel corpo del motivo, fornisce indicazioni.

E’ quindi necessario che, in ordine ai predetti fatti, si svolga quell’accertamento in fatto che non emerge dalla motivazione della sentenza d’appello.

P.Q.M.

Accoglie il quarto ed il quinto motivo, nei termini di cui in motivazione, e rigetta i restanti;

cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

 

 

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