Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27135 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/10/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 23/10/2019), n.27135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1635/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

L.C., rappresentata e difesa dall’avv.to Cesare Chiarinelli,

domiciliata presso lo studio del difensore, via S. Tommaso D’Aquino

Roma;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 3522/38/14, depositata in data 27/5/2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16 aprile

2019 dal Consigliere Adet Toni Novik.

Fatto

1. Con sentenza n. 3522/38/14 del 5 marzo 2014, depositata il 27 maggio successivo, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (CTR) respingeva l’appello proposto dalla Agenzia delle dogane, avverso la sentenza di primo grado della commissione tributaria provinciale di Roma (CTP) che aveva a sua volta accolto il ricorso di L.C. (di seguito, la contribuente) contro l’avviso di pagamento e irrogazione di sanzioni emesso dall’Agenzia, relativo all’imposta erariale su consumi di energia elettrica, avvenuti abusivamente tra il 2005 e il 2008 attraverso il contatore installato in immobile di proprietà della stessa L..

2. Ad avviso della CTR, correttamente la sentenza di primo grado aveva valorizzato la circostanza che l’immobile era pervenuto alla contribuente dopo una serie di vicissitudini ereditarie e giudiziarie e che la stessa non vi aveva mai abitato. Era rimasto ignoto colui che aveva abusivamente utilizzato l’energia elettrica attraverso il misuratore di energia, rimasto “adespota” dopo la rescissione del contratto di somministrazione.

3. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle dogane sulla base di un unico motivo. La parte intimata non ha svolto difese.

Diritto

1. Con il motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, comma 3, dell’art. 1804 c.c., del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si sostiene che, essendo incontestato che la contribuente era la proprietaria dell’immobile ove era installato il contatore, essa come comodatario era soggetta agli obblighi di diligenza che incombono al custode. Era suo preciso dovere, pertanto, controllare che il contatore non fosse oggetto di manomissione da parte di terzi. La contribuente aveva violato l’obbligo di custodia per non avere controllato il misuratore dell’energia elettrica quando, a seguito della cessazione del contratto di locazione, era rientrata nella disponibilità dell’appartamento.

Il motivo è fondato e il ricorso va accolto.

Incontestato in punto di fatto che il contatore attraverso cui fu sottratta l’energia elettrica era installato in un immobile di proprietà della contribuente e che non è stato possibile risalire a chi materialmente effettuò l’allaccio abusivo, è pertinente l’argomentazione espressa dall’Agenzia ricorrente secondo cui era onere della contribuente, comodataria del bene, vigilare e verificare che non si verificassero illecite manomissioni, a prescindere che essa vi abitasse o meno. In questo modo, si sarebbe accorta che il contatore continuava ad erogare energia elettrica. Questa Corte ha già affermato il principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, ritiene sufficiente la coscienza e la volontà, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Sez. 5, Sentenza n. 22890 del 25/10/2006, Rv. 595873 – 01).

2. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la reiezione della domanda introduttiva della contribuente.

3. Le spese dei giudizi di merito vanno compensate. Quelle di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge l’originario ricorso; dichiara compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna l’intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 800, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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