Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27144 del 27/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 27/11/2020), n.27144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28495/2016 proposto da:

B.C., B.D., BA.DA.,

B.E., B.O. e B.P., rappresentati e difesi

dagli Avv. Osnato Angelo e Alessandri Alessandro ed elettivamente

domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Via G. Antonelli

n. 50;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2358/13/15 della Commissione tributaria

Regionale dell’Emilia Romagna, sezione di Bologna, depositata il

13/11/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2020

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. L’Agenzia del Territorio di Ferrara, il 6.11.2004, notificava a B.C., B.D., Ba.Da., B.E., B.O. e Baldovino Paolo avviso di accertamento attribuendo la categoria D/6, con conseguente modifica della rendita catastale, al complesso immobiliare costituente un centro ippico di proprietà dei contribuenti.

2. I signori B. proponevano ricorso eccependo che il suddetto centro ippico era concesso in comodato ad associazioni sportive dilettantistiche per l’esercizio di attività equestri senza fine di lucro e, pertanto, lo stesso doveva essere classificato nella categoria C/4 risultando, comunque, incongrua la valutazione effettuata dall’Agenzia del Territorio.

3. La CTR, con sentenza n. 3/02/2009 del 12.1.2009, sul presupposto che la categoria di un immobile proposta dal contribuente in sede di DOCFA non poteva essere in discussione in occasione della determinazione della rendita catastale, accoglieva l’appello dell’Agenzia.

4. Questa Corte con sentenza n. 7077 del 2014, in accoglimento del ricorso proposto dai contribuenti affermava il diritto di quest’ultimi ad impugnare l’avviso di accertamento, rilevava che la CTR aveva erroneamente operato nel rideterminare le categorie, le classi e le rendite riferite alle singole unità immobiliari.

5. Con sentenza n. 2358/13/15, depositata il 13/11/2015, la CTR procedeva alla nuova determinazione della rendita degli immobili di proprietà dei contribuenti.

6. Avverso tale sentenza i ricorrenti propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

7. L’Agenzia delle entrate, con successivo ricorso, ha censurato la sentenza della CTR con tre diversi motivi.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. In via preliminarmente, va disposta la riunione delle impugnazioni, che nella specie è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto queste investono lo stesso provvedimento (Cass. sez. un. 1521 del 2013; conf. Cass. n. 27550 del 2018).

Inoltre, il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte (come nella specie quello proposto dall’Agenzia) indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (ex plurimis Cass. n. 448 del 2020, n. 2516 del 2016, n. 5695 del 2015).

2. I contribuenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 8, 9, 11 e 12 in relazione al D.P.R. n. 1142 del 1949, artt. 44, 45, 46 e 47, per avere la CTR quantificato la rendita attribuita al fabbricato indicato con la lettera a) – (fabbricato rurale, già uso abitazione, denominato “A”, circolo soci) e facente parte del più ampio compendio immobiliare costituente il circolo ippico oggetto dell’avviso impugnato di proprietà dei ricorrenti – sulla base della sua consistenza rappresentata dall’estensione in metri quadrati, anzichè assumere come elemento unitario il vano utile.

A sostegno della censura i ricorrenti rilevano, poi, l’inapplicabilità del D.L. n. 557 del 1993, art. 9 comma 11, nella parte in cui dispone che dal 1 gennaio 1997 le tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria sono determinate con riferimento al metro quadrato di superficie catastale, nonchè del D.P.R. n. 138 del 1998, art. 3, comma 1, il quale ribadisce che l’unità di consistenza delle unità urbane a destinazione ordinaria indicata nel metro quadro generale è il metro quadrato di superficie catastale. L’inoperatività di tali disposizioni discenderebbe, infatti, dall’assenza della revisione delle zone censuarie (D.L. n. 16 del 1993ex art. 2) e del catasto fabbricati (L. n. 23 del 2014, ex art. 2), assumendo comunque rilievo la circostanza che l’avviso impugnato è intervenuto a rettifica della variazione DOCFA avvenuta il 16.12. 1992.

2. L’Agenzia delle entrate censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza di merito per violazione del R.D.L. n. 652 del 1939 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40 per non avere la CTR fatto corretta applicazione dei principi in materia catastale.

