Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2713 del 02/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 02/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.02/02/2017),  n. 2713

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8772-2014 proposto da:

M.L., G.A., G.M.,

G.M.L., G.E.A., considerate domiciliate ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate

e difese dall’avvocato ANTONIO CAVALIERE giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ALLIANZ SPA già RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’, in persona dei

procuratori dott. C.A. e dott.ssa GE.AN.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e difende giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato ANTONIO CAVALIERE;

udito l’Avvocato GIORGIO SPADAFORA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. G.A., premesso di avere stipulato in data 28 agosto 1994 una polizza infortuni e di avere riportato lesioni in occasione di sinistro stradale in data 27 settembre 1995, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania RAS Assicurazioni s.p.a. chiedendo la condanna al pagamento dell’indennizzo assicurativo. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda, ed in particolare deducendo di avere comunicato in data 7 dicembre 1995 l’inefficacia dell’assicurazione con restituzione dell’intero premio versato.

2. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Osservò il Tribunale che il contratto si era perfezionato ma che lo stesso si era sciolto per mutuo consenso sulla base della dichiarazione del 7 dicembre 1995 e l’accettazione dell’assicurato che aveva incassato l’assegno e che la volontà delle parti era stata nel senso di porre nel nulla il rapporto fin dalla sua origine, con efficacia quindi ex tunc, come si evinceva dalla comunicazione di mancata approvazione del dicembre 1995, dalla restituzione dell’intero premio e dalla riscossione dell’assegno da parte del G..

3. Avverso detta sentenza proposero appello, in qualità di eredi, M.L., G.M.L., E.A., A. e M.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 18 febbraio 2013 la Corte d’appello di Salerno rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale che il riferimento all’inefficacia della polizza nella comunicazione di data 7 dicembre 1995 era in senso non tecnico perchè l’offerta di restituzione dell’intero premio era manifestazione della volontà di sciogliere il vincolo contrattuale (che l’assicuratore, stante l’indicazione del numero di polizza nella comunicazione, reputava esistente) e che l’effetto solutorio si era verificato per mutuo consenso con l’accettazione senza riserve dell’offerta di restituzione dell’intero ammontare del premio. Aggiunse che, benchè il negozio risolutivo avesse di regola efficacia ex nunc, sulla base delle circostanze evidenziate dal Tribunale (nella dichiarazione del 7 dicembre 1995 si specificava che la polizza dovesse essere considerata integralmente priva di effetto, l’offerta di restituzione dell’intero importo e la riscossione senza riserve) doveva ritenersi che il vincolo era venuto meno ab origine.

5. Hanno proposto ricorso per cassazione M.L., G.M.L., E.A., A. e M. sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 132, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che vi è omessa pronuncia essendo la decisione impugnata l’esatta copia di quella di primo grado e che inoltre manca nella sentenza l’indicazione delle parti G.M.L. e E.A..

1.1 Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile. La censura è articolata in due sub-motivi. Con riferimento al primo sub-motivo va rammentato che la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata “per relationem” ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (fra le tante da ultimo Cass. 19 luglio 2016, n. 14786). La corte territoriale ha condiviso l’apparato argomentativo del primo giudice, illustrando tuttavia in modo autonomo le ragioni di conferma della decisione, e dunque in modo da consentire esistente la pronuncia sui motivi di gravame.

