Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27129 del 04/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 27129 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA
sul ricorso 13547-2011 proposto da:
LAGANA’

FORTUNATO LGNFTN57D17F1120,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 191, presso lo
studio dell’avvocato SALMERI FERDINANDO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2722

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. 09339391006, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso
lo studio degli avvocati PESSI ROBERTO e GIAMMARIA

Data pubblicazione: 04/12/2013

FRANCESCO, che la rappresentano e difendono giusta
procura speciale notarile in atti;
– controri corrente avverso la sentenza n. 576/2010 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 24/08/2010 r.g.n.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/09/2013 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato FERDINANDO SALMERI;
udito l’Avvocato TIZIANA SERRANI per delega verbale
ROBERTO PESSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

1108/2008;

Svolgimento del processo
Il sig. Laganà adiva il Tribunale di Reggio Calabria per sentire
dichiarare l’illegittimità del licenziamento irrogatogli dalla Banca
Nazionale del Lavoro con lettera del 5 novembre 2004, nonché
condannare l’Istituto alla corresponsione delle retribuzioni dal 25
agosto 2003 al 5 novembre 2004.
A sostegno delle proprie difese il Laganà deduceva che con

venuta a conoscenza del suo coinvolgimento in una sparatoria,
per cui era stato tratto in detenzione; che con lettera del 18
marzo 2004 l’azienda, prendendo atto della circostanza, aveva
dichiarato cessato il proprio obbligo alla corresponsione delle
retribuzioni; che con lettera del 30 luglio 2004 la Banca gli
comunicava di aver avuto notizia della conclusione del
procedimento penale, con sentenza di condanna ad otto anni di
reclusione; che la sentenza in parola era stata appellata e che il
giudizio di appello si era concluso con sentenza che derubricava
il reato in quello di lesioni, dimezzando la condanna; che tale
ultima sentenza era divenuta irrevocabile per effetto della
successiva pronuncia della Cassazione n. 232 del 2006.
In diritto il Laganà sosteneva l’illegittimità del licenziamento per
insussistenza della giusta causa, per mancanza di proporzionalità
del prowedinnento, nonché per intempestività dello stesso.
Si costituiva la Banca Nazionale del Lavoro eccependo
preliminarmente la decadenza del ricorrente dall’impugnativa del
licenziamento e nel merito deducendo che: 1) Il sig. Laganà
aveva lavorato alle dipendenze della BNL sino al 20 novembre
2004. 2) Da ultimo il sig. Laganà era inquadrato nella 3a area 1°
livello retributivo e svolgeva mansioni di “operatore di sportello”
presso l’agenzia BNL di Reggio Calabria. 3) Il 27 luglio 2003,
l’agenzia citata veniva a conoscenza, attraverso la stampa
(“Gazzetta del Sud”) che il sig. Laganà, in ferie dal 21 luglio, si
era reso protagonista di una sparatoria conclusasi con il

3

lettera del 30 luglio 2003 la Banca gli comunicava di essere

ferimento di un uomo. 4) La Banca, stante la gravità della
vicenda, apriva un procedimento disciplinare, contestando al
Laganà, con nota del 30 luglio, il fatto nonché la mancata
comunicazione dello stesso alla Banca ai sensi dell’art. 33 del
c.c.n.I., riservandosi, in base alla medesima norma collettiva, di
valutare le risultanze della vicenda giudiziaria penale. 5)
Ottenuta dal Tribunale penale di Reggio Calabria copia autentica

dell’episodio, determinato peraltro da futili motivi, sicché con
lettera del 5 novembre 2004 licenziava il Laganà per giusta
causa.
Il Tribunale accoglieva l’eccezione preliminare e rigettava la
domanda per intervenuta decadenza, compensando le spese.
Proponeva appello il Laganà chiedendo l’integrale riforma della
sentenza e raccoglimento delle domande. Resisteva la BNL.
Con sentenza depositata il 24 agosto 2010, la Corte d’appello di
Reggio Calabria, riteneva infondata l’eccezione di decadenza
eccepita dalla Banca, risultando dalla documentazione in atti che
l’impugnativa del licenziamento

era stata tempestiva —e

comunque certamente tempestiva la spedizione della relativa
missiva- ritenendo nel merito infondate le domande, stante la
gravità dei fatti accertati e, quanto alla richiesta delle retribuzioni
dal 25 agosto 2003 al 5 novembre 2004, stante la detenzione del
lavoratore e la relativa impossibilità, per fatto a lui imputabile, di
prestare l’attività lavorativa.
Per la cassazione propone ricorso il Laganà, affidato a tre motivi.
Resiste la BNL con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. in relazione “ai canoni
interpretativi fissati dalla giurisprudenza di legittimità”.
Lamenta che il giudice d’appello aveva disatteso il principio
secondo cui ai fini della verifica della giusta causa, occorreva