In particolare, l’Amministrazione rileva l’errato classamento operato dalla CTR, non avendo i giudici di merito correttamente applicato la nozione di unità immobiliare urbana, assumendo all’uopo rilievo il fatto che i diversi manufatti oggetto dell’avviso impugnato fanno parte di un centro ippico facente capo ad un’unica proprietà e, pertanto, devono essere considerati unitariamente. Parimenti, la CTR avrebbe fatto cattivo uso dei concetti di “categoria speciale o particolare” e “categoria ordinaria”, avendo incluso in quest’ultima – con relativa attribuzione della categoria C/6, anzichè quella D – alcuni immobili dei contribuenti le cui dimensioni erano rispettivamente di 386 mq, 906 mq, 613 mq, laddove il Comune di Ferrara (ove tali immobili insistevano) riconosceva tale categoria ad immobili con estensione massima di 100 mq.

Infine, a parere dell’Agenzia delle entrate, la CTR non avrebbe tenuto conto della finalità di lucro o, comunque, commerciale degli immobili in esame per le quali non sarebbe stato possibile l’attribuzione della categoria C, dovendo essere ricomprese nella categoria D (D.P.R. n. 1142 del 1949, ex art. 8); finalità di lucro per la quale non sarebbe intervenuto alcun giudicato parziale, seppure affermato da questa Corte con la sentenza di annullamento stante l’assenza sul punto di alcuna specifica censura da parte dell’Agenzia, in quanto, in realtà, la questione non sarebbe stata oggetto di una esplicita statuizione da parte del giudice di merito.

3. Con il secondo motivo, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla L. n. 662 del 1996 e al D.P.R. n. 138 del 1998, art. 3.

La ricorrente, in termini sostanzialmente identici ai motivi oggetto del ricorso dei contribuenti, censura la sentenza della CTR nella parte in cui ha determinato la rendita catastale dell’immobile adibito a “circolo soci” secondo la sua estensione in metri quadrati e non secondo quella dei vani.

4. Con il terzo motivo l’Agenzia delle entrate lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 9 e della circolare n. 5 del 1992 della Direzione Generale del Catasto.

Ritiene la ricorrente che la CTR ha erroneamente classificato l’immobile adibito a circolo soci nella categoria A/6 (Abitazioni di tipo rurale), in quanto non ha tenuto conto delle reale condizioni d’uso del bene.

5. Deve essere in limine disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dai contribuenti afferente al primo motivo di ricorso proposto dall’Avvocatura generale dello Stato in quanto concernente elementi di fatto oggetto di accertamento di merito operato dalla Commissione tributaria regionale.

Sul punto è sufficiente osservare che l’impugnazione proposta non investe come è reso palese dalla illustrazione dei relativi motivi – l’accertamento in punto di fatto del giudice di merito (è pacifico e fuori discussione che gli immobili oggetto dell’avviso erano parte del più ampio compendio immobiliare costituente un centro ippico), bensì la qualificazione giuridica della “unità immobiliare urbana”.

6. Sempre in via preliminare deve rilevarsi che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa erariale, con la sentenza n. 7077 del 2014, questa Corte nel cassare con rinvio, ha affermato l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla CTR nella parte in cui aveva fondato il rigetto del ricorso dei contribuenti per l’irrilevanza del “fine di lucro”. In particolare, la Corte rilevava che “secondo la statuizione della CTR, “il classamento catastale prescinde dalle caratteristiche soggettive dell’ente che ne fruisce”. Ora, come evidenzia l’ampio riassunto dei motivi, questa preventiva e specifica ratio decidendi non è stata impugnata” con conseguente intervenuto giudicato sul punto.

6. Nel merito, il primo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate non è fondato.

La censura non coglie la ratio della disciplina sul nuovo catasto e oblitera il principio dell’onere della prova posto a carico dell’Amministrazione nel processo tributario.

La ricorrente lamenta che gli immobili dei contribuenti dovevano essere unitariamente considerati e, in ragione della loro finalità di lucro e delle loro caratteristiche, dovevano essere classificate nella categoria D/6.

E’ pacifico tra le parti che gli immobili dei contribuenti oggetto dell’avviso di accertamento fanno parte di un unico complesso immobiliare adibito a verdelmaneggio e precisamente: da un fabbricato di mq 236 adibito a circolo soci, fabbricato di mq 386 adibito a stalla, da un maneggio di mq. 5.435, da fabbricato di mq. 2.420 adibito a box e magazzino e da tre campi di tennis della complessiva superficie di mq. 1.869.

