Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27131 del 28/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 28/12/2016, (ud. 14/10/2016, dep.28/12/2016),  n. 27131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16395/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA VICOLO ORBITELLI

31, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARDARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CEOLA giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2010 della COMM. TRIBUTARIA 2^ GRADO di

TRENTO, depositata il 22/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per la controricorrente l’Avvocato BASILAVECCHIA per delega

dell’Avvocato CARDARELLI che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto del 7 giugno 2011, l’Agenzia delle entrate ricorre con unico mezzo per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Trento, n. 23/02/10 dep. il 22/6/2010, che in riforma della sentenza di primo grado ha accolto l’appello di P.S.. Questa, con atto del (OMISSIS) aveva donato ai tre figli ( C.F., E. e L.), un terreno in Rovereto per un valore dichiarato di Euro 738.593,37; successivamente, in data (OMISSIS), i donatari avevano venduto il terreno alla società Rialto costruzioni ad un prezzo coincidente con il valore dichiarato nella donazione. In considerazione dell’esatta coincidenza fra il valore indicato nei due atti, nonchè del breve lasso di tempo intercorso fra essi, l’Agenzia delle entrate notificava avviso di accertamento, per Irpef, anno d’imposta 2002, considerando l’operazione priva di valide ragioni economiche e posta in essere al solo fine di conseguire un indebito risparmio d’imposta (consistente nel mancato pagamento della plusvalenza, del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81, comma 1, lett. b) e art. 82, comma 1). Contro l’avviso di accertamento la contribuente proponeva ricorso, che la Commissione di primo grado di Trento rigettava, con decisione poi riformata dalla sentenza impugnata.

In particolare la Commissione di secondo grado, aderendo alla risultanze della CTU, ha ritenuto prive di fondamento anche le altre presunzioni, integranti secondo l’Ufficio, un supposto accordo simulatorio tra donante, donatari e terzo acquirente (interposizione fittizia di persona), al fine di eludere il pagamento della plusvalenza (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, comma 3). In particolare i giudici di appello, hanno considerato la donazione “perfettamente valida ed efficace e la sua causa del tutto lecita” in quanto avvenuta “in un contesto familiare per disciplinare i rapporti patrimoniali fra genitori e figli”; e così la successiva vendita, conclusa a prezzi di mercato. Quanto alla prova della simulazione, hanno ritenuto “del tutto provato che solo in capo ai donatari siano entrati i denari della vendita” in base all’apertura di un conto corrente a nome di uno dei figli ( C.L.) e altra documentazione prodotta in primo grado ed erroneamente disattesa dai primi giudici, risultando peraltro non contestata dall’Ufficio che non sussiste prova che i proventi della compravendita siano rientrati nel patrimonio e nella disponibilità della P.. La Commissione ha infine escluso la ricorrenza nella fattispecie dell’abuso del diritto, di cui mancherebbe la prova, ricadente sull’Amministrazione.

La contribuente si costituisce con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo del ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione di legge (artt. 2727 e 2729 c.c.m in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3 e art. 37 bis, commi 1 e 2; e dell’art. 1322 c.c.), nonchè del principio di abuso del diritto, in combinato disposto con l’art. 81 comma 1 T.U.I.R. (ora art. 6 T.U.I.R.).

2. Il motivo è infondato

2.1. La Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di presunzioni e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, il quale espressamente prevede che “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti “quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

La CTR, infatti, lungi dall’affermare che l’intento elusivo non si può ricavare da semplici indizi, seppur gravi precisi e concordanti, ha dimostrato con congrua motivazione l’inconsistenza degli indizi addotti dall’Ufficio a sostegno del preteso intento elusivo dell’operazione, in quanto superati dalle prove positive addotte dalla contribuente. Ciò in relazione all’apertura di un conto corrente a nome di uno dei figli ( C.L.) e alla ulteriore documentazione prodotta in primo grado (estratti conto, fatture di acquisto, ricevute, ecc.), non contestata dall’Ufficio, idonea a dimostrare che non sussiste prova che i proventi della compravendita siano rientrati nel patrimonio e nella disponibilità della P..

2.2. Giova al riguardo precisare che la disciplina dell’interposizione prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, come nel caso dell’interposizione fittizia, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (v. Cass. n. 5937 del 2015; v. anche Cass. nn. 12788 del 2011, n. 449 e n. 25671 del 2013, 21794 del 2014). Ma in casi del genere, come quello in esame, trattandosi di rapporti patrimoniali tra madre e figli, deve pur tenersi conto della libertà di pianificazione della propria successione da parte del genitore e del carattere genuino della donazione (v. Cass. 21952 del 2015; n. 16158 del 2016), ovvero, come ritenuto dalla Commissione di secondo grado, delle “prassi frequentemente utilizzate per disciplinare i rapporti patrimoniali fra genitore e figli, per facilitare questi ultimi all’avvio di una vita autonoma”.

2.3. Ora, il giudice d’appello, come accennato in narrativa, ha escluso, sulla base di una serie di accertamenti e valutazioni di fatto, che in capo alla P.S., madre donante, potesse configurarsi, anche in via presuntiva – come aveva ritenuto l’Ufficio nell’avviso di accertamento e continua a sostenere nel presente ricorso – l’imputazione del reddito, costituito dalla plusvalenza derivante dalla cessione di un terreno (che sarebbe stata quindi effettuata dai figli quali meri soggetti interposti), stipulata a distanza di un anno dall’atto di donazione. E ciò sulla base dell’essenziale considerazione che detta area era stata venduta dai figli donatari ad una società – Rialto costruzioni – per un corrispettivo pari al valore dichiarato nell’atto di donazione (Euro 738.593,37): somma ritenuta congrua dalla CTR in base alla CTU, con riferimento alla data della donazione, non modificatasi nell’anno successivo in cui il terreno fu venduto “e legittimamente acquistato a prezzi regolati dal libero mercato” (v. Cass. n. 5937 del 2015 cit.; n. 21952 del 2015; n. 22467 del 2015), e senza il riscontro di indici (quali: la stretta successione temporale tra donazione e vendita; il versamento di acconti al donante; la partecipazione di questi alle trattative per la vendita), idonei a far pensare all’assenza dello spirito di liberalità e alla strumentalità dell’operazione ad evitare il carico fiscale della plusvalenza.

2.4. Sicchè, nella specie, non è ravvisabile abuso del diritto, pure invocato dall’Amministrazione, avendo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità specificato che esso si traduce in un principio antielusivo che consente all’Amministrazione di disconoscere e dichiarare non opponibili le operazioni e gli atti in sè privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti (v., fra le altre, Cass. n. 4561 del 2015), fermo restando che incombe sull’Amministrazione la prova del disegno elusivo (v. ex multis Cass. n. 4603 del 2014): prova nella specie non fornita.

3. Il ricorso si rivela pertanto infondato e va rigettato.

4. In considerazione dell’epoca di formazione della giurisprudenza di riferimento, si ravvisano giusti motivi per dichiarare compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2016

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