1.2. Venendo al secondo sub-motivo, è stato affermato che se è indubbio che l’aver deciso la lite solo nei confronti di alcune parti trascurando la posizione di altre integra il vizio di omessa pronuncia, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non può trascurarsi che l’applicazione di tale principio vada verificata in base alle concrete peculiarità della vicenda processuale. Si è quindi precisato che la mancata indicazione di una parte nell’epigrafe e nel dispositivo della sentenza, non prescritta a pena di nullità dall’art. 132 c.p.c., comma 2, non comporta alcuna nullità, ove dai verbali di causa risulti che la parte abbia regolarmente partecipato al giudizio e sulle sue domande ed eccezioni ovvero, in secondo grado, sui suoi motivi di impugnazione, proposti congiuntamente con altra parte indicata in sentenza, il giudice di seconde cure si sia, in effetti, ritualmente pronunciato attesa l’identità delle doglianze, non ricorrendo in tale ipotesi alcuna concreta violazione del principio del contraddittorio nè alcuna sostanziale omissione di pronuncia ma configurandosi soltanto un mero errore materiale, emendabile con il procedimento di cui all’art. 287 cod. proc. civ. (Cass. 12 febbraio 2015, n. 2763). La parte ricorrente non ha specificato se dai verbali di causa si evinca o meno se G.M.L. e E.A. abbiano partecipato al giudizio. Già quindi sul piano dell’autosufficienza del ricorso la censura è manchevole di tale specificazione. Peraltro se la stessa parte ricorrente afferma che G.M.L. e .A. erano componenti della parte collettiva costituita dagli eredi del G. vuol dire che il giudice, pronunciando sull’appello, ha pronunciato anche sull’appello da esse proposto congiuntamente con gli altri eredi, sicchè la vicenda resterebbe sul piano del mero errore materiale.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1372 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’imprecisione della espressione utilizzata dall’assicuratore, riconosciuta dal giudice di appello, andava nel dubbio interpretata a favore del consumatore/assicurato ai sensi dell’art. 1469 quater c.c.e che il medesimo giudice di appello non poteva travolgere il senso della richiesta dell’assicurazione interpretando l’inciso “priva di effetto” come volontà di risolvere consensualmente il contratto, dovendo invece interpretare la dichiarazione come recesso dal contratto, sicchè illegittima è la qualificazione giuridica dei fatti.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 1362 ss. c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la fattispecie doveva essere qualificata anche ai sensi dell’art. 1469-quater c.c. e che illogico era il ragionamento del giudice di appello perchè la restituzione indebita del premio non poteva determinare la revoca ab origine del rapporto contrattuale.

3.1. I motivi secondo e terzo, da valutare unitariamente, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. In tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (fra le tante Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; 15 aprile 2013, n. 9054). Non può dunque la parte limitarsi a dolersi del fatto che il giudice non poteva travolgere il senso della richiesta dell’assicurazione, o a denunciare l’illogicità del ragionamento del giudice, ma doveva indicare la regola legale violata ed in quale modo il giudice di merito si sarebbe da essa discostata.

3.2. La parte ricorrente confonde inoltre il piano dell’interpretazione con quello della qualificazione. In tema di interpretazione del contratto il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (fra le tante Cass. 12 gennaio 2006, n. 420). In particolare, per ciò che concerne il piano dell’interpretazione, l’accertamento della risoluzione del contratto per mutuo dissenso costituisce apprezzamento di fatto del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale (fra le tante Cass. 27 novembre 2006, n. 25126).

3.3. Infondata è invece la censura basata sull’art. 1469-quater c.c.. Tale norma è stata introdotta con la L. n. 52 del 1996 e dunque non trova applicazione con riferimento alla dichiarazione del 7 dicembre 1995.

4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Lamenta la parte ricorrente che il giudice di appello ha ingiustificatamente dedotto dal comportamento post-contrattuale del G. elementi per la qualificazione della fattispecie come risoluzione contrattuale, decidendo così sulla base di presunzioni scollegate da ogni ragionevole attendibilità, e che mai il contraente assicurato avrebbe potuto rinunciare alla polizza.

4.1. Il motivo è inammissibile. L’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso alla presunzione, la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sono censurabili in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione unitamente all’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, che fanno parte della struttura normativa della presunzione (fra le tante Cass. 6 agosto 2003, n. 11906).

5. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha posto alla base del proprio convincimento aspetti opinabili e che l’omessa valutazione degli aspetti contestati dagli appellanti determina nei fatti un’omessa motivazione, di fatto contraddittoria e perplessa.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto estraneo al paradigma della nuova disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Lamenta la parte ricorrente che la risoluzione consensuale non è rilevabile d’ufficio, ma deve formare oggetto di eccezione propria.

6.1. Il motivo è infondato. La risoluzione consensuale del contratto non costituisce materia di eccezione in senso proprio, ma rappresenta un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, che, se ed in quanto rilevante ai fini del decidere, può essere accertato di ufficio dal giudice (fra le tante Cass. 17 marzo 2014, n. 6125 e 22 novembre 2006, n. 24802).

7. Con il settimo motivo si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Lamenta la parte ricorrente che il giudice di appello ha posto alla base della propria decisione mere deduzioni e che ha tratto dai pochi elementi probatori spunti di valutazione contrari alla legge ed alla comune volontà dei contraenti.

7.1. Il motivo è inammissibile. La valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo del vizio motivazionale (fra le tante da ultimo Cass. 26 gennaio 2015, n. 1414 e 10 giugno 2016, n. 11892).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese processuali che liquida in Euro 7.400,00 per compenso, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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