Orbene, il nuovo catasto edilizio urbano, istituito con la L. n. 1249 del 1939, e successivo regolamento n. 1142 del 1949, ha segnato una svolta decisiva nel sistema d’imposizione del reddito dei fabbricati, sia per quanto riguarda il meccanismo di accertamento, basato sopra un’indagine tecnica oggettiva, sia per quanto concerne la determinazione dell’imponibile, impostata su metodi prettamente catastali. L’accertamento della proprietà urbana non è più riferito all’entità fisica fabbricato, ma all’entità economica unità immobiliare, intendendosi per tale ogni fabbricato o insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta un cespite indipendente.

Alla luce di quanto sopra deve affermarsi che la normativa catastale non fa riferimento ai beni come oggetto di diritti, ma in quanto abbiano una autonoma utilità e capacità reddituale, nè considera, a detti fini, gli “immobili”, bensì le “unità immobiliari” (R.D.L. n. 652 del 1939, art. 3 e D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 3), le quali possono esser costituite sia da porzioni di immobili, sia da complessi di beni che solo dal loro collegamento acquistano l’utilità e la capacità reddituale di cui sono ordinariamente privi. Precisa, infatti, il citato R.D.L., art. 5 che “Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”; principio ripreso dal D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 40 il quale prevede che “Si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato od insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente”.

L’oggetto dell’accertamento è, dunque, l’unità immobiliare e la relativa imposta non viene determinata con riguardo al reddito effettivo annuale di ciascuna unità, ma in base alla rendita media ordinaria della categoria di appartenenza. In particolare, il R.D.L. n. 652 del 1939, art. 8, comma 1, stabilisce che “Per la determinazione della rendita, le unità immobiliari di gruppi di comuni, comune o porzione di comune, sono distinte, a seconda delle loro condizioni estrinseche ed intrinseche, in categorie e ciascuna categoria in classi” (comma così sostituito dalla L. 30 dicembre 1989, n. 427, art. 2). Le categorie sono state definite sulla base di tre gruppi fondamentali – immobili a destinazione ordinaria (Cat. A, B., C.), immobili a destinazione speciale (Cat. D), immobili a destinazione particolare (Cat. E) – ognuno dei quali comprende ulteriori gruppi di categorie omogenee.

Le categorie ordinarie “A”, “B” e “C” sono contraddistinte dall’ordinarietà dei caratteri e dal livello di diffusione sul territorio, elementi che hanno permesso, all’epoca della formazione o successivamente, la creazione di insiemi d’immobili, omogenei per i caratteri intriseci (categorie) e reddituali (classi). Le categorie speciali “D”, invece, sono raggruppate per la specifica caratterizzazione tipologica, costruttiva e dimensionali degli immobili (tali da non permettere una utilizzazione diversa senza radicali trasformazioni) e per la finalizzazione degli stessi a speciali esigenze industriali e commerciali.

In particolare, le categorie D ed E comprendono, rispettivamente, gli immobili a destinazione speciale e particolare, cioè quelli per i quali la L. n. 1249 del 1939, art. 10 prevede che la rendita catastale di opifici ed in genere dei fabbricati destinati a teatri, alberghi, ecc. sia determinata con stima diretta per ogni singola unità.

Consegue da tali principi che ciò che rileva ai fini catastali è l’unità immobiliare e, ai fini dell’attribuzione a questa di una determinata categoria catastale è l’attività che ivi si svolge, non assumendo carattere decisivo il fatto che detta unità faccia parte di un complesso immobiliare, trattandosi di circostanza inidonea a mutare la natura e la destinazione dell’immobile, ove quest’ultimo sia dotato di una propria autonomia. In sostanza, è l’attività sopraindicata che costituisce requisito indispensabile e necessario per l’attribuzione della categoria catastale, non potendo il solo fatto di far parte di un complesso, se la stessa è dotata di una propria autonomia, (cosa che sembrerebbe avvalorata dall’attribuzione di una propria individuale classificazione catastale anzichè essere considerato come subalterno di un unico immobile), mutarne la natura e la destinazione.

La CTR ha fatto buon governo di tali principi.