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della sentenza, la Banca constatava la volontarietà e gravità

tenere innanzitutto conto dell’elemento soggettivo e cioè
all’intensità dell’elemento intenzionale, che la Banca aveva
erroneamente evinto dagli accertamenti compiuti in sede penale,
stante l’autonomia dei due giudizi.
Lamenta che in sostanza la Banca fondò il suo giudizio di gravità
dei fatti sulla base degli accertamenti compiuti in sede penale e
non ancora accertati con sentenza definitiva, senza peraltro

lavorativo, provocato dallo stato di forte agitazione determinato
dalla lite tra suo fratello e la vittima, e che il Laganà esplose i
colpi verso la casa di quest’ultima nella convinzione che dentro
non vi fosse nessuno.
Lamenta infine che i principi costituzionali imponevano un
bilanciamento tra gli interessi del lavoratore e quelli dell’azienda.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia un difetto di
motivazione della sentenza impugnata in relazione agli artt. 2119
e 1 L. n. 604\66, “nonché in relazione ai principi giurisprudenziali
in tema di giusta causa”. Lamenta che la sentenza impugnata
avrebbe dovuto effettuare una autonoma istruttoria per valutare
la gravità del fatto, e che il vincolo fiduciario anche del
dipendente di banca, rilevava esclusivamente laddove fatti
estranei all’ambiente lavorativo fossero tali da far ritenere il
lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del
lavoro.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia un difetto di
motivazione in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., 2697 e 2729
c.c. Lamenta che il giudice di appello non svolse alcuna
autonoma attività istruttoria, basandosi esclusivamente sugli
accertamenti compiuti in sede penale, all’epoca dei fatti peraltro
non ancora definitivi.
4.- I motivi, stante la loro connessione, possono essere
congiuntamente esaminati e sono infondati.

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considerare che il fatto era awenuto al di fuori dell’ambiente

:

A prescindere dalla considerazione che delle circostanze esposte
dal ricorrente al fine di sminuire la gravità del fatto, e sopra
riferite, non risulta indicata alcuna prova, osserva la Corte che,
pur nel rispetto del principio di autonomia tra il giudizio penale e
quello civile, i fatti emersi dal procedimento penale, peraltro
successivamente definitivamente accertati, sono oggettivamente

particolare vincolo fiduciario esistente tra il dipendente di Banca e
quest’ultima (ex plutimis, Cass. n. 5504\05; Cass. n. 15373\04).
Ed invero lo stesso Laganà ammette di aver sparato con un’arma
da fuoco all’abitazione di un soggetto “colpevole” semplicemente
di aver avuto un diverbio col fratello.
Indipendentemente dalla sua —peraltro indimostrata- convinzione
che in casa non vi fosse nessuno, il fatto risulta ictu oculi di
gravità tale da giustificare il licenziamento adottato, non potendo
ritenersi, neppure in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti
interessi delle parti, che una Banca sia costretta a mantenere tra
i suoi dipendenti cassieri un lavoratore che per un diverbio del
fratello con altro soggetto, raggiunga la casa di quest’ultimo
colpendola con colpi di arma da fuoco, e ferendo peraltro la
vittima, anche considerato il clamore della vicenda, ampiamente
riportata dalla stampa locale. Il fatto risulta, come affermato dal
giudice di merito, obiettivamente e soggettivamente assai grave,
concretando gli estremi di cui all’art. 2119 c.c., per i quali non
assume rilievo la circostanza che il lavoratore rimanga
professionalmente idoneo allo svolgimento delle mansioni:
diversamente ragionando qualunque delitto commesso al di fuori
dell’ambiente lavorativo non consentirebbe il licenziamento, in
contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale e
dottrinario sul punto (cfr., ex plurimis, Cass. n. 15373 del 2004).
Va quindi precisato che l’autonomia dei giudizi penale e civile,
non preclude al giudice civile di basarsi sugli accertamenti
compiuti in sede penale, soprattutto laddove i fatti oggetto di

e soggettivamente di estrema gravità, anche considerato il

contestazione disciplinare siano gli stessi (Cass. n. 2168 del
2013; Cass. n. 22200 del 2010; Cass. n. 15714 del 2010).
In sostanza il giudice civile non è vincolato dal nomen cfiminis e
dall’esito giudiziario (di condanna o assoluzione) compiuto in
sede penale ben potendo valutare autonomamente i fatti.
Laddove essi corrispondano esattamente a quelli contestati ed in
sede penale siano stati giudizialmente accertati, nulla impedisce

penale, non essendo certamente obbligato a svolgere in ogni
caso una autonoma istruttoria, risultando peraltro i fatti ammessi
dallo stesso ricorrente come si evince dalla stessa lettura del
presente ricorso, che mira solo a sminuirne il rilievo.

La

circostanza poi che all’epoca della contestazione dei fatti la
sentenza penale di condanna ad otto anni di reclusione non fosse
ancora definitiva non incide minimamente sulla valutabilità degli
accertamenti compiuti in sede penale, proprio per l’autonomia dei
giudizi, essendo, come detto irrilevante una successiva diversa
qualificazione dei fatti in sede penale ma, semmai,
l’accertamento della loro insussistenza. Infine va aggiunto che il
ricorrente neppure chiarisce quali diverse prove il giudice
d’appello avrebbe dovuto ammettere ed esaminare.
5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
E.50,00 per esborsi, E.3.500,00 per compensi, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 settembre
2013

al giudice civile di basarsi sugli accertamenti compiuti in sede

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