Ed invero, dalla lettura dalla sentenza risulta che i giudici di merito, con giudizio insindacabile in questa sede, hanno in primo luogo rilevato che gli immobili facenti parte del centro ippico in esame, sulla base della documentazione prodotta dai contribuenti e, in particolare, dallo Statuto del “Circolo ippico O. B.”, non potevano ricondursi alla categoria D (Immobili a destinazione speciale) e, in particolare, in quella D/6 (fabbricati e locali per esercizi sportivi quando hanno fine di lucro). In particolare, dallo Statuto risultava l’assenza di finalità di lucro del circolo; circostanza confermata dal fatto che l’ente che ivi svolgeva attività sportiva in regime di comodato era una Associazione sportiva dilettantistica non riconosciuta affiliata alla federazione italiana sport equestri (F.I.S.E.). A fondamento di quanto sopra la CTR ha, poi, anche rilevato che l’Agenzia del territorio “non ha fornito alcuna prova circa la natura commerciale dell’attività svolta dall’associazione”, assumendo rilievo la struttura impugnatoria del processo tributario per effetto della quale è all’amministrazione che ha la veste di attore sostanziale e, che, quindi, ha l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere con il proprio operato, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimità sugli atti emessi dagli Uffici. Affermata, dunque, correttamente la natura non commerciale degli immobili oggetto di accertamento la CTR ha proceduto, sul presupposto della loro autonoma autonomia reddituale, all’attribuzione della singola categoria e classe.

7. Il motivo di ricorso proposto dai ricorrenti e il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate, da trattarsi congiuntamente stante la loro sostanziale sovrapponibilità, sono fondati.

Il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 45 (Misura della consistenza a vano) del, inserito nel Capo V (Dell’Accertamento), prevede che “per la misura della consistenza dell’unità immobiliare con destinazione ordinaria ad uso di abitazione si assume come elemento unitario il vano utile”. A fronte di tale indicazione, nell’ambito di un processo di revisione generale del sistema catastale edilizio urbano, il D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 11, prevede, così come aggiunto dalla legge di conversione n. 133 del 1994 e successivamente sostituito dal D.L. 28 giugno 1995, n. 250, art. 1, che “a decorrere dal 1 gennaio 1997 le tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria sono determinate con riferimento al “metro quadrato” di superficie catastale”. Allo stesso modo il D.P.R. n. 138 del 1998, art. 3, comma 1, (Regolamento recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri nonchè delle commissioni censuarie in esecuzione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, commi 154 e 155), prevede che “L’unità di consistenza delle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria indicate nel quadro generale, di cui all’allegato 8, è il metro quadrato di superficie catastale”. La L. n. 662 del 1996 (legge finanziaria per il 1997) prevedeva (art. 3, comma 157) che con uno o più regolamenti, fosse disposta la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo, della qualificazione, della classificazione e del classamento delle unità immobiliari e dei terreni. In attuazione di tale norma è stato emanato il suindicato D.P.R. n. 138 del 1998 che ha solo delineato un processo di revisione generalizzato del sistema catastale edilizio urbano, di fatto, rimasto inattuato. Parimenti non risulta attuata l’analoga riforma del catasto di cui alla legge delega L. n. 23 del 2014, laddove l’art. 2 (Revisione del catasto dei fabbricati) al comma 1, lett. h) dispone che il valore patrimoniale medio ordinario delle unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria sia determinato utilizzando, tra l’altro, “il metro quadrato come unità di consistenza”.

In ragione di quanto sopra la CTR, nell’applicare per l’immobile adibito a circolo soci – inserito nella Cat. A/6, abitazione di tipo rurale – il metro quadrato e non il vano utile al fine di determinarne la rendita, non ha correttamente applicato la normativa di riferimento.

8. Il terzo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate non è fondato Va osservato che la CTR, con accertamento in fatto non censurabile nel giudizio di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione, ha rilevato che dalla perizia tecnica asseverata e dal resoconto di stima del valore di mercato, l’immobile adibito a circolo dei soci è costituito da un fabbricato rurale, già ad uso abitazione, assumendo all’uopo rilievo l’attività ricreativa e non commerciale svolta all’interno di tale immobile e, più in generale, nella struttura facente capo alla contribuente. Ai fini del corretto inquadramento dell’immobile in esame compiuto dalla CTR assume rilievo l’ubicazione dello stesso in aperta campagna (cfr. controricorso della contribuente pag. 21 che sul punto richiama la descrizione contenuta nella perizia posta a fondamento del decisum della CTR).

9. In conclusione, deve essere accolto il ricorso proposto dai contribuenti e il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia delle entrate, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra Sezione della CTR per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna che nel decidere la controversia dovrà uniformarsi ai superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2020

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